
di Federico Bardanzellu – Non si può recensire “Un altro ferragosto” senza parlare del film di cui il presente è il sequel. “Ferie d’Agosto”, infatti, vinse il David di Donatello del 1996 come Miglior Film ed ha lanciato Paolo Virzì come regista di spessore sul piano nazionale. Soprattutto, è il film che – a giudizio della critica – ha saputo meglio rappresentare la frattura culturale e sociale sorta nel nostro paese con l’avvento del berlusconismo. Nello specifico, l’orgoglioso contrapporsi della destra piccolo-borghese all’intellettualismo di sinistra, sino ad allora preponderante sul piano culturale. Una tematica che Virzì ha saputo esporre molto meglio del contemporaneo Nanni Moretti. Non intervenendo cioè in favore dell’una o dell’altra parte ma rappresentandole entrambe con i loro difetti e le loro magagne.
Ferie d’agosto: cast
Nell’isola di Ventotene trascorrono le vacanze in due case contigue due “famiglie allargate”. La prima fa capo al giornalista intellettuale Sandro Molino (Silvio Orlando) e alla sua compagna Cecilia (Laura Morante). L’altra fa capo a Ruggero Mazzalupi (Ennio Fantastichini) facoltoso commerciante romano titolare di armeria. La piccola Ventotene è, chiaramente, una metafora dell’Italia; le due famiglie, quella dei due schieramenti contrapposti.
Del primo gruppo fanno parte, oltre a Sandro, Mauro (Silvio Vannucci), ex compagno di Cecilia che gli aveva dato la loro piccola figlia Martina; Francesca (Antonella Ponziani), amica di Mauro, che in passato fu compagna di Sandro; Betta (Raffella Lebboroni) e Graziella (Claudia Della Seta), amiche di Cecilia e compagne tra loro; Ivan, il figlio di Graziella (Emiliano Bianchi); e, infine, Roberto (Gigio Alberti), un latin-lover “intellettuale per caso” che preferisce “svernare” in lidi esotici piuttosto che passare il suo tempo nel Bel Paese.
Del secondo gruppo, oltre a Ruggero, fanno parte sua moglie Luciana (Paola Tiziana Cruciani) e i loro due figli, l’adolescente Sabrina (Vanessa Marini) e il figlio minore; la bella e provocante Marisa (Sabrina Ferilli), sorella di Luciana e verso la quale Ruggero non nasconde le sue mire; Marcello (Piero Natoli), il marito di Marisa, fortemente indebitato nei confronti di Ruggero e il loro unico figlio. Arbitro, non proprio al di sopra delle parti, un locale sottufficiale dei carabinieri interpretato da Rocco Papaleo.
Ferie d’agosto: trama
Le due famiglie cominciano presto a “beccarsi”, anche se il più intransigente sembra l’intellettuale Sandro. Ruggero, infatti, tenta a volte, sia pur invano, di tendere la mano al vicino di casa. Poi per la sua solita arroganza o presupponenza nel maneggio di un’arma moderna, ferisce un extracomunitario. A Sandro non pare vero di poterlo denunciare. Il suo impegno civile, però, risulta addirittura dannoso per il ferito, che è senza permesso di soggiorno e, alla fine, viene espulso dall’Italia. La posizione di Ruggero, invece, viene archiviata.
Alla fine, almeno secondo il parere del giovane Ivan, è proprio Ruggero a vincere il confronto verbale con Sandro, alla presenza di un buon numero di abitanti dell’isola. È chiaramente la metafora del successo della destra berlusconiana nell’Italia di allora. L’entourage di Sandro si prende tuttavia una rivincita proprio nella materia a cui terrebbe maggiormente Ruggero: quella sessuale.
Ci riescono i due personaggi sostanzialmente meno “allineati”: Roberto seduce la bella Marisa, proprio sotto gli occhi di Ruggero; Ivan conquista il cuore di Sabrina, figlia adolescente del commerciante. Nel finale, Virzì introduce alcuni elementi di speranza: la bella, sia pur fugace, amicizia tra Marcello (Piero Natoli) e Francesca (Antonella Ponziani) e l’annuncio di Cecilia che attende un figlio da Sandro.

