Clerks, di Kevin Smith (Usa/1994)

di Girolamo Di Noto



Ci sono registi – agli inizi della loro carriera – che sono stati capaci di segnare la storia del cinema non solo perché sono riusciti a realizzare opere interessanti e significative ma anche perché hanno avuto il merito di credere che il proprio sogno – quello di diventare un filmmaker affermato – potesse avverarsi.
Uno degli esempi più lampanti è quello di Kevin Smith e del suo Clerks, un’opera prima realizzata con pochissimi soldi ( 27 mila dollari) ma con tante idee, tanto da meritarsi il successo prima al Sundance Film Festival, notoriamente molto attento agli artisti indipendenti emergenti, poi a Cannes, vincendo il Premio per il miglior film della Settimana della Critica, diventando un cult-movie a tutti gli effetti.

Clerks racconta una giornata nelle vite di Dante Hicks (Brian O’Halloran) e Randall Graves (Jeff Andersson), due giovani che, abbandonato il college, si guadagnano da vivere come commessi sottopagati di un minimarket e di un noleggio di videocassette. All’interno di un negozio che fa da palcoscenico a quasi tutta la pellicola, la giornata trascorre tra attacchi di clienti bizzarri e inferociti, chiacchiere esistenziali, shock provocati da fidanzate attuali ed ex, situazioni paradossali che danno vita ad una deliziosa commedia dell’assurdo, assolutamente politically incorrect, che rimandano ad una realtà americana provinciale e desolante, ben lontana da quella vincente che spesso viene proposta e venduta dai film hollywoodiani.

Clerks appartiene nel suo genere, per la sua stravagante e dissacrante originalità di situazioni, alla commedia minimalista di Jarmusch, per il suo fatto di essere un microcosmo di personaggi perdenti, ognuno diverso a suo modo, che filosofeggia sula vita e ricevendo da essa solo sberle, ma anche alla commedia stralunata ed esistenziale di Kaurismaki.

Potremmo elencare tante associazioni, diversi rimandi, ma quel che ci preme sottolineare è che Smith scrive, dirige, monta e produce un film indipendente, senza vezzi d’autore né cliché hollywoodiani, un film autentico, libero, ironico, intriso di sana volgarità, politicamente scorretto (in un tempo in cui era possibile esserlo), un film costituito da dialoghi serrati in cui si ride e si è seri, perché ciò che mettono a nudo i personaggi di questo film sono le proprie verità, le proprie debolezze, l’inanità delle loro esistenze.

A popolare il minimarket e il videostore adiacente è gente bizzarra, sono clienti stralunati: direttori didattici che sfogano la loro frustrazione cercando di trovare l’uovo perfetto, rappresentanti di gomme da masticare che si spacciano per tutori della salute, bambine che comprano sigarette, amanti delle storie sugli alieni desiderosi di condividere con qualcuno il loro interesse e via dicendo, ma ad emergere e a prendere quasi tutta la scena sono però i due protagonisti, Dante e Randall: molto amici tra loro, entrambi accomunati dall’essere privi di aspettative e di utopie, in grado di passare dal dibattito morale sulle vittime civili dell’attacco alla Morte Nera ispirato da Star Wars, all’umorismo più crudo e demenziale che finisce sempre per concludersi con le prestazioni sessuali delle ex fidanzate.

Dante si sente una vittima, è obbligato a lavorare nel suo giorno libero, Randall invece vive la sua quotidianità con cinismo e ironia: l’uno è paziente e quasi remissivo nei confronti della sua clientela, l’altro risponde a tono ai clienti, sviscera col fornitore – in una delle scene più memorabili del film – una lunga lista di titoli porno davanti alla mamma con bimbo, è un nichilista dal linguaggio ribelle e disturbante, che dice le cose così come sono, senza pensarci, senza edulcorarle di speranza e falsa diplomazia e che invita l’amico – in un passaggio-chiave del film – a non lamentarsi della propria situazione e a prendere coscienza di quello che si è.

“Ci godi al pensiero di avere tutto il mondo da portare sulle spalle, come se qui tutto senza di te fosse destinato alla rovina! Ah, cazzo, ti sopravvaluti per compensare il fatto che fai un lavoro da scimmia! Batti dei tasti, tutto lì! Anche un deficiente potrebbe stare al tuo posto senza il minimo problema! Tu, tu sei ossessionato dall’ansia di farlo sembrare una cosa epica, molto più importante di quello che non è! Cazzo! Lavori in un negozio di generi alimentari, e con uno stipendio di merda! Lo vuoi sapere? Jay, quello sì, che è in gamba, lui almeno non si fa illusioni! Noi invece? Noi invece ci crediamo chissà chi! Come fossimo meglio di tutti quelli che vengono a comprare giornali e sigarette! Li guardiamo dall’alto in basso, manco fossimo di una razza superiore! Bè, se davvero lo siamo, come mai lavoriamo qui?!?!”

Clerks è il fermo immagine della generazione X (guarda caso Hicks è il cognome del protagonista), una generazione scettica, disillusa, che non ha nessuna voglia di crescere e assimilarsi, che ormai non crede più a niente e che fa colazione anche con un toast, come quella cantata da noi da Vasco Rossi, e che trova miglior rappresentazione non solo nei due protagonisti ma anche in due simpatici spacciatori che ciondolano, come se aspettassero un aggiornato Godot, tra l’esterno e l’interno del negozio, lo sboccato e logorroico Jay (Jason Mewes) e il silenzioso Silent Bob (impersonato dallo stesso Kevin Smith), che ci regala una piccola perla di saggezza, parlando quasi nel finale del film.

Diviso in undici capitoli, fotografato in un bianco e nero sgranato e accompagnato da brani di tutto rispetto suonati da artisti vari come Alice in Chains, The Jesus Lizard, Bad Religion, Clerks è diventato con il tempo uno dei cult-movie per eccellenza, un film geniale che non si limita ad essere solo lo sfoggio di una carrellata di personaggi stravaganti, ma che attraverso l’ironia affronta le difficoltà insite nella vita, dalla paura di prendersi le proprie responsabilità alla voglia di non crescere, fino al desiderio di fare un lavoro che ti possa far sentire gratificato, ma che racconta anche la bellezza del sentirsi ascoltati dal proprio amico, la voglia di trasgredire, la soddisfazione di deridere il cliente, la libertà estrema di combinare guai persino ad un funerale o di giocare a hockey sulla terrazza del negozio in orario di lavoro.

Clerks è tutto questo, un film irriverente, sarcastico, stupefacente, la narrazione di una giornata che – ahimè – sembra destinata a ripetersi per sempre.

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