A ciascuno il suo, di Elio Petri (1968)

di Bruno Ciccaglione

Per dirla con l’acume e l’efficacia dei notabili siciliani che ne commentano la tragica quanto inutile fine, il professor Laurana (Gian Maria Volonté), protagonista del film con cui Elio Petri traspone il romanzo di Sciascia A ciascuno il suo, “È un cretino!”.

È impietoso il ritratto di questo intellettuale di estrazione borghese e di sinistra, incapace di vivere dentro una realtà sociale che si illude di comprendere, quasi una messa in scena di un tipo sociologico che già nel 1968 preannuncia una crisi culturale che si rivelerà evidente solo molti anni più tardi.

Con la realizzazione di A ciascuno il suo, Elio Petri per la prima volta lavorerà con alcuni dei collaboratori che saranno poi fondamentali per gli anni a venire, a partire da Ugo Pirro, con cui aveva già lavorato per le sceneggiature dei film di Giuseppe De Santis. Ma sarà anche il primo incontro con Gian Maria Volonté (e il primo personaggio siciliano da lui interpretato). Per la prima volta il direttore della fotografia sarà Luigi Kuvallier, che sarà poi il direttore della fotografia di tutti i suoi film, ad eccezione dell’ultimo, Buone notizie.

Per un regista come Petri, che non ha mai creduto, soprattutto nel cinema, all’idea dell’artista solitario, si rivelerà decisivo l’aver messo assieme un gruppo di persone capaci di sintonizzarsi sulla stessa lunghezza d’onda. Inoltre Petri era reduce da scontri durissimi con i produttori dei suoi film precedenti (in particolare con Dino De Laurentis per Il maestro di Vigevano e con Carlo Ponti per La decima vittima), che lo avevano costretto a pesanti compromessi. Decisivo, per realizzare questo nuovo film in una condizione di libertà artistica fino ad allora mai completamente sperimentata, sarà il produttore indipendente Giuseppe Zaccariello, un industriale produttore di piastrelle, che aveva deciso di tentare l’avventura del cinema.

Ma Zaccariello fu decisivo anche per un’altra ragione. Fu infatti lui a proporre a Petri di realizzare un film dal romanzo di Sciascia, anche questo un primo “incontro” tra lo scrittore e il regista, che successivamente realizzerà anche Todo modo. Un incontro che non fu affatto facile. Pirro e Petri scrissero a quattro mani una sceneggiatura e la inviarono a Sciascia, che conoscevano bene personalmente, per un parere, per sentirsi rispondere dallo scrittore, irritatissimo: “Non c’entra niente con la Sicilia, fatelo in Puglia!”.

Leonardo Sciascia

All’inizio tra Petri e Sciascia vi fu una incomprensione su che cosa debba intendersi per cinema politico: Sciascia rivendicava che il proprio scrivere fosse essenzialmente politico. Petri aveva rilasciato una intervista in cui diceva che non intendeva realizzare un film politico, ma con ciò intendeva semplicemente dire che non gli interessava fare un film con una tesi precostituita, con un taglio da libello di propaganda. Sul punto fra i due non fu difficile chiarirsi. Petri scriverà a Sciascia: “Tu credi che quando sullo schermo appariranno i preti, Rosello, i notabili, l’Osservatore Romano, tu credi che il film non sarà politico?”

Petri, Ferzetti e Volonté sul set

Furono altri invece, gli elementi che probabilmente infastidirono Sciascia e lo indussero a prendere le distanze ed evitare qualunque “complicità” nella realizzazione del film (come del resto farà sempre, con chiunque abbia tratto dei film dai suoi romanzi). Innanzitutto c’è il ruolo che nel film assume il personaggio femminile di Luisa Roscio, la vedova di uno dei due assassinati, interpretata magistralmente da una bellissima Irene Papas. Nel libro, “un giallo che non è un giallo”, scrive Petri a Sciascia, si tratta di un personaggio marginale, anche se la sua sensualità è capace anche lì di turbare il labile equilibrio del protagonista della indagine, il professor Laurana (Volonté).