28 anni dopo, ‘Un altro ferragosto’
Per allestire il sequel, Virzì si è dovuto adeguare alle vicende personali occorse ad alcuni degli attori principali del primo film. In particolare, essendo venuti meno Ennio Fantastichini (Ruggero) e Piero Natoli (marito di Marisa/Sabrina Ferilli) si è dovuto “inventare”, per rimpiazzare il primo, un nuovo “teorico” capo-famiglia. Lo ha trovato in Vinicio Marchioni, che interpreta la parte di Cesare, promesso sposo di Sabrina, figlia del defunto Ruggero. Alla splendida vedova Marisa, invece, viene accostato un nuovo ricco compagno, interpretato da Christian De Sica. Inoltre, Virzì, assegna un ruolo importante ad Altiero (Andrea Carpenzano), il figlio che Cecilia attendeva da Sandro e che quindi, all’epoca del primo film, non era ancora nato.
Per la realizzazione del nuovo film, Virzì estrae dal cilindro il motivo che risulterà fondamentale per il ritorno sull’isola del gruppo dell’ormai malmesso fisicamente Sandro Molino (Silvio Orlando). Il fatto che Ventotene, durante il fascismo, sia stata una località di confinamento degli oppositori. Inoltre, che proprio in quell’isola, alcuni di quei confinati abbiano steso il “Manifesto di Ventotene”, presupposto ideologico-politico per l’edificazione di un’Europa federata e democratica.
Nel primo film questo fatto non viene minimamente preso in considerazione. Probabilmente perché all’epoca la tematica europeistica non aveva il ruolo che ha oggi. Non esisteva l’Euro e la UE non si era ancora allargata a comprendere i paesi ex-comunisti dell’est europeo. Stavolta, invece, Virzì ne approfitta per far apparire nel film le visioni – da parte del moribondo Sandro – degli estensori del “Manifesto” del 1943: Altiero Spinelli, Eugenio Colorni, Ursula Hirschmann. Inoltre appaiono anche altri confinati come Camilla Ravera e, soprattutto, l’ex presidente Sandro Pertini.
A questi, nel suo delirio, Sandro ripete esaltato la frase che Pertini stesso avrebbe pronunciato sugli spalti dello Stadio Bernabeu di Madrid, in occasione della vittoria dell’Italia, contro la Germania, nella finale della Coppa del Mondo del 1982: «Presidente Pertini, si ricorda? “Non ci prendono, più!”». Ma al Pertini del 1943, tale frase rimane oscura. Non poteva sapere che sarebbe diventato Presidente della Repubblica né quello che avrebbe detto quasi 40 dopo.
Un altro ferragosto: trama
Il figlio che Cecilia attendeva da Sandro – che era stato chiamato Altiero in onore di Spinelli – è ora un 28enne imprenditore digitale di successo gay (Andrea Carpenzano) e sposato con un fotomodello (Lorenzo Saugo). Non è mai stato in buoni rapporti col padre ma, sapendo che a costui mancano ormai pochi mesi di vita, gli organizza un’ultima vacanza sull’isoletta laziale, nella stessa villetta dove era stato concepito. Con l’occasione gli presenta il suo compagno di vita, che Sandro accoglie freddamente.
È diventata grande anche Martina (interpretata da Agnese Claisse, nella vita figlia primogenita di Laura Morante) che si presenta con suo figlio Tito (Lorenzo Nohman) che è diventato il nipote preferito di Sandro. Per tutto il film, infatti, il nonno non fa altro che illustrargli i luoghi dove vivevano i confinati. Sandro, infatti, vuole scrivere una lettera al Parlamento europeo per finanziare un restauro agli ultimi ruderi (il pollaio) dell’abitazione di Spinelli.
Ironia della sorte, nella villetta adiacente tornano anche i Mazzalupi per il matrimonio di Sabrina con il suo manager Cesare (Vinicio Marchioni), muscolato ex paracadutista nostalgico, già padre e divorziato con Daniela (Emanuela Fanelli). In questo film, ormai quarantenne, Sabrina è interpretata da una nuova attrice, Anna Ferrajoli Ravel. Il fratello, all’epoca bambino, è interpretato dal figlio di Ennio Fantaschini (Lorenzo).
