‘Dopo la Prova’, di I. Bergman, al Teatro Vascello di Roma fino al 10 febbraio 2019.

«Tutto può avvenire, tutto è possibile e probabile. Tempo e spazio non esistono; su una base minima di realtà, l’immaginazione disegna motivi nuovi: un misto di ricordi, esperienze, invenzioni, assurdità e improvvisazioni»

(A. Strindberg)

‘Dopo la prova’, di Ingmar Bergman è in scena fino a domani, 10 febbraio 2019, al Teatro Vascello di Roma. Con Ugo Pagliai, Manuela Kustermann e Arianna Di Stefano. Regia di Daniele Salvo, scene di Alessandro Chiti, costumi di Daniele Gelsi.

Adattamento dell’omonimo film di I.Bergman del 1984, con Lena Olin, Ingrid Thulin e Erland Josephson, Daniele Salvo mette in scena una versione assai fedele del dramma bergmaniano, con l’interpretazione straordinaria di Manuela Kustermann e Ugo Pagliai e con una ottima Arianna Di Stefano.

Un palco affollato di oggetti di scena, di maschere senza volto e di costumi senza corpo accompagnano l’autunno della vita di Heinrich Vogler (Ugo Pagliai, strepitoso!), famoso ed impegnato regista teatrale. Un voice over copre e scopre i pensieri di Vogler mentre si confronta con Anna, giovane attrice talentuosa che vede l’anziano regista allo stesso tempo come un Pigmalione, un padre e un amante.

Un orologio grande, senza lancette, sottolinea la capacità del teatro di fermare il tempo e di sovrapporre e sostituire la dimensione reale con quella immaginaria, perché, “la realtà è una commedia noiosa”, come dice Vogler.

Ed è nel tempo non tempo del teatro che c’è spazio per confessioni, desideri, paure e ricordi e… rivelazioni. Anna è la figlia di Rakel, grande attrice morta consumata dall’alcol, amante e musa di Vogler.

Il ‘teatro psichico’ di Strindberg e la messa in scena del suo ‘Sogno’, forniscono materiale per l’incontro/scontro con il fantasma di Rakel. Una splendida Manuela Kustermann dà corpo e voce a una donna bergmaniana per eccellenza, ossessionata dalla vecchiaia, dallo sfiorire (marcio/corrotto, i termini che ricorrono nel dramma), dall’idea di essere dimenticata, di non aver chiarito i nodi della propria vita eppure non totalmente consapevole dell’egoismo e della duplicità della sua anima.

Anna e sua madre Rakel sono vestite allo stesso modo: un abito grigio, rigoroso, poco femminile nel quale, invece, si muove profondo ma prepotente tutto l’erotismo animale e istintuale delle due donne, legate al teatro e ai suoi sacerdoti da una catena indistruttibile.

Da togliere il fiato la recitazione da vera Erinni del passo da ‘Le Baccanti’ di Euripide, di Rakel/ Kustermann e convincente la freschezza recitativa e la passione della Di Stefano.

Indimenticabile Henrick/ Ugo Pagliai che nel finale del dramma, ormai solo sul palco, con la testa reclinata e lo sguardo obliquo, dice: “La cosa che più mi preoccupa in questo momento è che non ho potuto sentire le campane della chiesa”. Un’amaca riflessione sulla mancanza di Rinascita, di gioia e di rinnovamento e la triste accettazione dell’autunno di una vita che volge inesorabilmente all’Inverno.

Un’ora e venti di spettacolo in cui lo spettatore resta con il fiato sospeso, con una percezione reale di sofferenza e con la chiara sensazione di stare ad assistere alla performance di due mostri sacri della nostra scena teatrale.

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