di Marzia Procopio
In un imprecisato presente, in un mondo post-apocalittico, imperversa una violenta epidemia influenzale che colpisce solo gli adulti; le persone si chiudono in casa per evitare contatti e tentare di salvarsi dal contagio, estranei e ostili anche fra familiari, come tutta la letteratura da Tucidide a Boccaccio e Manzoni ci insegna. Quando Niccolò Ammaniti, scrittore premio Strega nel 2007 con il romanzo Come Dio comanda, poi sceneggiatore e regista (il debutto nel 2014 con il documentario The good life) scrisse Anna, il suo romanzo distopico, era il 2015; le suggestioni arrivavano dalla prima epidemia di un Coronavirus che scatenava una sindrome respiratoria grave e che nel 2003 fece migliaia di morti. Che un virus avrebbe prima o poi scatenato una sorta di guerra, del resto, gli scienziati e i visionari come Bill Gates avevano avvertito da molto tempo, e allo scrittore – da sempre osservatore attento e sensibile del mondo dei ragazzini – non poteva sfuggire l’occasione di rappresentare, con il suo settimo romanzo, un mondo in cui gli adulti sono tutti morti e i ragazzini cercano di sopravvivere come possono.

Girata, come avvisa il primo cartello dei titoli di testa, sei mesi prima dello scoppio dell’epidemia di Covid-19, ambientata tra Bagheria, Palermo, Messina, in una Sicilia in cui selvagge comunità di sopravvissuti abitano grandi spazi desolati, è disponibile dal 23 aprile 2021 su Sky Box Sets, in streaming su Now Tv e il venerdì sera su Sky Atlantic l’omonima miniserie in sei puntate tratta, con alcune differenze, dal romanzo e sceneggiata da Ammaniti stesso con Francesca Manieri. “Sono tutti morti”, gli adulti che si prendevano cura di loro, e questi giovanissimi sono soli a combattere la loro battaglia per sopravvivere. Il bosco li protegge, nel bosco si aggirano forniti delle armi e delle armature che possono: cespugli e improvvisate maschere per mimetizzarsi, i grandi sacchi neri della spazzatura dove sentirsi protetti, come nel gioco tipico dei bambini – quel nascondino che risponde al pensiero magico: “se non vedo io, se io chiudo gli occhi, i cattivi non mi vedono”. E chi sono i cattivi? La Natura minacciosa, ma soprattutto gli altri bambini, che lottano anche loro per un pezzo di pane, un posto dove stare al sicuro, un altro giorno di vita. Non c’è cibo, nessuno raccoglie l’immondizia, che così ricopre le scale degli antichi, un tempo sontuosi palazzi palermitani, dove bande di ragazzini sporchi, laceri e armati di bastoni infestano stanze e corrono forsennati alla ricerca di cibo: pancetta muffita sottratta con l’inganno a bambine più piccole e ingenue, scatole di fagioli, succhi scaduti. Ragazzini che somigliano ai grandi, lontani da qualsiasi possibilità di idealizzazione, che si picchiano, rubano, si tradiscono, uccidono per noia, per divertimento, o semplicemente perché, senza più le censure e le punizioni degli adulti, si sentono liberi di farlo. Anna e il suo fratellino Astor, che la mamma ha avuto dal suo nuovo compagno, si nascondono nel bosco. Lui è troppo piccolo, resta nascosto mentre lei esce in cerca del necessario e incontra ragazzi a lei simili. Fra questi, Pietro, cui nella serie sono dedicati diversi flashback e riservato un destino diverso da quello del libro.

Il racconto scaturisce dal montaggio fra passato e presente, scene del mondo desolato si alternano a fotogrammi in cui si intuisce com’era, il mondo prima della fine del mondo: così, Anna ha quattordici, forse quindici anni, e la vediamo adolescente, a fingere di potersi permettere di vivere la vita in motorino, aria e sole in faccia, e ha quattro, forse cinque anni, quando la vediamo nascosta ad ascoltare in preda all’angoscia i grandi, disperati perché non sanno come proteggere i figli. Non rivedrà più suo padre, contagiato dal morbo, allontanato da Maria Grazia, la sua ex moglie, che tenta di proteggere i figli. La donna scrive su un quaderno, quasi incurante dello scheletro che giace nel letto, le istruzioni per la sopravvivenza: “leggete le date di scadenza sulle etichette delle scatole che troverete”, cibi da bollire per essere sicuri di poterli mangiare. Gli appartamenti perdono progressivamente l’ordine di un tempo, il calore, il potere di rassicurazione che sempre trasmettono ai bambini gli oggetti che abitano le stanze di casa; e persino i peluche e i tappeti diventano segno di progressiva decadenza, mentre la fotografia mette in evidenza il pulviscolo nell’aria, la progressiva perdita di ogni controllo adulto sullo spazio.
- “Mamma, stai morendo?”
- “Sì “
- “E io?”
La donna spiega alla figlia che no, lei non morirà, almeno non subito; il virus si risveglia nel corpo solo dopo la pubertà, e lei dovrà occuparsi del fratello, insegnargli a leggere, e insieme non dovranno mai dimenticare di consultare il prezioso quaderno, quel “libro delle cose importanti” che la mamma non smetteva di scrivere nemmeno quando i bambini avevano fame, nemmeno quando la tosse le squassava in due il petto.

