Spiral – L’eredità di Saw di Darren Lynn Bousman (2021)

di Fabrizio Spurio

“Salve, voglio fare un gioco con voi… Scegliete. Vivere o Morire? Fate la vostra scelta…”

Arrivati ormai al nono capitolo della saga, la storia prende una strada nuova. Con “Spiral – L’eredità di Saw” i giochi ricominciano. Torna il regista Darren Lynn Bousman, che aveva già diretto i capitoli 2, 3 & 4.

A distanza di quattro anni dall’ultimo capitolo “Saw Legacy” (2017), la storia prende nuove direzioni: ormai John Kramer (Tobin Bell) è morto. Ma quando inizia una nuova serie di delitti con complicate macchine di morte, l’ombra del suo fantasma comincia a imperversare sulla città di Toronto.

L’inizio è folgorante, come nei precedenti capitoli, la pellicola ci getta subito nelle spire della tensione, con la sequenza di un inseguimento che culmina con la prima di una nuova serie di trappole dolorose e mortali.

Ma diversamente dagli altri film in questa pellicola manca la dimensione ludica in stile “escape room” che era tipica della serie. Non ci troviamo più di fronte ad un gruppo di persone che devono sopravvivere ad un percorso a tappe costellato di trappole. In questo film il terreno di gioco del presunto “ nuovo” Jigsaw è l’intera città. Si tratta di una trama a più ampio respiro. Le trappole mortali sono disseminate in vari luoghi nei quali l’assassino attira le sue vittime designate.

Ma dietro le azioni criminali del serial killer ci sono sempre motivazioni a suo modo giuste. A morire sono i membri di una stazione di polizia che ha ceduto alle lusinghe della corruzione, e tutti i predestinati alla morte sono poliziotti che in qualche modo sono andati loro stessi contro la legge.

Torna quindi la medesima domanda che, puntualmente, si presenta ad ogni capitolo di questa saga: Jigsaw può veramente essere considerato un serial killer? In realtà è palese che lui ufficialmente non ha mai ucciso nessuno. Offre sempre una possibilità di salvezza, sta poi alla vittima scegliere.

Ma la vera domanda che si fa lo spettatore è: per chi deve tifare?

E’ vero che l’enigmista porta dolore alle sue vittime, ma è per uno scopo positivo, per offrire una sorta di purificazione alle vittime/carnefici che con le loro azioni hanno decretato la rovina di molti esseri umani.

Quindi, realmente, non ci sentiamo di avere pena per questi “sventurati”, ma, anzi, il regista ci spinge in un corto circuito particolarmente perverso. Da un lato proviamo pena, fastidio anche fisico, per le torture subite dalle vittime, ma dall’altro lato, più in profondità, siamo ansiosi di vedere come funzionano le trappole. Vogliamo vedere le lingue strappate, le dita staccate dal corpo, i vetri colpire a morte i volti. Lo spettatore, moralmente, rimane pulito per questa scelta. In fondo le vittime sono a loro volta dei carnefici, e questo rende più “sopportabile” il piacere che si ha ad assistere a queste scene raccapriccianti.

Ed in questo film la furbizia degli sceneggiatori è doppia: la vittima deve menomarsi per salvarsi, altrimenti la trappola lo ucciderà. Ma ecco il perverso meccanismo mentale mettersi in moto. Vogliamo vedere l’effetto della menomazione, vogliamo che la vittima si strappa la lingua, ma al tempo stesso vorremmo che non lo faccia, perché così vedremo la trappola agire e devastare il corpo. Furbamente il regista fa arrivare la vittima all’estremo, quindi ci mostra la lingua strappata, ma al tempo stesso dilata il tempo, così da fare in modo che la menomazione arrivi solo al momento estremo, quando ormai è tardi per fermare la trappola. Appaga in questo modo il piacere sadico (sopito e mai effettivamente confessato) e il voyeurismo dello spettatore.

Questa è un’operazione, in realtà molto raffinata, che porta allo scoperto il lato nascosto e più cattivo (ma innocente in quanto spettacolo di finzione) di chi assiste a queste pellicole.

Ma all’interno del film ci sono anche molti sottintesi morali che vengono sviluppati fortunatamente, senza quello che invece potrebbe essere un moralismo smielato. A questo proposito si può citare un discorso che potrebbe apparire estremamente misogino, in cui il protagonista descrive i suoi rapporti tumultuosi con il gentil sesso. Le sue parole potrebbero risultare disturbanti ad un pubblico femminile (cito la battuta, “mia moglie va a fare pilates, ma non ho mai visto una donna fare pilates…”), accusato di essere piacevolmente traditore nei confronti dei mariti, specialmente se poliziotti. Ma ci sono anche altri sottintesi da esaminare. Quello, non banale in questo caso, del pessimo rapporto tra padre (Samuel L. Jackson) e figlio, che nonostante la vicinanza anche fisica (vivono entrambi nello stesso palazzo), risulta essere distante e inconciliabile.

Il protagonista Zeke (Chris Rock) è un poliziotto di colore che ha denunciato un collega per aver ucciso un uomo a tradimento. E’ da questo episodio che la trama inizia a girare intorno a lui, come bersaglio, sia dei colleghi della stazione di polizia, che vedono in lui un traditore (anche se di fatto sono loro i veri traditori della legalità), sia dal nuovo Jigsaw, che sembra averlo scelto per un ruolo specifico.

Zeke, affiancato dal collega/recluta Schenk (Max Minghella), è costretto a seguire le regole di Jigsaw, ma alla fine ne diventa anche involontario complice.

Il film è girato utilizzando i tempi e le tecniche del videoclip, sopratutto nelle sequenze delle trappole. Ma anche nei frammenti di flashback che costellano la trama. Il colore verde, presente in molte scene, sia nel cromatismo generale della pellicola, sia in alcuni momenti dove fa da contrappunto alla rossa spirale, simbolo e firma di Jigsaw, riporta alle atmosfere dei precedenti capitoli. Ma c’è anche un ampio uso del giallo, come a simboleggiare lo sporco, il disfacimento degli ambienti, fabbriche abbandonate, quartieri disagiati, appartamenti in cui si svolgono traffici illegali di droga. C’è una sorta di unione spirituale tra questo film e gli altri della saga. “Spiral” è si un film a sé, con una trama nuova e slegata dagli altri capitoli, ma i riferimenti per accomunarlo alla saga ci sono. Non c’è più il pupazzo sul triciclo, Billy, sostituito dalla marionetta di un porcellino in divisa di poliziotto, ma c’è comunque l’aggressore con la maschera di maiale. Spesso vediamo fotografie di John Kramer, si parla di emulatore, di copycat.

E il tema portante della colonna sonora fa spesso la sua apparizione, per la gioia degli appassionati. C’è anche una scena dichiaratamente citazionistica del primo film, quando Zeke si ritrova incatenato, per il polso, ad un tubo d’acciaio, e ai suoi piedi c’è una sega. Un ritorno alle origini che fa capire allo spettatore che si, la saga è cambiata, ci sono personaggi nuovi, ma l’origine di tutto è sempre quella pellicola del 2004.

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