Wild Wild Country (docu-serie Netflix, 2018), di Chapman e McLain Way

di Roberta Lamonica

Osho

Antelope, Wasco County, Oregon

Immaginate un paesino sperduto tra le aspre colline dell’Oregon, Antelope, 40 anime, per lo più pensionati e gente tranquilla, abituata a muoversi tra un diner, un piccolo parco e una vecchia scuola solitaria; immaginate un giorno qualunque, sulla strada principale, un improvviso andirivieni di camion, articolati e facce mai viste prima; immaginate che giri voce che un ranch e la terra intorno, della dimensione di una città come Palermo per intenderci, siano stati acquistati dal leader di una comunità religiosa; immaginate, infine, che all’improvviso arrivino ad Antelope centinaia e centinaia di persone bizzarre, vestite di rosso, con collane, perline, capelli lunghi e barbe folte, che cantano e ballano con lo sguardo fisso in direzione del ranch, come falene intorno alla luce. Questa potrebbe essere stata, più o meno, la reazione di quei tranquilli ma sempre sospettosi e combattivi Oregonians all’invasione – nella loro percezione – dei sannyasins, i seguaci di Bhagwan (in seguito Osho), discusso leader spirituale indiano.

Antelope residents

Wild Wild Country

La docu serie di Netflix in sei puntate Wild Wild Country, diretta dai fratelli Chapman e McLain Way e vincitrice dell’ Emmy Award come migliore docu-serie nel 2019, ricostruisce la parabola di ascesa e declino di Bhagwan Shree Rajneesh, e soprattutto la incredibile parentesi di sette anni (1981 – 1988) della utopica città-comune di Rajneeshpuram nella contea di Wasco, in Oregon, dove i seguaci di Bhagwan avevano edificato case, negozi, spazi comuni, un ufficio postale e un ospedale, un centro di ricerca e un aeroporto, avviato attività agricole e produttive con risultati egregi, ricostruito un ecosistema e creato una forza armata. Tanto che il ranch, ora Rajneeshpuram, era divenuto una cittadina indipendente con un proprio Sindaco e consiglio.

Arrivo di Bhagwan a Rajneeshpuram

La sua segretaria personale e portavoce Ma Anand Sheela, dopo essere stata la principale artefice della creazione di Rajneeshpuram, prese il controllo della stessa, arrivando allo scontro con le autorità americane e commettendo crimini e azioni illegali gravissime, tra cui il tentato omicidio del medico personale di Bhagwan e un attacco batteriologico di salmonella (751 infetti) ai danni dei cittadini di The Dalles, rei di essere suoi oppositori nelle imminenti elezioni nella contea di Wasco, dove Sheela voleva che i Rajneeshi prendessero la maggioranza dei seggi.

Rajneeshpuram

La “religione” di Osho fu capace di penetrare le fragili istituzioni democratiche della provincia americana, mettendone a dura prova il moralismo ipocrita e bigotto e costruendo un sistema economico di corporation con un successo mondiale; Rajneeshpuram diventò un progetto politico volto a espandersi economicamente e politicamente. Inevitabilmente la imponente crescita di questo progetto originò sia una conflittualità interna (su chi dovesse e come si dovesse gestire l’enorme e crescente ricchezza e potere che si stava costruendo attorno alla città di Rajneeshpuram) che uno scontro sempre più violento con le istituzioni americane (che non esitarono a violare apertamente i più fondamentali dei principi costituzionali pur di arginare il progetto espansionista di Bhagwan e Sheela) e con la popolazione locale: veramente incredibile, tanto da autorizzare ad un paragone con i fatti esposti dal più recente SanPa, tutta la gestione senza scrupoli di migliaia di senza tetto, delle sedazioni di massa, delle intercettazioni illegali cui furono sottoposte miriade di conversazioni private.

Ma Anand Sheela

I vertici di Rajneeshpuram

Wild Wild Country ricostruisce la storia di Osho attraverso le testimonianze dei protagonisti, Sheela, Philip John Toelkes (secondo sindaco di Rajneeshpuram) e Ma Shanti B (Jane Stork) esecutrice materiale del tentato omicidio del medico di Osho e dell’attentato (mai posto in essere) al procuratore federale Charles Turner. Filmati amatoriali, estratti da telegiornali, interviste, articoli di giornale si alternano alle testimonianze dei succitati protagonisti, quasi simbolicamente intervistati in luoghi chiusi, circondati da pareti di legno e scarsamente illuminati, se non da luci che provengono da dietro quasi a circonfondere di (ironica?) luce la loro esperienza di vita ma anche a suggerire un’idea di oppressione e chiusura che l’appartenenza alla ‘setta’ ha rappresentato per alcuni di loro. Peeping Tom esasperati ma anche ottusi e persecutori, i cittadini di Antelope, chiamati alla più grossa caccia alle streghe dai tempi di Salem, raccontano trionfanti di come abbiano impedito l’espansione verso Ovest di quell’orda di hippies immorali.

