di Girolamo Di Noto

Quando il cinema affronta un argomento spinoso come la guerra, ciò che prova a restituire non è solo la natura disumanizzante che porta con sé un atto bellico, ma anche il senso di impotenza, la paura, la disperazione di chi si trova costantemente braccato in una terra desolata, bruciata dove l’unica cosa che conta è quella di sopravvivere.
From Ground Zero, nel raccontare la guerra nella striscia di Gaza, ripresa violentemente dopo il devastante e sanguinoso attacco militare israeliano che ha fatto seguito agli attentati di Hamas del 7 ottobre 2023, va oltre perché non è solo una testimonianza di morte e dolore, devastazione e macerie, ma è anche l’espressione di un cinema dall’enorme valore politico e umano, poiché il suo intento è quello di dare voce a chi voce non ha, di sostenere un popolo, quello palestinese, che vive ogni giorno soffocato dalla guerra e dal silenzio mediatico.

Questo progetto lanciato negli ultimi mesi del 2023 da Rachid Masharawi, regista palestinese originario di Gaza, nasce quindi dalla necessità di tracciare la memoria di quanto vissuto, “affinché la storia dell’occupazione della Palestina non possa essere riscritta senza tenere conto di quella dei palestinesi”.

Selezionato per gli Oscar del 2025, From Ground Zero è un film collettivo di ventidue cortometraggi, ideati, scritti e diretti da altrettanti autori e autrici palestinesi che spalanca lo sguardo su come si vive a Gaza, sottraendosi al rischio di cadere nella retorica e nel sentimentalismo, ma mostrando l’orrore in tutta la sua spietatezza, ma anche la resistenza di chi, pur sopraffatto dal dolore, non si arrende, cercando rifugio e consolazione nel mare, unico orizzonte libero su cui lo sguardo può rassenerarsi o nell’arte, nella musica, nella poesia.

Attraverso una molteplicità di punti di vista e una pluralità di linguaggi e varietà di generi che spaziano dal documentario alla stop-motion, dal docu-fiction all’animazione, il film rende universali temi come il dolore, l’umanità perduta, frammenti di vita, speranza, desideri, storie d’amore che non sono raccontate nei telegiornali, immagini che raccontano una resistenza profonda che va oltre la paura della guerra.

Il film si apre con Selfies di Reem Mahmoud, che racconta di una ragazza che scrive un messaggio in bottiglia da affidare alle onde del mare destinato ad un amico ignoto, una lettera “che spero leggerai mentre sono ancora viva”, in cui racconta la propria giornata, dal risveglio nella tenda in cui dorme, vive, alle lunghe code ai bagni pubblici. Uno scorcio di vita caratterizzato dal desiderio che possa cessare il fuoco.

Storie di speranza, resistenza e disperazione si succedono in queste schegge vibranti di breve durata, dal disagio che prova un uomo nel cercare il fratello provando a scavare tra le macerie di No Signal di Al Sharif alle telefonate che registrano in diretta i bombardamenti in Echo di Moutafa Khoulab, dalla singolare “fortuna ” di chi, come nel corto 24 hours, è rimasto illeso per tre volte in un solo giorno, alla tragedia di Taxi Wanissa, dove la regista Etimad Washah interrompe il finale del suo lavoro per annunciare la morte del fratello.

A fare da collante a queste storie sono i bambini, vittime e martiri innocenti di ogni guerra, alcuni ripresi mentre sono intenti a raccogliere farina piovuta dal cielo, da mongolfiere che portano aiuti, una farina mista a sabbia, altri impegnati a tagliare e incollare cartoncini colorati per raccontare e in un certo senso esorcizzare il dramma che stanno subendo attraverso rudimentali tecniche di animazione.

Bambini alle prese con il panico dovuto ad un bombardamento o, come nel bellissimo A school day, di Al Donaf, ligi al dovere e al rispetto che va oltre la morte, quando racconta la storia del bambino che ogni giorno si presenta con i libri a studiare sulla tomba del suo maestro. Di grande impatto è anche Soft skin, realizzato da Khamis Masharawi, che racconta la storia di due fratelli sulle cui braccia e gambe sono stati scritti i loro nomi, nella terribile eventualità di essere più facilmente riconosciuti qualora finissero sotto le bombe.

C’è chi, come in Flashback di Islam Al Zeriei, pur perdendo tutto, vuole comunque salvare se stessa trovando rifugio nella danza, c’è chi tiene la mente lontana dai ricordi tristi tuffandosi nella musica o anche solo indossando una cuffia per non sentire il rumore fastidioso dei droni invadenti; c’è chi come il comico, nel pregevole Everything is fine, di Nidal Damo, deve comunque preparare il suo show e, nonostante il suo teatro presenti i segni della devastazione, tuttavia riuscirà a fare la sua esibizione tra gli sfollati, suscitando risate e gioia, almeno per un piccolo lasso di tempo.

I momenti di felicità però durano un attimo e non sempre c’è chi riesce a trovare nell’arte un rifugio. Due corti, in particolare, riflettono su questo aspetto: Offerings di Mustafa Al Nabih, la cui protagonista è una scrittrice che intorno a sé vede la miseria, mentre lei vorrebbe narrare di speranza e amore e Sorry Cinema di Ahmed Hassouma, una riflessione di commiato alla settima arte. Se prima il regista doveva correre dietro al Cinema per cercare fondi per realizzare film, adesso la sua maratona è tutta rivolta a salvare se stesso e i suoi cari, se prima desiderava che la sua giornata fosse di quarantotto ore, adesso vorrebbe che si accorciasse: la sua arte non può che documentare il suo fallimento di fronte alla triste realtà e la sequenza che vede il ciak essere utilizzato come legna da ardere per riscaldarsi è di grande impatto emotivo.

From Ground Zero è un film che non ha intenti anti ebraici, non si menzionano né Israele né Hamas, ma vuole fotografare la disperazione di civili inermi e indifesi, massacrati e ridotti alla povertà non certo da una classica operazione militare ma da una spietata azione carica di odio che continua a portare dolore e orrori indicibili.
Un cinema di pura urgenza espressiva che dà fiato a voci destinate a perdersi nel vento, che mostra come sia facile arrangiarsi, come in Hell’s Heaven, scegliendo come sacco a pelo il telo di plastica usato per i cadaveri, o stando attenti a non sprecare neanche un goccio d’acqua, come in Recycling di Rabab Khamis, in cui si vede una donna utilizzare una tanica d’acqua per lavare i bambini, i vestiti, i pavimenti, dar da bere alle piante fino al water, dove il ciclo riprende.
From Ground Zero è un film da non perdere, un lavoro prezioso che sottolinea la potenza del cinema di conservare la memoria, non solo quella dei potenti, un ritratto intimo della vita quotidiana e dello spirito duraturo di un popolo, quello palestinese, destinato comunque a resistere e a non arrendersi.
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