di Girolamo Di Noto

Ci sono film dai quali emerge che non c’è niente che possa illuminare le vite degli spettatori, niente che possa arricchirli di valori, eppure da questi film non ci si stacca, sembrano avere un’attrazione irresistibile, dai quali si resta catturati come in un incantesimo.

The Informers di Gregor Jordan, è senza dubbio una tra le opere più nichiliste e ciniche che il cinema abbia realizzato negli ultimi anni, merito certo dei racconti da cui è tratto, Acqua dal sole di Bret Easton Ellis, cantore del lato oscuro del sogno americano, del vuoto desolante di una gioventù, quella degli anni Ottanta, che ha avuto tutto troppo in fretta e si è persa lentamente dentro un’impietosa anafettività, portando avanti vite amorali, senza scopi precisi.

È il sole, dalla scena iniziale ambientata in piscina fino alla splendida sequenza finale della donna distesa su una spiaggia, a fare da filo conduttore del film: un sole che abbacina, abbaglia, offusca, inganna una serie di personaggi ambigui come rockstar, criminali, produttori cinematografici, yuppies viziati che popolano una Los Angeles arroventata del 1983.

Tra droga, sesso promiscuo, soldi e l’avvento dell’Aids, seguiamo le vicissitudini di alcune persone come il rampollo Graham Sloan ( Jon Foster), fidanzato con la ninfomane Christie (Amber Heard), il produttore William Sloan (Billy Bob Thornton), padre di Graham, che vuole tornare assieme all’ex moglie depressa Laura (Kim Basinger) ma è ancora innamorato della sua amante Cheryl (Winona Ryder), il cantante Bryan Metro ( Mel Raido), eroinomane e autodistruttivo, il portiere Jack ( Brad Renfro), che vorrebbe diventare ricco a tutti i costi, coinvolto suo malgrado negli affari criminali dello zio Peter ( Mickey Rourke).

Il film si presenta con una carica d’intensità visiva, visionaria e lucida, capace di comunicare in ogni sequenza il lento e inesorabile disgregarsi che attanaglia le esistenze che compongono questa dissociata società. Ciò che emerge è l’affresco epocale di una generazione giovane vacua, incapace di pensare al futuro, senza valori, le cui vite si limitano a giorni vuoti da riempire, passati senza realizzare nulla di concreto.

Assistiamo a incontri casuali in cui i dialoghi sono infarciti solo di linguaggio preso a prestito dalla televisione, dalla musica pop, dalle riviste patinate, osserviamo persone caratterizzate da gesti quasi robotici, dediti solo all’edonismo e all’apparenza. Feste glam, tradimenti, lussuosità straripante, droghe stordenti, relazioni superficiali sono alla base della loro vita, dominata da un clima vuoto, quasi soffocante, autodistruttivo.

Si assiste ad un pullulare di frenetiche esistenze senza senso come quella della rockstar che più per la performance artistica è ricordata per le sue intemperanze causate dall’uso della droga o quella della moglie del produttore (sempre sopra le righe la Basinger) che trascina le sue giornate tra Valium, shopping, party noiosissimi durante i quali però deve mostrare di essere felice quando invece non è che disfatta e affranta.

Manca la felicità, la vera felicità in questo film, non c’è un sorriso se non finto: accompagnati da New Cold Dream dei Simple Minds e da altri bellissimi brani di Wang Chung, Devo, Gary Numan, questi personaggi all’inizio sembrano avere tutto per essere felici (soldi, lavoro, bellezza, ragazze), eppure lentamente vediamo disgregarsi le loro esistenze in un deserto di sentimenti, smarrimenti, solitudini.

Permane nello scorrere dei giorni uno stato di perenne noia e indifferenza, sia che si tratti di una festa, sia che si tratti di un momento triste come nella scena del funerale del ragazzo che si è andato a schiantare con la sua BMW “tentando di accendere uno spino”: i giovani amici restano impassibili, continuano a bere e a chiacchierare durante la cerimonia, come se nulla fosse successo.

C’è incomunicabilità tra il padre Les ( Chris Isaak) e il figlio apatico Tim ( Lou Taylor Pucci), che vanno in vacanza nelle Hawaii cercando di ricucire un rapporto inesistente, si intrecciano, come in un film di Altman, storie di giovani figli di papà senza una morale e adulti disillusi dalla vita.

Vite sull’orlo di un baratro e senza scrupoli che rapiscono minorenni si intersecano con altre vite che invece hanno messo al primo posto solo ed esclusivamente il corpo, come quella di Christie, una Amber Heard che appare più nuda che gestita, che usa il corpo solo per essere messo in scena, offrendo della sessualità non un piacere fisico e sensoriale ma un semplice anestetico, un’azione abitudinaria che si esaurisce nella semplice mercificazione di un atto.
Sembrano usciti da una pagina di Bauman questi personaggi “la cui attenzione per il corpo si è trasformata in una preoccupazione suprema”: sono palestrati, bellissimi, corpi da modellare, ma sotto la superficie abbronzata si cela un’inquietudine fragile, un’intera gamma di dolori e incomprensioni, testimoniata dall’uso eccessivo di alcool, librium, droghe.

The Informers è la fotografia scioccante di un mondo apatico, privo di personalità, il ritratto impietoso di un mondo decadente che mette in un posto irrilevante l’essere a discapito dell’apparire, perso nell’autodistruzione e nello svago estenuante e che si vede – quasi in maniera simbolica – rappresentato dall’attore Brad Renfro, qui nella sua ultima apparizione prima della sua morte di overdose di eroina avvenuta poco dopo la fine delle riprese.

Renfro sarà inghiottito dal lato oscuro della celebrità, così come il corpo coperto di lividi di Christie che resta disteso su una spiaggia nella bellissima scena finale, si farà carico di tutta la vertigine dei personaggi, vissuti nell’opulenza e nell’apatia, protagonisti non di un romanzo di formazione ma di dissoluzione, alla ricerca continua di un sole che prima o poi finirà con lo spegnersi, come le passioni di un giorno cancellate nell’arco di una sola notte.
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