Preparations to be together for an unknown period of time, di Lili Horvát (Ungheria/2020)

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GIORNATE DEGLI AUTORI

di Andrea Lilli

Preparativi per stare insieme un imprecisato periodo di tempo. Era il titolo di uno spettacolo di teatro underground del 1972. Lili Horvát, classe 1982, dice che lo trovò in un libro molti anni fa, quando era una ragazzina. Non l’ha mai dimenticato. Due anni fa ne ha acquistato i diritti, dopo aver scritto questo bellissimo film che è la storia di un colpo di fulmine. Cos’è un colpo di fulmine? Una folgorazione, imprevedibile, che da fuori ti afferra dentro, ti blocca, ti ammutolisce, ti scaraventa contro te stesso. 

Io chiudo gli occhi e tutto il mondo muore;
Schiudo le palpebre e tutto rinasce.
(Sono convinta di averti inventato)
[…]
Mad Girl’s Love Song, Sylvia Plath

L’apocalisse, la rivelazione di quello che sei e che vuoi: sta lì davanti, improvvisamente. Può capitare a tutti, anche alle persone sagge, intelligenti, razionali. Come se ognuno di noi fosse sovrastato da un’ombra verticale, un carico sospeso di cui non ci si accorge mai, però ti segue ovunque, finché non incontri qualcuno di speciale, e il carico ti precipita dritto in testa. 

primo piano

Márta (Natasa Stork) è un medico di quarant’anni, da venti lavora come neurochirurgo negli Stati Uniti, ha una carriera eccellente. In un congresso nel New Jersey conosce un collega. Agli altri è indifferente, per lei diventa tutto. Ne è irresistibilmente attratta prima ancora di parlarci, e di scoprire che anche lui, János (Viktor Bodó), è ungherese. “Non so se si può chiamare amore, ma non mi era mai successa una cosa del genere. Appena l’ho visto ho capito che era quello che volevo, che ho sempre aspettato”, dirà due mesi dopo allo psicanalista, cui racconta la sua storia. Dopo aver passato tutto il giorno insieme, fissano un appuntamento a Budapest per il mese dopo, alle cinque sul ponte della Libertà. Ora e luogo sono precisi, l’intesa è perfetta, non c’è bisogno di scambiarsi i numeri dei cellulari. Ma lui non si presenta. Lei andrà a cercarlo nella clinica universitaria, sa che lavora là. Lo trova mentre esce, lo raggiunge al parcheggio. “Perché non sei venuto?” Lui dice di non conoscerla, di non averla mai vista, sicuramente l’ha scambiato per un altro. Lei sviene, come la Marchesa di O… nel racconto di von Kleist, ma al risveglio farà un percorso differente.

svenimento

Lili Horvát ha trentotto anni, è di Budapest, questo è il suo secondo film. Per il ruolo di Márta non ha avuto dubbi: Natasa Stork, trentaseienne di Budapest, occhi azzurri limpidi come quelli della regista, viso delicato e carattere di ferro, avrebbe rappresentato perfettamente quella forza e fragilità che convivono in Márta, smarrita ma determinata a scoprire se davvero è impazzita, se si è innamorata di un fantasma, o se János la sta ingannando e perché. Per farlo, rinuncia a tornare negli USA e si fa assumere nell’ospedale di Budapest, vicino a János. Il vecchio primario la rimprovera: “Tutti invidiano il tuo posto in America, i colleghi ti odieranno. Perché lo fai? Per un uomo? Quanto sono stupide le donne, anche quelle intelligenti”.

controllo

Prende in affitto l’appartamento da cui possa spiare meglio l’uomo dei sogni realizzati e tornati ad essere sogni senza un motivo. Cerca il confine tra immaginazione e realtà con l’aiuto dello psicologo, che tuttavia non fa altro che ascoltare e incoraggiare Márta, escludendo il disturbo della personalità. La sua vita è sotto scacco e vuota come la casa, dorme su un materasso per terra, non altri interessi oltre al lavoro, respinge gli approcci di un aitante studente di medicina, cui ha salvato il padre in un intervento difficile. A nulla valgono i consigli di una tassista lanciata all’inseguimento del fetente: “Ma è suo marito? Se gli deve andare dietro lo lasci perdere, meglio lasciarlo andare. Ci sono passata anch’io”. 

Márta si trasforma in detective, segue e studia János, mentre lavora ma anche nel tempo libero. I due si frequentano, lui si mostra interessato a lei come se fosse la prima volta. Il film diventa un avvincente giallo psicologico in cui lei, mentre si lascia corteggiare da lui e continua a spiarlo, ne prende le distanze per non ripetere uno sbaglio madornale. Memorabile la sequenza in cui i due si inseguono e si studiano a vicenda, avanzando e arretrando lungo lo stesso percorso ma su marciapiedi opposti, come in un rituale di preaccoppiamento.

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La particolare attenzione con cui vengono ripresi i volti, gli sguardi, i movimenti espressivi della bocca di Márta, è premiata da una fotografia sapiente, esaltata dall’uso di una tradizionale pellicola 35 mm. in cellulosa che in confronto al video digitale è sgranata e imprecisa, ma restituisce calore ai visi ed esalta i chiaroscuri nei colori se usata al meglio, come in questo caso. Anche in queste scelte tecniche, e nell’ambientazione ospedaliera, il film gioca su un’elegante ‘convergenza parallela’ di opposti: calore/ruvidezza, immaginazione/realtà, intuito/razionalità scientifica, dove chi cerca viene cercato. I binomi si legano tra loro inestricabilmente, danzano un valzer leggero ed intimo, ironico, inconfondibilmente mitteleuropeo. La verità di János alla fine verrà a galla: e sarà ovviamente una verità inaspettata, diversa da quelle via via congetturate da Márta, con noi sempre più spiazzata. Una tessera del mosaico che completerà la realtà dei fatti inattesa, e complementare a quella di Márta. La prova che l’amore è un incontro su un ponte tra follia e lucidità, dove spesso uno dei due arriva molto prima dell’altro. Ma poi chissà, sarà vero ciò che racconta lui? “Forse mi sono inventata tutto. Mi è già successo di volere una cosa così fortemente che me la sono inventata”.

Il cielo è sereno nell’ultima inquadratura, è passato il colpo di fulmine, e il carico torna ad essere sospeso, per un tempo imprecisato.


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