di Girolamo Di Noto

La Passione di Giovanna d’Arco è un capolavoro del cinema e va considerato come una delle più significative opere d’arte del ‘900, alla stregua di Guernica di Picasso o L’urlo di Munch. È la storia, come viene specificato dalle didascalie introduttive, di una giovane donna credente messa a confronto con un consesso di teologi ottusi e giuristi intransigenti. La vicenda, la celebre storia della pulzella d’Orléans, è condensata nell’unica giornata del 30 maggio 1431, raccontata in un solo processo ed è priva di ogni riferimento allo sfondo della guerra dei cent’anni, ponendosi in questo modo come obiettivo il raggiungimento, come scrisse il critico Lourcelles, di una “verità estetista e psicologica del soggetto”.

Giovanna, analfabeta e ribelle, è colta nella sua passione più che nel processo, è raffigurata nella sua essenza di martire più che come testimone reale di una vicenda giuridica ed è il chiaro del suo viso, spogliato di qualsiasi trucco, a contrapporsi alle ombre dure sui volti sinistri e segnati dei giudici del tribunale.

Questa dicotomia tra bianco e nero, tra il candore e l’innocenza della pallida diciannovenne e gli oscuri volti rugosi e arcigni degli inquisitori è tutta insita nello stile del regista danese che qui opera una sorta di fusione tra l’espressionismo tedesco, che mette in primo piano una resa onirica, deformante e innaturale delle forme e l’avanguardia francese, che invece si concentra maggiormente su un’introspezione psicologica, arrivando ad esplorare il volto umano come riflesso dell’anima e della sofferenza, a rappresentazione della lotta interiore ed esterna della protagonista contro i suoi carnefici.

Cosparsa di lacrime, lambita dalle fiamme, rapata a zero, Giovanna ha di fronte a sé l’ostilità della repressione, del potere politico e contro di essi lotta per l’affermazione di una verità altra, individuale, scegliendo la morte all’abiura del suo credo. Il film non solo misura la forza della femminilizzazione della Passione di Cristo ma costituisce anche una critica massiccia al sistema clericale, concentrata nella frase di un prelato che indica nell’offesa all’istituzione la giustificazione alla condanna a morte della ragazza. “Dal momento che siete certa della vostra Salvezza, allora non avete bisogno della Chiesa?”.

La bellezza dell’anima di Giovanna è racchiusa negli sguardi carichi di intensità emotiva, nell’espressione di dolore mentre sopporta la corona di spine sul capo o mentre le viene rasata la testa o quando arde tra le fiamme con sguardo perso e abbandonato.

“Niente al mondo è paragonabile al volto umano”, ebbe a dire una volta Dreyer, “È una terra che non ci si stanca mai di esplorare”. In tal senso la splendida fotografia di Rudolph Maté riesce nell’intento di dare vita ad una tragedia quasi esclusivamente spirituale, in cui ogni azione è interiore e si esprime attraverso il viso dei personaggi.

Grande prova dell’attrice Renée Falconetti che si immedesimò tanto nel personaggio di Giovanna da rimanere imprigionata in un disturbo nevrotico che condizionò i restanti giorni della sua vita.

La Passione di Giovanna d’Arco è un film che parla senza usare le parole, che smuove corde profonde, un mosaico di sguardi che trascinano la vicenda in un crescendo sempre più tormentato, capolavoro indiscusso del cinema muto, le cui immagini ancora oggi raggiungono una potenza espressiva, una forza d’impatto di rara bellezza, da imprimersi indelebilmente nella memoria di tutti noi.

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