di Laura Pozzi

37TFF Sezione Festa Mobile
Piccoli Trainspotting crescono (e noi con loro). Era il lontano 1996 quando i ragazzi terribili di Danny Boyle irrompevano sul grande schermo strafatti di eroina esortando il pubblico a disertare la comodità e la monotonia di una vita tutta casa, famiglia, carriera, mutuo. Il film, tra i più significativi e memorabili di quel periodo suscitò immediato scalpore per la sfrontatezza e irriverenza con cui veniva affrontato il tema della tossicodipendenza. In realtà dietro quell’apparente aurea di leggerezza si adombrava una profonda inquietudine per una generazione priva di ideali che sceglieva volutamente di non scegliere la vita. Beats di Brian Welsh si può considerare un parente alla lontana decisamente più affabile e meno ruvido del film di Boyle e non solo per quel cognome che inevitabilmente riporta alla mente il più famoso Irvine (lo scrittore di Trainspotting), ma per la scelta di ambientare la storia nella Scozia di metà anni ’90 con protagonisti due giovani disobbedienti pronti a combattere un sistema politico oppressivo e di pura propaganda attraverso la potenza ed l’energia sprigionata dal loro battito animale.

Quando un’ordinanza restrittiva emanata e sottoscritta dal governo laburista di Tony Blair vieta di partecipare a rave party illegali caratterizzati da suoni dal ritmo ossessivo, Jhonno e Spanner due compagni di merende completamente assuefatti dalla musica techo decidono di adottare insolite contromisure scegliendo di partecipare a un mega rave revolution al grido di Fuck the police. In realtà i due pur condividendo una passione al limite della dipendenza sono due opposti che si attraggono. Jhonno è un ragazzo timido e impacciato sottomesso ad obblighi e doveri familiari, mentre Spanner esorcizza la presenza di un fratello padrone arrogante e prevaricatore grazie ad un atteggiamento ribelle e scanzonato. Il film è la minuziosa e travolgente cronaca di quello che sarà la nottata più importante della loro vita, quella in cui verranno messi al bando paure e tabù per lasciar fluire il ritmo vitale che scorre dentro. Battiti, pulsazioni, visioni, la vita accade e si accende su una pista da ballo attraverso una danza sciamanica sulla quale riversare i propri impulsi e far esplodere le emozioni

Tratto da uno spettacolo teatrale del 2012 di Kieran Hurley qui in veste di sceneggiatore, Welsh si avvale di un luminoso bianco e nero per cristallizzare ogni gesto, parola, emozione di un periodo irripetibile della vita, e per rimarcare attraverso le parole di un Blair (onnipresente sui media nazionali) un momento storico cruciale per il Regno Unito. Ma anche per rievocare (tenendosi alla larga da qualsiasi operazione nostalgia) un filone cinematografico, (si pensi a Clerks di Kevin Smith o L’odio di Matthew Kassovizt) di cui si sono irrimediabilmente perse le tracce. Il regista è abile a smarcarsi da qualsiasi celebrazione fine a se stessa, raccotando con finezza e sensibilità una struggente e delicata storia di “quasi” amore. Nel ricreare un clima dal retrogusto squisitamente british, risulta pressochè impossibile non appassionarsi alla causa di questi due analogici e irresistibili “monelli”, animati solo da un incontenibile voglia di esserci. Perché la vita, pur se in bianco e nero vale sempre la pena di sceglierla.

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