di Corinne Vosa

Irriverente, macabro, grottesco.
Poor Things è l’ultima creazione del visionario regista Yorgos Lanthimos. Proprio di creazione si parla nel film, quella di creature abominevoli, ibridi della scienza che sfidano i canoni di lecito-illecito. Attingendo al Frankenstein di Mary Shelley, Lanthimos lavora sull’esuberanza della mancanza di inibizione in una creatura di fatto appena generata nonostante gli inganni dell’apparenza. Una creatura al confine tra bambina e adulta, un ibrido anche in questo, grazie a cui torna anche l’eco di Dogtooth e si afferma sia la potenza dell’incoscio sia un evolversi della ratio, senza che quest’ultima affievolisca gli impulsi dell’ inconscio e dei sensi. Un teatro dell’assurdo e del grottesco, orrorifico e teatro eppure così stracolmo di liberta ed evasione dai vincoli del buon costume. La trama è l’elaborazione di una storia di formazione nel cupo contesto alla Mary Shelley, ma anche in una rocambolesca avventura alla Alice in Wonderland, dove è invertito il percorso: anziché dal reale all’irreale, si parte dal surreale per esplorare con sguardo trasognato il reale e tornare a una dimensione di oniricità.

Infatti la protagonista è Bella, creatura e figlia dello sfigurato dottor Godwin che promessa in sposa al suo assistente gentile e rispettoso decide che prima di ritirarsi a vita coniugale deve fuggire con il proprio amante e partire per avventure e viaggi a lei mai concessi, scoprendo la propria autonomia ed emancipazione.
Bella vive segretata, prigioniera di una dimora per lei confortevole e amica, dove puó essere totalmente sé stessa,ma sempre una prigione è. L’eco dell’ignoto, il desiderio di un oltre, la consumano. Irrefrenabile è la voglia di sperimentare e mettersi in gioco. Il viaggio fuori di casa e la scoperta della pienezza della sessualità coincidono con l’esplosione dei colori caldi,, che avvolgenti giungono improvvisamente dopo una prima sequenza di blu tetri e malinconici, e una parte di film resa in un elegante bianco e nero.
Come se Bella trovasse la via della propria umanità e libertà nella possibilità di sperimentare la vita e di concedersi senza inibizioni o giudizi al piacere fisico e sensoriale, linfa vitale fondamento della sua nuova vita, della sua emancipazione. Il viaggio è lo strumento di formazione per l’evoluzione della coscienza di se stessa e della propria personalità in un continuo panta rei e elogio della mutevolezza.

Animalità e ratio.
Bella sessualmente, e non solo, è selvaggiamente spregiudicata e libera, come un animale senza divieti morali. Segue l’istinto e l’intensità delle emozioni . Tuttavia è anche riflessiva, una creatura che medita sull’esistenza e sul mondo, che tenta di apprendere, conoscere e conoscersi. Non lo fa solo attraverso l’osservazione, ma anche attraverso i libri e la filosofia. Nonostante le sue difficoltà a comprendere la differenza tra giusto e sbagliato, Bella protende all’idealismo e alla ricerca del bene. Il conflitto tra cinismo e idealismo si configura centrale nel film. Un cinema satirico e cinico quello di Lanthimos dove tuttavia la ricerca di un giusto ha il suo perché, in particolare in quest’ultima sua opera, dove il tentativo di migliorare le cose, il progresso, è una fede che muove i personaggi, a torto o a ragione, una fede che si nutre di arte e filosofia ce che cerca realizzazione nella scienza. Tuttavia il tentativo è talmente eccessivo e ingenuo da sfidare per paradosso l’etica stessa e creare l’abominio e l’assurdo, portando a una riflessione sulla moralità dell’intervento umano e i limiti che la scienza deve o no imporsi. Come se per sovvertire il nichilismo dell’era moderna, orfani del bene e del giusto, dell’ideale, i personaggi approdassero a rive sconosciute e inquietanti. Un paradosso del giusto.

L’ironia e la freddezza anestetica di Lanthimos si fanno come sempre conduttori di un cinema di sofferenza, disagio e solitudine esistenziale. La fuga dalla bolla rassicurante dello status quo conduce alla scoperta implicando peró una tappa fondamentale: il dolore. È il percorso di crescita di un bambino, prima chiuso in una dimensione ovattata e familiare, ma poi costretto all’acquisizione della consapevolezze della brutalità della vita. Questo dolore però è performante e tassello base per il conseguimento della conoscenza. Di qui il tentativo di recupero per una dimensione di eticità andata perduta, tentativo come appena detto anch’esso controverso, ma comunque un tentativo, stimolato da riflessioni letterarie e filosofiche e dal desiderio di una nuova etica.

Il film è una fiaba gotica e macabra sul tema esistenzialista dello stare al mondo, dell’esistere e essere gettati nel fuoco rovente della vita. Qui si arriva a uno dei nuclei del film. Pur non trattandosi apparentemente di un film spirituale, Lanthimos si interroga sul rapporto della creatura con un eventuale “creatore” e sul concetto di libero arbitrio. Seppure ci sia un creatore effettivo senza cui la creatura non sarebbe, è la creatura che crea se stessa, che è se stessa a modo proprio, indipendentemente dal creatore stesso, e che deve sperimentare e agire per conoscersi e trovarsi.

Povere Creature! é anche un elogio della liberta e della disinibizione in un’ottica femminista, del piacere e desiderio. Attraverso un’estetica sofisticata, attingendo all’impianto visivo dell’horror e della fiaba, passando dal gotico tetro e grottesco a un lirismo magico, mette in scena conflitti e aspirazioni, vulnerabilità e bisogni. Merito tutto questo ovviamente anche del romanzo da cui è tratto il film, Poor Things di Alasdair Gray.
Incisivi William Dafoe (Godwin, il creatore) e Mark Ruffalo, splendente e affascinante Emma Stone, magnetica in questa performance particolare e impegnativa, che con il suo sguardo e la sua bravura si conferma una delle migliori attrici del momento.
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