Jon Bowerman

Bhagwan Shree Rajneesh (Osho)

Ma chi era Bhagwan o Osho o Rajneesh? Personaggio ormai presente saldamente nell’immaginario collettivo soprattutto occidentale, maestro spirituale, per alcuni ‘santone’ dalla barba lunga, lo sguardo impenetrabile e le lunghe vesti fluttuanti, possessore di decine di Rolls Royce e attratto dal luccichio dell’oro e dei diamanti come una gazza ladra, Bhagwan era un ex professore di filosofia, allontanato dal suo incarico per le sue posizioni di aperta ammirazione nei confronti dell’Occidente e del suo assetto culturale e ideologico capitalista e di crescente opposizione al socialismo e alle posizioni della famiglia Ghandi. Aperto a un dialogo tra spirito e materia, ammetteva il sesso libero, gioioso e trasversale come percorso per la felicità (salvo poi suggerire la sterilizzazione di massa per impedire il sovraffollamento della Comune). Questo, insieme ad altri punti centrali del suo pensiero, esposto in lingua inglese in modi molto accessibili, portò molti giovani occidentali della contro cultura, desiderosi di sperimentare e cercare nuove vie di conoscenza e percezione, a recarsi a Poona, dove Bhagwan aveva intanto creato il suo Ashram e a donare tutti se stessi: competenze, denaro, dedizione totale.

Finanziatori hollywoodiani (tra loro, l’ultima segretaria di Osho, ex moglie di Albert Ruddy, produttore e vincitore di un Oscar per Il Padrino); oppositori celebri come Bill Bowerman, fondatore della Nike, l’interesse dei media per la vicenda, fatti davvero incredibili come la raccolta e la successiva deportazione di centinaia di senzatetto nella comune di Rajneeshpuram per le manovre politiche di Sheela, fanno di Wild Wild Country una docu-serie magnetica e imperdibile. Ciò che emerge con chiarezza è la storia di sentimenti e gelosia alla base della degenerazione del progetto di Rajneeshpuram; una donna volitiva e tanto ossessionata dal potere e dalla sua ‘guida’ da volerlo prima esaltare con ogni mezzo e poi volerlo parimenti distruggere. Le dichiarazioni televisive di un Bhagwan redivivo (era stato in silenzio per quasi 4 anni) tra ilarità degli spettatori sul suo non aver avuto una relazione amorosa con Sheela, in quanto sua segretaria, e le sue accuse violentissime alla stessa nelle successive ‘lezioni’ ai suoi discepoli, sono stati forse gli elementi determinanti per la fine di Rajneeshpuram, ancor prima della faida delle autorità americane.

Bhagwan e Sheela

La fine di un’utopia

Bhagwan tornò in India da sconfitto, dopo aver patteggiato con i federali, si avvicinò alle filosofie dell’estremo Oriente, cambiò il suo nome in Osho e abolì il monocolore per l’abbigliamento dei suoi seguaci, dicendo loro di sentirsi liberi di trovare la loro luce nel mondo in autonomia, fuori da ogni condizionamento, anche il suo. Morì poco dopo circondato dai nuovi fedelissimi, a 59 anni. Sheela invece, è sopravvissuta a tutto: alla prigione, al ludibrio, all’abbandono. Vero genio ‘criminale’ ma anche icona femminista, non ha rinunciato a continuare ad esercitare una qualche forma di potere – vero cancro che l’aveva corrosa dal di dentro fin da principio- e come dichiara in apertura di Wild Wild Country “una regina resta una regina”. Oggi si occupa di schizofrenici e dementi in due case di cura, dove applica i principi ispirati dal maestro, in un contesto in cui nessuno potrà mai tradirla o spodestarla. Ha mantenuto lo sguardo sfrontato e indisponente che le aveva procurato così tanti nemici dentro e fuori dalla comune di Rajneeshpuram e sembra custodire ancora chissà quanti e quali segreti. Oggi i sannyasin superstiti hanno creato un impero economico cospicuo intorno alla mitica figura di Osho e ai suoi insegnamenti; i suoi fedeli discepoli, invece, testimoni della sua illuminazione, ancora lo piangono e cercano di diffondere i suoi insegnamenti in centri sparsi in tutto il mondo. Sheela li ammonisce: non si rende giustizia a Bhagwan cancellando dalla sua biografia l’esperienza avvenuta negli USA, come fosse una parentesi incoerente col suo pensiero, perché proprio quell’esperienza è la testimonianza di ciò che Rajneesh e il mondo che avevano immaginato sarebbero potuti essere.

Grazie all’amico Bruno Ciccaglione per la preziosa e proficua collaborazione.

Bhagwan e i suoi seguaci

7 risposte a "Wild Wild Country (docu-serie Netflix, 2018), di Chapman e McLain Way"

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      1. Certo, lascia sbigottiti. Credo che la serie riesca a smascherare bene i meccanismi psicologici (ed antropologici, scusa il parolone) che si agitano all’interno delle comunita’ e di questi gruppi. Personalmente sono riuscito ad estrapolare, con i dovuti distinguo quello che tu dici: la sete di potere che sale fino ad annichilire chi e’ nei vertici poi di questi gruppi, ma non solo. E’ una metafora oltre che una storia. Il lato poi di scontro con i “dirimpettai” e’ devastante.

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      2. Si, ma non credo che in Italia una vicenda simile sarebbe andata molto diversamente, anzi credo che sarebbe andata molto peggio come scontro. Sono dell’idea che WWC sia purtroppo, una storia americana, ma che possa rappresentare tante altre zone/realta’. Avevo scritto qualcosa in merito nel mio blog (scusa se uso il tuo blog per “autocitarmi”).. le autocitazioni sono sempre qualcosa di fortemente inelegante. Chiedo venia.

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