Stalker (1979), di A. Tarkovskij

di Roberta Lamonica

Tratto dal romanzo di fantascienza ‘Picnic sul ciglio della strada’ di A. e B. Strugackij, ‘Stalker’ racconta il viaggio di tre uomini (lo Stalker o guida, lo Scrittore e lo Scienziato) in un’area misteriosa e proibita, la Zona, al cui interno c’è una stanza in cui ogni desiderio diventa realtà. Il film di Tarkovskij si distacca sensibilmente dalla materia del modello letterario per concentrarsi invece sullo scrutinio dell’animo umano e sui grandi temi che l’attanagliano: il senso più profondo della vita, la felicità, il rapporto tra filosofia, scienza e fede, la morte.

Ma cosa rappresenta la Zona?

Nelle parole del grande maestro russo: «La Zona è la vita: attraversandola l’uomo o si spezza o resiste. Se l’uomo resisterà dipende dal sentimento della propria dignità, dalla sua capacità di distinguere il fondamentale dal passeggero».

E ciò che realmente terrorizza i due viaggiatori non sono i pericoli insiti nella Zona contro cui lo stalker li mette continuamente in guardia, quanto piuttosto il guardare senza filtri né schermi dentro il proprio animo per eventualmente scoprire di non essere chi avevano pensato fino a quel momento. Ecco perché i tre restano sulla soglia della stanza senza attraversarla: la soglia segna il limite oltre il quale l’essere umano non può ardire di passare, pena la possibile perdita di sé in seguito all’improvviso riconoscimento del vero ‘sé’.

Il triangolo ai cui vertici sono Stalker, Scrittore e Scienziato, non riesce a penetrare nel mistero della Zona, non riesce a ‘spiegare’ la Zona. Il triangolo è rigido e non si abbandona al mistero, all’inaspettato, al miracolo. I passi dei tre uomini si infrangono incerti sulle loro certezze, sullo scetticismo dello Scrittore, sulle certezze scientifiche dello Scienziato, sulle macerie, sulla devastazione, sulla ‘natural burella’ che conduce alla stanza, sullo sgocciolio di un brodo primordiale che essuda attraverso le pareti e sotto i loro piedi, lasciandoli storditi e spossati.

Eppure il colore che accoglie questi viandanti, apparenti viaggiatori dell’Assurdo, quando arrivano all’interno della Zona, sembra invitare loro (e lo spettatore) a credere che ci sarà una ‘rivelazione’, la Luce, che insieme potranno raggiungere la Verità.

Invece, alla fine del viaggio, i tre si ritrovano nel locale disfatto e scrostato da cui erano partiti, luogo dal color seppia come la loro vita opaca e indistinta, alla quale, a malincuore, ognuno ritorna dolente.

Ma allora a chi è concessa la rivelazione? A chi il miracolo che ci si aspettava alla fine di questa ‘quest’ all’interno dell’animo umano?

A un certo punto del viaggio lo Stalker dice: «La debolezza è potenza, e la forza è niente. Quando l’uomo nasce è debole e duttile, quando muore è forte e rigido, così come l’albero: mentre cresce è tenero e flessibile, e quando è duro e secco, muore. Rigidità e forza sono compagne della morte, debolezza e flessibilità esprimono la freschezza dell’esistenza».

Ed è proprio alla figlia dello stalker, Martiska, che fa parte di quelle «cose deboli del mondo» di cui parla anche San Paolo nei suoi scritti, che viene affidato il finale e una possibile risposta. Martiska è debole e ‘diversa’ e si abbandona al mistero della ‘vita’ in modo assoluto. Ecco perché solo a lei è riservato il miracolo. A lei sola è riservato il ‘colore’ fuori dalla Zona, a lei è dedicato l’Inno alla Gioia. Perché lei può varcare la soglia della stanza e accedere alla trascendenza della fede, senza il timore di perder(si) nel cammino.

Con una conclusione circolare, anche dal punto di vista sonoro ( il rumore del treno sulle rotaie che fa muovere gli oggetti all’interno della casa dello stalker), Tarkovskij ci affida un’opera che è espressione altissima del mezzo cinematografico inteso come Arte.

Capolavoro.

11 risposte a "Stalker (1979), di A. Tarkovskij"

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  1. Stalker, Scrittore e Scienziato si fermano prima, uomini che non ce la fanno ad entrare pienamente nella Zona/Vita.
    La debole, piccola e fragile donna invece sì.
    In realtà, statisticamente, gli uomini rispetto alle donne sono meno estro/versi, meno longevi, e meno lucidi in vecchiaia. Sono meno. Guarda caso.

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  2. Ricordando anche ‘Andrej Rublev’, mi sembra che la visione di T. non fosse quella di un credente, ma di un agnostico affascinato dal mistero della vita, dalla forza interna di chi sacrifica la propria ad un presunto Superiore, e dalla forza inconsapevole di chi la ri-crea in terra, le donne. Vedere quanto per lui fu importante il rapporto coi genitori: il padre poeta, ma soprattutto la madre.

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    1. A me è successo con 8 e 1/2 di Fellini, Vincenzo. E Tarkovskij, insieme a Fellini, appunto, e pochi altri, rappresenta per me il Cinema nella sua espressione più alta e completa. Quel cinema che ti resta addosso per giorni e ti rimanda continuamente a pensieri ‘importanti’. Kubrick mi fa lo stesso effetto per la forza delle sue immagini e per quel modo di gestire la macchina da presa che è sempre meravigliosamente riconoscibile come ‘suo’.

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