La futura sposa è ora una nota influencer con al seguito giornalisti, sponsorizzatori e arrampicatori sociali. Cesare, però, non la ama ed è solo interessato al suo patrimonio. Subito dopo le nozze, infatti, Sabrina scopre che lui, d’intesa con l’ex-moglie, l’aveva convinta alla comunione dei beni al fine poi di intestare tutto al figlio di primo letto.
Stavolta i casi di scontro tra le due “tribù” sono due. Nel primo, sia pur blandamente, Cesare aggredisce il fotomodello gay marito di Altiero solo perché si era messo a parlare con suo figlio mentre facevano il bagno. Nel secondo caso i Mazzalupi, per allestire il ricevimento di nozze, avevano chiesto e ottenuto dal comune il permesso di utilizzare lo spiazzo dove insisteva l’abitazione di Spinelli e avevano abbattuto gli ultimi ruderi tanto cari a Sandro.
Ma i tempi sono cambiati. Nel corso della vicenda, infatti, Cesare si scuserà sinceramente con la coppia gay, mentre la nuova denuncia di Sandro non porterà ad alcun effetto perché in realtà il muretto superstite era stato in precedenza realizzato da Altiero, per far piacere al padre. Pertanto era un “falso storico”.

Dal film traspare la dissoluzione dei legami e il parziale abbandono delle ideologie
Come si vede, a quasi trent’anni di differenza, la contrapposizione tra i due gruppi è più blanda. Nel primo gruppo, solo Sandro e le due amiche gay Betta e Graziella sono rimasti “fedeli alla linea”. Tra i Mazzalupi, Sabrina viene apertamente contattata da esponenti del partito di estrema destra al governo per presentarsi candidata alla Camera ma, dopo un entusiasmo iniziale, sembra disinteressarsene.
Anche all’interno delle due “tribù” i componenti sembrano marciare in ordine sparso. Altiero appare completamente disinteressato alla politica. Impegnato a tempo pieno nella sua attività imprenditoriale. Anch’egli, inoltre, non disdegna di trovare modi per eludere il fisco, come un “Mazzalupi” qualunque.
Nel corso del film si scopre inoltre che Cecilia (Laura Morante) soffre il mancato coinvolgimento, da parte di Sandro, nei suoi ideali e nel suo impegno politico-sociale. Per tali motivi ha sempre tentato di tradirlo, finendo poi preda dei sensi di colpa. In una scena viene baciata da Roberto e ciò la getta nella disperazione più profonda. In un’altra trova rifugio addirittura tra le braccia del compagno di Marisa (Christian De Sica), ma senza andare oltre.
Marisa (Sabrina Ferilli) rivede Roberto (Gigio Alberti) ed ha con lui un incontro cordiale. Capisce, però, che è ormai passato il tempo delle “scappatelle”. Ritiene, tra l’altro – a ragione – che Cesare sia solo un approfittatore e tenta in ogni modo di convincere Sabrina di rinunciare a sposarlo, pur essendo i due alla vigilia delle nozze.
L’occasione si potrebbe presentare quando Sabrina rivede Ivan (Emiliano Bianchi). Questi non l’ha mai dimenticata ma, purtroppo, ora è sposato con una conduttrice radiofonica interpretata da Ema Stokholma. Costei è addirittura un’ammiratrice dell’influencer e vorrebbe anche invitarla in trasmissione. È un altro segno della permeabilità tra i due gruppi familiari, 28 anni dopo.
Altre aperture “a sinistra”, da parte dei Mazzalupi, sono l’ammissione di Cesare di ammirare la sincerità dell’amore dei due ragazzi gay (Altiero e il fotomodello). Inoltre, la commozione sino alle lacrime, da parte della prima moglie di Cesare (Emanuela Fanelli), alla visione in piazza di un film impegnato che ha per protagonista Mauro (Silvio Vannucci).
