‘Lo spaventapasseri’ (Usa/1973), di Jerry Schatzberg

di Girolamo Di Noto

Lo spaventapasseri (Scarecrow), del regista Jerry Schatzberg, è la storia di un’amicizia nata sulla strada, tra due vagabondi, Max (Gene Hackman) e Francis, detto Lion (Al Pacino), che non hanno perduto la speranza di una vita meno precaria. Ognuno di essi è in viaggio con un proprio sogno nella testa: Max, dopo aver scontato sei anni di reclusione in carcere, desidera mettere su un’impresa di autolavaggio e rifarsi una vita, mentre Francis è alla ricerca dell’ ex moglie che ha abbandonato anni prima dalla quale ha avuto un figlio che non ha mai conosciuto e di cui ignora persino il sesso.

È una strana coppia quella che si avventura on the road, dalla California verso est, immersa in uno scenario di solitudine, in un grande highway. Non si conoscono, si incontrano per caso, attendono l’arrivo di un automezzo nello stesso punto della strada. Max è robusto, di indole rude e litigiosa, Francis è gentile, buontempone. Max risolve i problemi a pugni, Francis con il sorriso. Sin dal loro primo incontro emerge una diversità di carattere, ma che non impedisce di iniziare una vera amicizia. Francis prende l’iniziativa cercando di attirare l’attenzione del taciturno e ombroso Max. Simula una telefonata, piega le spalle come uno spaventapasseri. Il burbero solitario finisce pian piano per subire la simpatia dello stravagante sconosciuto e gli diventa amico: insieme attraverseranno l’America al disperato inseguimento dei loro sogni.

Il film, Palma d’oro a Cannes, è una delle opere migliori della New Hollywood, espressione usata per definire quello che è stato probabilmente il maggior fenomeno di rinnovamento del cinema statunitense dai tempi dell’ avvento del sonoro. Uno dei temi che la New Hollywood ha portato alla ribalta è stata la solitudine: emarginati, sbandati, marginali rispetto al potere della Storia, i personaggi di Schatzberg cercano di ritrovare un senso alla loro vita, conservano dei piccoli sogni, ma devono fare i conti con percorsi esistenziali irrisolti e continui deragliamenti. Schatzberg è stato uno dei registi più liberi e sottovalutati degli anni Settanta. Due anni prima de ‘Lo spaventapasseri’, sempre con Pacino, realizza uno dei migliori film sulla droga, ‘Panico a Needle Park’.

Attento a rappresentare in maniera realistica e dolente l’America di quegli anni, Schatzberg ha sempre messo in primo piano personaggi disadattati, inquieti, ma descritti con trepidante partecipazione. Impossibile non affezionarsi a questi due losers, impensabile soprattutto non provare empatia per il tenero e disincantato Francis, a cui Pacino presta un volto emblematico per descrivere una personalità inquieta e bistrattata. Francis è infelice, ma il suo compito è quello di far sorridere chi lo avvicina. Max ha un carattere conflittuale e rude, Francis disinnesca le situazioni critiche con leggerezza. La prima volta che dormono assieme, Francis spiega a Max la teoria secondo la quale gli uccelli non avrebbero paura dello spaventapasseri ma volano via, piuttosto, perché il fantoccio li ha fatti ridere. Allo stesso modo, Francis si comporta con le persone, cercando di farle ridere. Lo spaventapasseri diventa così un’arma di difesa nei riguardi degli altri.

Esemplare la scena in cui Max, in una tavola calda, sta per lasciarsi coinvolgere in un’ennesima rissa, ma Francis ha cercato di insegnare al suo amico un altro modo per affrontare i conflitti e sopravvivere e Max intrattiene la folla con un finto striptease, con risate generali di tutti i presenti. La vita, però, per Francis risulterà crudele e il destino non lascerà spazio a troppe illusioni. Non bastano le buone intenzioni, non serve un atteggiamento spensierato per poter raggiungere i sogni, per quanto piccoli possano essere. Francis ne conserva uno nel suo animo: non vede l’ora di conoscere il suo bambino. “Ho un figlio a Detroit. Non so se maschio o femmina. Allora ho comprato una lampada. Così andrà bene in tutti e due i casi”. Il rimorso di Francis per il bambino, il suo desiderio di incontrarlo si scontreranno, ahimè, con la perfidia della moglie che, con una crudele bugia vendicativa, farà credere che il loro bambino è morto da tempo. La (falsa) terribile notizia darà il colpo di grazia a Francis, lo metterà ko, lo farà sprofondare in una crisi irreversibile dalla quale sarà impossibile uscirne. Resterà solida l’amicizia di Max che, nello splendido e straziante finale, si vede che ritira i suoi risparmi per tornare a Detroit e prendersi cura dell’amico ricoverato in un ospedale psichiatrico.

In molti film della fine degli anni Sessanta e Settanta i protagonisti sono sempre più degli antieroi. La New Hollywood fu costellata da perdenti, da personaggi impossibilitati ad avere una rivincita sulle delusioni del passato. Sono caratterizzati da alienazione, frustrazione e inadeguatezza a cui seguirà inevitabilmente il fallimento. Non sono più mossi, come gli eroi del cinema classico, da grandi valori, dalla volontà di affermarsi, dalla propensione alla conquista: seguono in fin dei conti degli obiettivi minimi (un figlio da ritrovare, l’apertura di un autolavaggio), ma il loro è un viaggio che non porta in nessun luogo. Sono in continuo movimento, ma è un girare a vuoto, sono alla ricerca di una strada, ma incapaci, inadeguati a trovarla. La parabola tragica di Francis anticiperà di qualche anno quella di Travis (De Niro), il taxista di Taxi Driver, il memorabile personaggio disadattato, inadeguato e alienato creato dal genio di Scorsese. Travis vorrebbe avere uno scopo nella vita, vorrebbe avvicinarsi ad altre persone in modo da dissolvere quella solitudine che lo attanaglia ma si rivela inadeguato al punto – si pensi, ad esempio, alla scena in cui conosce finalmente una ragazza e poi la conduce a vedere un film porno- da fargli smarrire il confine di ciò che è lecito fare e ciò invece non lo è. Questa inadeguatezza, questa forma di esilio, questo essere “gettati nel mondo” come direbbe Heidegger, accompagnano Max e Francis nel loro percorso esistenziale.

Straordinaria la fotografia di Vilmos Zsigmond (futuro direttore della fotografia de Il Cacciatore di Cimino), abile nel rendere splendide e memorabili le aperture paesaggistiche e grandissima ed emozionante l’interpretazione dei due protagonisti. Gene Hackman, fresco vincitore due anni prima dell’Oscar con Il braccio violento della legge di Friedkin e soprattutto Al Pacino, all’inizio della sua carriera, anche se aveva già alle spalle Il Padrino di Coppola, indimenticabile nella sua interpretazione di un uomo solitario ed emarginato, inquieto paladino di un’umanità incompresa e sofferente.

4 risposte a "‘Lo spaventapasseri’ (Usa/1973), di Jerry Schatzberg"

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      1. Lo trovi su Youtube, completo, gratuito e in italiano. Colgo l’occasione per dirti che ho appena sfornato un nuovo post, in cui recensisco un altro film da 10 e lode… spero che ti piaccia! 🙂

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