Casa Howard (Howards End), di James Ivory (UK 1992)

di A.C.

Inghilterra, primi del ‘900. Casa Howard, dimora di campagna di un’altolocata famiglia inglese, fa da minimo comune denominatore alle storie di un gruppo di personaggi appartenenti a tre distinte classi sociali: la famiglia facoltosa dei Wilcox, quella medio-borghese degli Schlegel e quella umile e proletaria dei coniugi Bast.
Il rapporto di amicizia tra Margaret, la maggiore dei fratelli Schlegel, e Ruth, moglie del capofamiglia Wilcox, prende sviluppi inattesi quando quest’ultima, in punto di morte, designa l’amica come ereditiera dell’amata dimora di campagna. Ciò determina un intreccio di destini tra gli esponenti delle tre classi sociali, ognuno legato all’altro da circostanze puramente casuali.

È certamente caro a James Ivory il mondo della società angloamericana del primo Novecento, di cui ha spesso tracciato rigorose analisi sotto diverse angolazioni, e nel confronto tra classi sociali si riscontra uno dei temi ricorrenti della sua produzione.
Tratto dall’omonimo romanzo di Edward Morgan Forster – di cui Ivory aveva già trasposto anni prima Camera con vista e Maurice Casa Howard è un scontro tra classi estremamente raffinato nel suo linguaggio e nella sua forma. Una situazione di palpabile conflitto caratterizzata da toni cordiali, che celano nella loro grazia pericolosi risentimenti, talvolta sopiti e latenti.

Conflitto che Ivory traccia con lucidità e intelligenza, senza cadere in stereotipi o rischiose schematizzazioni. Perché lo scontro va ben oltre le condizioni di classe, ma riguarda soprattutto culture e mentalità diverse: il pensiero conservatore e tradizionalista dei Wilcox contro quello progressista e intellettuale dei fratelli e sorelle Schlegel. Prospettive differenti che inevitabilmente emergono nel momento critico, con conseguenze drammatiche per tutti, in primis verso i Bast, volto di quella classe proletaria sfruttata e umiliata dall’ipocrisia dell’alta società e, involontariamente, danneggiata da quella medio-borghesia, pur sincera nelle sue intenzioni, ma nei fatti inefficace in qualunque forma di supporto. E Casa Howard funge da elemento centrale e al tempo stesso marginale del racconto: un luogo caricato di un’atmosfera esoterica e che, di fatto, diviene punto di incontro e confronto dei protagonisti elevandosi a metafora della società britannica di riferimento.

La messa in scena di Ivory è di estrema finezza estetica, come si evince dalla cura in ogni dettaglio visivo: dalla fotografia sublime di Tony Pierce-Roberts alle minuziose ricostruzioni storiche nei costumi e nelle scenografie. Ma il reparto formale non occulta certamente il lavoro di scrittura e regia, capace di imprimere al racconto un ritmo fluido e coinvolgente, di sviscerare i propri personaggi in tutte le loro sfaccettature psicologiche. Personaggi a cui danno un volto un cast di eccellenze britanniche, ben coordinato dal regista e in cui emergono le prove di Emma Thompson e Anthony Hopkins.
Un film, quello di Ivory, che è un elegantissimo viaggio nel tempo. Specchio lucidissimo di una società che rimanda ad inevitabili confronti con quella del presente.


 

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