di Alessio Galli

Alla fine del 2024 è arrivato nelle sale Conclave, film tratto dal libro di Robert Harris e diretto da Edward Berger (alle prese ancora con un adattamento dalle pagine allo schermo, dopo Niente di nuovo sul fronte Occidentale del 2022).
La pellicola ha l’ambizione di svelare le pieghe oscure dell’intellighenzia della Chiesa romana, mettendo sotto i riflettori il lato più umano (nel senso peggiorativo del termine) di un manipolo di cardinali durante l’elezione del nuovo pontefice. Il motore di propulsione è il decano Thomas Lawrence, interpretato da Ralph Fiennes, che nel mezzo di una crisi di fede deve affrontare il gravoso incarico della gestione del conclave. La sua azione, che svolge in qualità tanto di centro gravitazionale degli eventi quanto di bussola di moralità e di fede, travalica il confine del mero amministratore e maestro delle cerimonie: calza i panni di un ispettore che – neanche sempre in prima persona – deve districare le trame che circondano i pretendenti al trono vaticano, nel tentativo di salvare una turbolenta elezione papale.

Se – come pure comprensibile, nonostante un’azzeccatissima fotografia – non si dovesse immaginare fin da subito l’atmosfera da thriller che ammanta il conclave, è la colonna sonora di Volker Bertelmann, volutamente più da mistero che da inno sacro, a scandire i passaggi salienti, sottolineando con i suoi toni enfatici il dipanarsi dei segreti che rischiano di intaccare una Chiesa inesorabilmente indirizzata verso il declino. Lo spettatore è così aiutato a interrogarsi su ciò che può accadere, ma non tanto per un coinvolgimento da fiato sospeso, quanto più per una generica curiosità: i momenti di “thrill” sono ben pochi, complice il fatto che il protagonista demanda spesso lo svolgimento dell’indagine a un suo assistente, relegando la scoperta di alcuni misteri al fuori scena.
Lo scontro tra una visione tradizionalista e una liberale del credo cattolico, temi assolutamente rilevanti per una Chiesa che nel nuovo millennio si trascina avanti a fatica, è solo superficialmente tratteggiato. Le differenze tra le fazioni sono elencate in maniera didascalica e manca un affondo socioculturale e politico che avrebbe dato un peso maggiore alle motivazioni di alcuni personaggi, che risultano dei gusci vuoti, interessati esclusivamente al soglio pontificio – sentimenti che di per sé sono credibili, ma che in questo lavoro di finzione risultano piatti e vuoti, privi di un vero spirito in grado di animare i personaggi e le loro azioni.

Se alcune inquadrature del film di Harris ricordano in modo piuttosto evidente Todo Modo di Elio Petri, del film del regista italiano manca la forte connotazione politica ed ideologica.
Eppure, ciò non toglie assolutamente nulla alle eccellenti prove attoriali del cast stellato, meritevole di tutte le “awards predictions” che circondano questo film. Accanto all’ottima interpretazione di Fiennes, permeata dell’eccezionale gravitas richiesta dal fardello del suo ufficio, attori del calibro di Stanley Tucci e John Lithgow regalano performance cariche di intensità, a cui si aggiunge la sommessa – ma fondamentale – Isabella Rossellini, in un ruolo che le frutterà candidature ai più importanti premi internazionali. Tra gli attori italiani si annoveraanche Sergio Castellito, che spicca all’interno di un prestigioso gruppo di attori per i toni esagerati e sopra le righe.

Si apprezza soprattutto la scelta delle locations che fanno da cornice al conclave. Per chi vive a Roma è abbastanza strano ritrovare un Vaticano che mischia i giardini di Villa Giulia, le scalinate della Reggia di Caserta e gli spigoli razionalisti dell’EUR, ma sono tutte scelte fortunate che restituiscono l’immagine di una Curia opulenta e distaccata dal mondo esterno, un mondo che sullo schermo non compare. Così si segna il distacco tra una Chiesa rinchiusa nei suoi arcani misterici, presa da giochi di potere e non attenta a quello che accade (per sua stessa volontà). Alla fine purtroppo l’opera si perde, non capendo quale sia la sua vera natura: non riesce a essere completamente né un impeccabile thriller né una critica alla struttura gerarchica cattolica, che – pur essendo la scenografia di contorno – poteva rivelarsi la vera chiave del successo di Conclave.

Il colpo di scena finale, svelato dal deus ex machina (ovvero il collaboratore del decano Lawrence), lascia abbastanza sorpresi, quantomeno per l’inverosimiglianza delle sue premesse, ed è forse l’unico momento del film a richiedere un vero atto di fede.

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