Petri invece prende questa figura femminile e ne fa la figura centrale della storia, la vera regista del giallo, capace di manipolare fino alla trappola finale il professore che indaga sulla morte dei due suoi amici. L’importanza del cambiamento è legata soprattutto al modo in cui Petri caratterizza il personaggio principale, interpretato da Volonté.

Come dirà anni dopo Ugo Pirro, in quel periodo Petri era un vorace lettore di Freud e la forte caratterizzazione psicologica che nel copione costruisce per il professor Laurana ne è una prova. Dopo il grande successo commerciale ottenuto nei ruoli da caratterista dei western di Leone e poi in Quién sabe?, per il grande pubblico Volonté comincia qui a diventare quell’attore che oggi tutti conosciamo. Il suo personaggio mostra una indolenza tipicamente meridionale, di lui in paese si vocifera che sia impotente e il suo antagonista invece è l’affascinante e sicuro di sé avvocato Rosello (Gabriele Ferzetti). Rosello è tutto quello che Laurana non è: se il primo ha successo con le donne e nella professione, Laurana vive ancora con la madre, ha tratti infantili (in una discussione tra i due mangia il gelato come un bambino), se Rosello è elegante nel portamento Laurana si stringe sempre nelle spalle, porta sempre con sé degli oggetti che stringe al petto (un borsello o una copia di Moby Dick) in una fisicità molle e da insicuro.

Eppure Petri chiaramente sente vicino a sé questo intellettuale che non ha ancora capito, come gli rimprovera il curato di Sant’anna (un grandissimo Mario Scaccia), che “Il tempo dei poeti con la testa fra le nuvole è finito!”. Lo scrive a Sciascia in una lettera, quasi vergognandosi: “Riderai, se ti dico che mi sento un poco come Laurana?”. La lettura freudiana di Petri, inoltre, probabilmente turbava Sciascia perché rimetteva al centro – attraverso le caratterizzazioni che Petri dá a Laurana e alla vedova Roscio – la pista “erotica”, come la chiama il deputato del PCI interpretato magistralmente da Leopoldo Trieste, affiancandola a quella politica come movente degli omicidi.

“Il tempo dei poeti con la testa fra le nuvole è finito!”.

Con A ciascuno il suo, dove finalmente Petri è libero di girare cosa e come vuole (anche se la censura continuerà a tormentarlo anche per questo film), si scopre forse più evidentemente l’amore che Petri aveva per il cinema americano (è con questo film infatti, che la critica degli USA si accorge di lui, il che poi lo porterà fino all’Oscar con Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto). Anche se certa critica trovò eccessivo l’uso dello zoom, bisogna dire che questo elemento, molto presente in questo film, appare assolutamente funzionale al racconto psicologico.

Come poi sarà tipico dei film successivi, il sarcasmo di Petri sa usare al meglio le suggestioni visive e sonore. Qui Luis Bacalov fa un lavoro straordinario con la colonna sonora, disseminata di “consapevoli dissonanze” tra ciò che l’immagine mostra e ciò che la musica propone (sorprende, in effetti, che Petri abbia deciso di non richiamarlo per il film successivo, ma ciò è probabilmente dovuto al fatto che Petri sceglierà, sorprendendo tutti, di fare un film molto diverso da quello che tutti si aspettavano: Un tranquillo posto di campagna).

A chiudere questo film e la “indagine” che ne costituisce il centro, il gruppo di collaboratori che Petri ha messo insieme e che negli anni seguenti realizzerà capolavori indimenticabili, ci offre un quadro impietoso e grottesco: un funerale e un matrimonio, il lutto e la festa. Rapidamente liquidato anche nella memoria collettiva il professore con la testa fra le nuvole, il film si chiude invece con l’ingresso in chiesa, al ritmo di una samba piena di brio, della sposa. Il bianco del suo abito diventa un’ombra nera, come quella del suo futuro marito e di tutti gli invitati che varcano la soglia della cattedrale. Ogni spiraglio di luce proveniente dall’esterno, ne viene gradualmente inghiottito.

* Nota bibliografica: Parola solenne – Dialoghi e visioni nel cinema di Elio Petri, Natale Luzzagni, Venilia Editrice (2021)

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