di Roberta Lamonica
“C’è una specie di disperazione per cui non puoi più essere triste. Dove non puoi più sopportare il dolore. Ogni uomo che è consapevole del suo destino sa quando suona la campana. Il tempo sta finendo. Ti rendi conto di essere nato quando non volevi, abiti in un corpo che non conosci e alla fine non definisci nulla. Allora tutto quello che devi fare è adottare la tua vita. Adotti ideali, adotti amori, solo per sopravvivere”.
(Irene Papas)

È venuta a mancare oggi a 96 anni Irene Papas, attrice colta e raffinata interprete della tragedia classica, indimenticabile Penelope dello sceneggiato di Franco Rossi, la Luisa di Petri in “A ciascuno il suo”, musa del regista greco Michael Cacoyannis con cui ha interpretato tra gli altri “Elettra” (premio come miglior attrice al Festival di Cannes 1962) e “Zorba il greco” (1964), accanto a Anthony Quinn, che l’ha consacrata diva di rilievo internazionale. Temperamento forte e indomito, come Melina Mercouri Irene Papas si rifiutò a lungo di tornare in Grecia fintanto che la giunta militare era al potere.
“Non siamo altro che una colonia americana”, dichiarò in un’intervista a Roger Ebert nel 1969. “Importiamo gomme da masticare e automobili, libri, dischi e cultura. Non c’è da stupirsi se gli americani non hanno fatto nulla contro la giunta. Dirigono il paese. Cos’è Onassis? Niente. “E tuttavia chi sono io per parlare? Faccio film e da dove vengono i soldi per produrli? A volte penso che dovrei semplicemente smettere di recitare. Una persona dovrebbe cambiare mestiere ogni tanto. Viviamo circondati da beni di consumo, da manufatti. Nelle città siamo vittime della quantità di merce che deve essere venduta. Dopo aver inventato la lavatrice, tutti avrebbero dovuto riceverne una. Altrimenti, qual è il vantaggio di progresso? Per fare soldi?”

Bellezza ‘adulta’, fatta di lineamenti decisi e di uno sguardo sottile e profondo, un viso il cui bagliore si trasfondeva nella luce dell’arte; alta tanto da essere un problema per molti dei suoi partner cinematografici, Irene Papas nascondeva dietro il suo aspetto regale tutta la fragilità di una donna che aveva donato all’amore, al desiderio e alla passione la sua fibra più intima e vera.
Soffriva di questo, Irene, soprattutto negli anni della tarda maturità: “La fama non mi ha dato niente. Al contrario, ha distrutto la mia vita personale. Perché ogni uomo che si è avvicinato a me, diciamo romanticamente, ha già amato la mia immagine e l’ha trasferita, come latte versato, su tutto il mio essere”.
Era da molto pronta al passaggio, Irene Papas. “Se succede, so cosa vedrò. Il mio villaggio, un piccolo fiume che sembrava grande, con salici e fontane d’acqua… Un melograno… Il nostro pozzo… Il giorno in cui mia madre faceva il formaggio e il sudore scorreva in rivoli sul suo volto … I metochi superiori, l’antico monastero…”.
Riposa in pace nella luce, Penelope, Clitemnestra, Elettra, Elena… Irene❤️

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