di Simone Lorenzati

The Quartet, film britannico del 2012, ha rappresentato il debutto alla regia del grandissimo attore Dustin Hoffman. Ed è un film davvero gradevolissimo.
La location è una casa di riposo per cantanti lirici e musicisti nella campagna inglese. Ed è lì che, tra un “Amami Alfredo” e un “Vissi d’arte” gorgheggiati da voci veterane ma sempre notevoli, gli ospiti e lo staff preparano un galà per celebrare degnamente il compleanno di Verdi, col dichiarato obbiettivo di tirar su qualche fondo per l’istituzione che è sì benemerita, ma alquanto ‘cagionevole’ finanziariamente.

Ed allora “Ma ti ricordi quella volta al Covent Garden che facevo Gilda e io che il Tristano che mannaggia non sono mai riuscito a cantare…e quella volta che gli applausi sono andati avanti per mezz’ora e m’hanno fatta uscire otto volte?” “Eh no, mia cara, io dovevo uscire almeno dodici volte, dodici, altrimenti non la piantavano!” Insomma bizze, capricci, manie da terza età con l’aggravante del passato lirico, il che significa ricerca costante di applausi, egomanie e egolatrie, rivalità sanguinose, dispetti, sgambetti, cattiverie più o meno palesi, eppure gradevolissime per noi spettatori.
Che poi, a ben vedere,, le cattiverie tra soprano un tempo acerrime nemiche e ora costrette a coabitare sotto lo stesso tetto, sono piuttosto leggere. Certo, Hoffman non rinuncia a più di una battuta in stile British – aiutato in ciò dalla splendida campagna inglese a incorniciare la villa in cui la pellicola è ambientata – e molti di quegli adorabili vecchietti li vorresti davvero avere come vicini di casa.

Maggie Smith, recentemente scomparsa, qui è Jean, soprano celeberrimo, ora malmessa per via dell’anca che non la regge più, e costretta così a rifugiarsi nella casa di riposo. Lì incontrerà la rivale di sempre (“Figuriamoci, cantava Violetta come fosse il Falstaff), parecchi splendidi coetanei dal passato più o meno luminoso, compresa una cantante che ogni tanto perde i colpi causa Alzheimer, unitamente ad un ex baritono sempre assatanato di sesso, gonnelle (e alcol).
Ma reincontrerà, soprattutto, il suo primo grande amore (Tom Courtenay), un tenore che lei tradì e lasciò ad un passo dal matrimonio. Ed il loro ritrovarsi è esattamente l’asse narrativo su cui poggia l’intero film.

E cosa ci insegna, dunque, il debutto di Dustin Hoffman dietro la macchina da presa? Ad avviso di chi scrive fondamentalmente due cose. La prima è che, a qualunque età, ciò che davvero ci rende vivi è la passione. E la passione per la musica supera davvero ogni tipo di confine ed ogni tipo di barriera, anagrafica e non.
Infine, last but not least verrebbe da dire, ci ricorda come certi amori “fanno dei giri immensi e poi ritornano”. E possono esserci stati errori ed incomprensioni, ma quella brace che arde sotto la cenere tornerà a bruciare e a far battere all’unisono quei due cuori. Magari su di un palco, tra sorrisi ed applausi scroscianti.

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