Il violinista sul tetto, di Norman Jewison (Usa/1971)

di Girolamo Di Noto

Norman Jewison, scomparso a Los Angeles all’età di 97 anni, talento versatile del cinema, ha consegnato film di grande popolarità come Jesus Cristh Superstar, La calda notte dell’ispettore Tibbs, Stregata dalla luna. Tra le sue numerose opere va senz’altro menzionato Il violinista sul tetto, poetico e commovente affresco di una piccola comunità ebraica che vive nella Russia pre- rivoluzionaria.

Nel villaggio di Anatevka, un tipico shtetl nella zona di residenza dell’impero russo, vive il lattaio ebreo Tevye (Topol), insieme alla moglie Golde (Norma Crane) e cinque figlie. Ogni giorno deve lottare con la miseria e le ingiustizie e mantenere vive le sue tradizioni religiose e culturali ebraiche per sé e la sua famiglia: sotto la minaccia dei pogrom, emigrerà negli Stati Uniti.

Vincitore di tre premi Oscar, tratto dal musical di grande successo di Joseph Stein, andato in scena per la prima volta a Broadway nel 1964, Il violinista sul tetto racconta, attraverso le vicissitudini della famiglia del lattaio, l’esperienza umana di un popolo, quello ebraico, alle prese con persecuzioni ed emarginazione, mettendo in scena, con le bellissime musiche di Jerry Bock e John Williams, una condizione di precarietà come può essere quella di un violinista che suona sul tetto di una casa.

Ispirato ad un soggetto ricorrente nei quadri di Chagall, il violinista incarna perfettamente, nella sua posizione di instabile equilibrio, l’uomo che cerca di vivere, o meglio sopravvivere , senza farsi male, “costretto ad improvvisare una melodia senza rompersi l’osso del collo”, metafora di una condizione di instabilità alleviata dall’ancoraggio di un tetto. Come il violinista di Chagall non affonda i propri piedi nel terreno ma sui tetti delle case che lo hanno visto crescere, così Tevye e gli abitanti dello shtetl cercano un’identità a partire dal loro piccolo villaggio, desiderano di trovare quella stabilità, quel solido appoggio che non hanno mai trovato sotto i loro piedi.

Le musiche sono trascinanti e i testi significativi delle canzoni tendono a sottolineare e a rimarcare ciò che viene espresso nei dialoghi tra i protagonisti o nei monologhi, spesso intrisi di comicità e malinconia, del lattaio con Dio. Anatevka è la casa per eccellenza, è l’heimat, il rifugio, “Appartengo ad Anatevka”, si dice nella canzone, così come si evidenzia il triste presagio di un destino avverso quando il protagonista canta: “Presto sarò un estraneo in uno strano posto nuovo”.

Tevye, straordinariamente interpretato dall’attore israeliano Topol, scomparso nel 2023, recita, canta, balla con occhi di allegria e malinconia: ogni suo pensiero è improntato all’osservazione della tradizione ma deve fare i conti con il dolore del cambiamento. La sua vita è intrisa di dogmi ma anche di buonsenso e di umanità: sembra rigido ma poi finisce con l’essere bonario e accomodante con le figlie ribelli che per far ragionare il padre scelgono parole legate ai sentimenti. Ha una fede che non crolla di fronte alle avversità, prova dolore per una figlia innamorata di un non ebreo o per un’altra che seguirà il suo innamorato in Siberia, ama fare citazioni bibliche che sbaglia sistematicamente e, pur se cerca inutilmente di scalfire il silenzio di Dio, non si perde d’animo, ripetendo spesso l’espressione “ma d’altra parte” per trovare una soluzione al problema e vedere sempre il lato positivo.

Nei suoi monologhi con Dio confida i suoi pensieri, si mortifica per la sua condizione umana derelitta, esprime dubbi sulle decisioni da prendere, esalta i suoi sogni di ricchezza: If I were a Rich Man, una delle canzoni indimenticabili del film, richiama le difficoltà della povertà e di come la ricchezza potrebbe cambiare la vita di Tevye. “Se fossi un uomo ricco gli uomini più importanti della città verrebbero a chiedermi consigli e non farebbe alcuna differenza se rispondessi giusto o sbagliato , “Se fossi un uomo ricco avrei il tempo che mi manca”, “Se fossi un uomo ricco non lavorerei sodo”.

Pur non essendo ricco, Tevye riuscirà comunque a sfamare le proprie figlie e a trovare il modo per istruirle. Il suo stile di vita, sebbene faticoso, è rispettoso e onesto. “È un uomo povero di denaro ma ricco di figliuole”, esempio più rappresentativo dell’abitante del villaggio, con la sua ricchezza di sentimenti, di storie di tutti i giorni e di miseria.

Il violinista sul tetto è un omaggio alla cultura e alla tradizione yiddish, è una storia di dignità e speranza che conduce ad una vasta gamma di emozioni, dalla felicità alla tristezza, è il racconto delle sofferenze storiche di un popolo attraverso canzoni e danze folkloristiche. Si racconta della storia del lattaio ma anche della vita nello shtetl, dove la gente nasceva, si sposava, moriva, dove trovavi un insegnante che istruiva i bambini, una maniera per guadagnarsi da vivere, un luogo dove pregare. Si racconta di episodi sporadici di lealtà tra ebrei e non ebrei: si pensi al comandante russo che cerca di proteggere Tevye, pur non potendo evitare il saccheggio, oppure all’amicizia sfociata poi in amore, tra la figlia di Tevye e lo studente Perchik.

Scorgiamo l’emergere del ceto medio, simboleggiato dalla macchina per cucire di Motel, vediamo germogliare i semi della coscienza politica nell’addio della seconda figlia del lattaio, accanto al marito idealista, per battersi in nome dell’uguaglianza e della libertà.

Accompagnato da indimenticabili numeri musicali come If i were a Rich Man, Sunrise, Sunset, Tradition, lo spettatore rivive la vita travagliata del popolo ebraico, l’amore, l’umorismo di persone costrette a vivere sul filo del rasoio, sempre messe nella condizione di trovare un equilibrio ad ogni colpo inferto dalla vita. Un microcosmo di persone che danza tra gioie e preoccupazioni sino alla triste e ingiusta fine con la persecuzione e l’esilio.

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