Nel finale Luciana Mazzalupi (Paola Tiziana Cruciani), non sopportando più di vivere senza il marito, si suicida affogandosi nel mare di Ventotene dopo avervi sparso le ceneri dell’amato consorte. Sandro, ormai delirante, muore sognando nuovamente di essere con i confinati del 1943 ma al momento in cui il fascismo è caduto. I confinati, con in testa Pertini, lo invitano a seguirli su una imbarcazione per organizzare con loro la resistenza. Sandro, prima titubante, accetta pronunciando nuovamente le parole: «Presidente Pertini “Non ci prendono, più!”». A significare che nel paradiso dei giusti non ci sarà finalmente posto per il revisionismo di destra.

Cast e regia
Girare il sequel di un film di spessore è sempre un’impresa improba. Pochi registi sono riusciti a realizzare una nuova opera convincente. Qualche riferimento al “prequel”, infatti, va necessariamente inserito e trovare nuovi spunti è difficile. A quel punto i paragoni sono inevitabili e, per la critica, diventa un divertimento sparare sul pianista. Diamo atto perciò a Virzì che l’inserimento nel film del ricordo dei confinati di Ventotene e del loro “Manifesto” sia stato un argomento convincente per la realizzazione di un sequel, tenuto anche conto che nell’opera precedente non ne aveva minimamente parlato. La realizzazione del film è inoltre giustificata dal fatto che l’Italia del 2023 è abbastanza diversa da quella del 1995. Più difficile capire in cosa sia differente e, di conseguenza, se Paolo Virzì (e gli altri due sceneggiatori Francesco Bruni e Carlo Virzì) siano stati in grado di mostrarcelo.
La tesi di Virzì è che oggi non vi siano più schieramenti diametralmente contrapposti sul piano ideologico, se si escludono alcuni gruppi minoritari, comunque culturalmente importanti, ancora ancorati sul loro Aventino. Se gli “intellettuali di sinistra” oggi sono pochi e invecchiati, anche la destra berlusconiana “produttiva” sembra sparita. Le giovani generazioni sono ora attratte dalla “new economy” digitale e la eventuale loro appartenenza politica appare più che altro “di facciata”. Da ciò che si vede la tesi è sicuramente accettabile e il regista lo ha saputo mettere in mostra abbastanza egregiamente.
Titanico è stato sicuramente, però, lo sforzo per tenere unito e rendere convincente un cast oltre modo numeroso. Silvio Orlando è stato praticamente perfetto. Silvio Vannucci quasi altrettanto ma la sua parte ha avuto poco spazio nel bailamme generale. Bravissima Anna Ferrajoli Ravel e Vinicio Marchioni poco al di sotto (forse leggermente patetico nel finale). Impeccabile Paola Tiziana Cruciani nella parte della vedova Mazzalupi e il piccolo Lorenzo Nohman. Sabrina Ferilli e Agnese Claisse strappano abbastanza egregiamente la sufficienza e Christian De Sica si avvicina al “sette pieno” (e non era scontato). Sette abbondante anche ad Emanuela Fanelli e Gigio Alberti. Sufficienza piena a Emiliano Bianchi, Lorenzo Fantastichini, Raffella Lebboroni e Claudia Della Seta.
L’appunto che ci sentiamo di fare al regista è quello di non aver saputo sfruttare appieno le grandi qualità di Laura Morante. La sua parte, infatti, ci è sembrata un po’ defilata e, comunque, non completamente adatta al suo spessore recitativo. Non ci ha particolarmente soddisfatto Andrea Carpenzano che, probabilmente, non pensava che la sua parte fosse così importante nell’economia della storia e non ha saputo immedesimarsene appieno. Si poteva fare di meglio con le musiche di sottofondo e ciò ci è sembrato strano, visto che uno degli sceneggiatori, Carlo Virzì è un musicista.
Non ci sentiamo, infine, di esprimere un giudizio su Ema Stokholma, essendo apparsa per pochissimi minuti ed ha praticamente recitato sé stessa (cioè la disc-jockey radiofonica). Stesso discorso si potrebbe fare – sospettiamo – per Lorenzo Saugo. Non classificato anche Rocco Papaleo: la sua è stata più che altro una “partecipazione straordinaria” di pochi minuti, sostanzialmente per onor di firma.

Lascia un commento