di Roberta Lamonica

Pensavo a come film ambientati in uno stesso contesto possano dare vibrazioni differenti.
Pensavo alle inquadrature di PTA sulle dita che si muovono agili e sensuali su tessuti rari e preziosi… a quanto sia egli riuscito a restituire allo sguardo dello spettatore il suo sguardo sulla magia di un’arte tanto antica e affascinante, quasi sacra fatta di delicatezza e precisione, di fantasia sconfinata e geometrie perfette.
Ferzan Ozpetek, il regista italo-turco apprezzato in Bagno Turco, Le fate ignoranti, La finestra di fronte, Saturno Contro e Mine vaganti in questo suo ultimo lavoro, Diamanti – grande successo al botteghino natalizio – nonostante l’amore dichiarato e anche realmente vissuto con il mondo della sartoria, della moda e dei costumi di scena, a mio parere non riesce a realizzare l’abito perfetto, quello sognato, cercato e rincorso, in tutto il film e forse in tutta la sua carriera da cineasta.
L’abito perfetto è l’universo femminile, la Madre da sempre al centro della sua filmografia, universo affascinante e archetipo imprescindibile.
Usa l’espediente metacinematografico, Ozpetek, confondendo i fili delle linee narrative con quelli degli abiti della Sartoria Canova e mette nel suo film di tutto un po’: violenza domestica, depressione adolescenziale, lutti indicibili, illusioni e delusioni d’amore, madri single, giovani manifestanti e signore mature in relazioni con docili e insulsi giovanotti.
Un cast numericamente importante, composto da volti già conosciuti in suoi film precedenti e altri comunque molto noti al grande pubblico.

La sorellanza, la solidarietà femminile e la forza immensa che ogni donna nasconde dentro di sé, la capacità di sopportare il male e quella di superarlo sono il nucleo tematico di questo Diamanti, in cui ogni protagonista con la sua storia unica, privata eppure universale, rappresenta una sfaccettatura della pietra più preziosa, scintillante e… dura.
Ciò che mi torna è però poco più di una fiction in salsa rosa con una sceneggiatura debole in cui alcune delle protagoniste fanno battute da osteria su maschietti buttati lì a caso con torso nudo e aria prevalentemente post adolescenziale, fumando spesso e troppo… quasi fosse un indice imprescindibile di libertà ed emancipazione.
Il capovolgimento del punto di vista qui è piuttosto la sostituzione di ‘genere’ dí modalità relazionali ugualmente ripugnanti, i momenti canori collettivi sono decontestualizzati e a tratti imbarazzanti, come il siparietto tra la Signoris e la Smutniak (!). Lo sguardo compiaciuto ed ego riferito da Deus ex machina di un regista che si ostina a pescare in radici che qui sembrano inaridite, appare a più riprese, conscio che le battute di Geppi o la ‘liberazione’ di Nicoletta strapperanno gli applausi del pubblico in sala.
Peccato, perché l’idea di fondo è anche buona e buona è la risposta ‘affettiva’ delle sue attrici che non si rubano la scena, anzi. Bella la fotografia e i momenti ‘marchio di fabbrica’ di Ozpetek: i pranzi sontuosi e i dettagli curati di uno sguardo borghese che comunque sempre troneggia, a vario titolo, nei suoi film.

I primi piani insistiti su Luisa Ranieri che ci dona una unica espressione in tutto il film e quelli su Jasmine Trinca, mater lacrimosa fino allo sfinimento, aggiungono quel di più di melò che è decisamente di troppo.
Oltre al Paradiso delle Signore che molti hanno individuato come riferimento, sicuramente il regista turco aveva in mente anche Cenerentola e Candy Candy. Palese. E forse anche gli spot dei profumi di J.P. Gaultier.
Impalpabile la presenza di Accorsi e di qualunque altro personaggio maschile. Una menzione speciale per la splendida Vanessa Scalera.
Imbarazzante l’omaggio alle icone del cinema italiano sui titoli di coda. Continua la tendenza piaciona del cinema italiano (finanziato con fondi pubblici) che mira ad arrivare ‘subito’ e a toccare corde scoperte di un pubblico che vuole identificarsi, compatire e specchiarsi, affamato di sole, cuore e amore
Diamanti ha forse il merito di aprire uno spazio di discussione e di certo non manca di ambizioni ma resta terribilmente in superficie, su tutto. Dal cinema mi aspetto crescita, curiosità, riferimenti interculturali, ricerca, sperimentazione, recitazioni emozionanti, arte, cultura… storia e storie.
Non ci siamo, ma come al solito è un giudizio del tutto personale.
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