In un’alternanza struggente di luce – la luce calda della nostalgia dell’infanzia e della felicità – e buio, il buio del bosco, dei nascondigli, della paura che non è permesso ascoltare, Niccolò Ammaniti ci regala un incubo stupendo confermandosi un grande scrittore – la serie è sceneggiata da lui e da Francesca Manieri, e sono innumerevoli gli echi della letteratura distopica, di primo acchito almeno Il signore delle mosche di William Golding e La strada di Cormac McCarthy, e di tanto cinema post-apocalittico, basti pensare ai film di Shyamalan – e regista capace di osservare e restituire con sguardo acuto e amorevole i sentimenti, le dinamiche, i sogni e le angosce dei piccoli. Visionario, immaginifico, profetico come già lo era stato il romanzo, Anna è road movie e romanzo di formazione di senso opposto: l’età adulta non è più il traguardo atteso ma quello temuto, perché il virus scoppierà nei loro corpi cresciuti, e crescere vuol dire prepararsi non alla vita, ma alla morte. Un giorno, infatti, Anna esce come sempre in cerca di cibo, e quando torna Astor non c’è più. Costretta a partire per ritrovarlo, inizia un viaggio avventuroso in ciò che resta del mondo: troverà i Blu e i Bianchi, la comunità dell’implacabile regina dal nome antifrastico, Angelica, che tiene con sé la sola adulta sopravvissuta, La Picciridduna, che si dice che abbia il potere di salvare dalla “Rossa” i bambini e i ragazzi; entrambi i personaggi delineati con maggior cura e attenzione che nel libro, come anche il personaggio della madre, che torna dalla vita di prima in frequenti flashback assenti nel libro. Fuggiti dalla villa di Angelica, Anna e Astor, dopo aver visto la costa calabrese dall’alto dell’Etna, iniziano il viaggio nella natura selvaggia verso il continente, sostenuti dalla speranza di trovare una cura per sé e per l’umanità. Durante il viaggio, con alcuni “aiutanti” come nelle fiabe, Anna imparerà a non lasciarsi sopraffare e a ottenere ciò che le serve per vivere, ma anche a prendersi cura degli altri, e conoscerà la bellezza e il dolore dell’innamoramento.

A un certo punto, i due fratelli si imbattono in una nave cargo sulla quale è imbarcato anche un neonato, simbolo della vita che può ricominciare e di quella speranza di cui lo stesso Ammaniti, durante la conferenza stampa di presentazione, ha detto che la serie, rispetto al libro, è molto più intrisa. Come nel libro, anche nella serie la scrittura è asciutta ma trascinante, non concede nulla al patetico né all’orrido, e ci restituisce la natura più autentica di questo personaggio straordinario: bambina che diventa adulta, che nella tragedia impara che vivere significa lottare, stare sempre in guardia, a volte darsi a una fuga disperata, e che le regole del passato non valgono più e loro sono chiamati a inventarne di nuove, forse migliori, senza la guida dei grandi. Giulia Dragotto interpreta Anna ragazza, Alessandro Pecorella Astor, Clara Tramontano Angelica, Giovanni Mavilla Pietro, Elena Lietti la mamma Maria Grazia, Roberta Mattei è Katia La Picciridduna: tutti diretti con sicurezza e bravura da Ammaniti. Con la sua fattura pregiata per scrittura, montaggio, con i preziosi tocchi della suggestiva fotografia di Gian Enrico Bianchi e una bellissima colonna sonora – la canzone della sigla è Settembre di Cristina Donà, accompagnano il racconto anche il synth-pop degli Alphaville, il rock psichedelico dei Mercury Rev, le canzoni di Loredana Bertè, Mia Martini e Ornella Vanoni, i classici di Frank Sinatra e le suggestioni tribali originali di Rauelsson – Anna continua a insegnarci che “la vita non ci appartiene, ci attraversa” e che “tutti gli esseri di questo pianeta, dalle lumache alle rondini, uomini compresi, devono vivere. Questo è il nostro compito, questo è stato scritto nella nostra carne”.

Travolti da un’epidemia scatenata da un virus che ha fatto il salto di specie dagli allevamenti intensivi, dai mercati del pesce di Wuhan in Cina a causa dello sfruttamento cieco e irresponsabile delle risorse della Natura, mai come oggi dovremmo riflettere sul messaggio del libro e del film: la natura prima o poi si riprende ciò che è suo, ma nel mondo dei bambini tutto è ancora possibile. Anna prosegue il compito della specie, salvarsi e salvare il fratello. “E per farlo – ci spiega Ammaniti – immagina un futuro rifiutando le leggi della sopravvivenza e coltivando speranza e memoria dei grandi”. Sì, perché, grazie al coraggio dei ragazzi e alla memoria degli adulti, ai loro insegnamenti, alla loro eredità, la vita è destinata a prevalere, anche quando soccombe.
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