LA GRANDE AMBIZIONE di Andrea Segre (Italia 2024)

di Simone Lorenzati

A quarant’anni dalla sua morte il regista Andrea Segre decide di omaggiare Enrico Berlinguer, forse l’ultimo leader di partito davvero amato e apprezzato, dagli iscritti così come dai semplici votanti.
E per ricordare colui che fu segretario del Pci per dodici anni, Segre ci racconta cinque anni della vita berlingueriana, ossia dal 1973 al 1978.
Un lustro in cui la figura del comunista sassarese ci viene mostrata negli impegni strettamente politico/pubblici quanto all’interno della propria famiglia.
Ed allora tutto ruota intorno al Compromesso storico, anzi al Nuovo grande compromesso storico, facendo ripartire la storia dopo il primo, ossia quello della Resistenza.


Ci si muove lungo le paure di un ripetersi, meglio di un possibile ripetersi, dell’esperienza di Allende in Cile, quella speranza di costruire il socialismo nella democrazia, e che Berlinguer riteneva essere la sola possibile in un paese, come quello italiano, collocato ad Ovest, esperienza culminata sotto le bombe della Moneda orchestrate da Pinochet nel suo colpo di stato, sponsorizzato dai vicini Stati Uniti.
Quindi la assoluta necessità di governare, fosse pure solamente per un qualche tempo, non solo coi socialisti – che, curiosamente, nel film mai vengono nominati – ma anche con la Democrazia Cristiana, a costo di subire le feroci critiche dalla propria base.


Elio Germano si mostra, ancora una volta, come attore di una bravura notevolissima, capace di assomigliare a Berlinguer persino nei gesti delle mani.
Emerge un leader di partito coraggioso e solo, capace di slanci ma anche di indietreggiare.
Assistiamo al massimo storico per il Partito Comunista Italiano, tra le amministrative del 1975 e le politiche dell’estate ’76, quando i comunisti italiani presero oltre il 34%, ma ancora una volta superati dalla DC.
Ed ecco che, allora, diventa sempre più fondamentale dare una alternativa di sinistra ai governi democristiani. Alternativa che, però, necessariamente, per trovare il proprio benestare ad est come ad ovest, deve passare per una fase di governo transitorio con la DC.
Aldo Moro si dimostra il più dialogante tra i dirigenti democristiani ma, ahinoi, la storia prenderà altra direzione, allorquando il presidente democristiano verrà prima rapito e poi ucciso dalle Brigate Rosse.
Il film di Segre rappresenta un punto di vista, quello del Berlinguer visto dalla generazione successiva, da chi allora non c’era o era troppo piccolo per ricordarsene.


E se la ricostruzione degli ambienti e di quel periodo di ascesa a sinistra – anche extraparlamentare e di lotta armata, purtroppo – è impeccabile, la lettura storica è, chiaramente, quella, certamente parziale, del regista. E tuttavia.
Tuttavia chi scrive fa esattamente parte di chi quegli anni non li ha vissuti per motivi anagrafici. Di Berlinguer, e di quel Pci, ho però scritto e letto moltissimo. E quel mondo mi appare il paleolitico, un paese in cui un italiano su tre votava comunista, un milione e settecentomila iscritti al Pci, proprio nell’Italia che oggi vede al governo i nipoti di chi la nostra Magna Carta osteggiò (“si può instaurare il socialismo nella democrazia semplicemente seguendo la nostra Costituzione” dice Berlinguer).
E forse si è persa proprio la speranza, quella in un mondo differente. Speranza che si rispecchiava nelle lacrime del signore anziano accanto a me in sala quando si sono riaccese le luci, oppure in quella coppia claudicante che ci ha impiegato due minuti ad alzarsi dal proprio posto, ma Berlinguer lo meritava avranno pensato.
C’erano anche dei giovani nelle file dietro di me. Chissà se, sentendo le note de l’Internazionale, avranno immaginato un mondo diverso. Un mondo ancora oggi possibile.

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