Anime nere di Francesco Munzi (2014)

di Luca Biscontini

Un tuffo in una dimensione ancestrale, arcaica, e, in un certo senso, sacra; un passato che non smette di ritornare, con le proprie leggi, usanze; un modo di concepire l’esistenza che, nonostante tutti i tentativi di normalizzazione, rifluisce impetuosamente, invischiando tutti coloro che sin dalla nascita sono segnati da un fatale destino che drammaticamente incombe. Liberamente tratto dall’omonimo romanzo di Gioacchino Criaco, prima di essere una storia di malavita, Anime nere è la messa in scena di un dramma famigliare, che si dipana lentamente sotto i nostri occhi, senza eccessivi strepiti, in cui la normalità dei rapporti quotidiani viene investita da un’improvvisa sciagura che provoca non poche vittime.

I Carbone sono uomini e donne legati da un rapporto tribale, ma ciascuno di essi intrattiene un legame più o meno profondo con la dimensione dell’illegalità, con una ‘moralità altra’, parallela, che insiste, giustapponendosi, nella realtà di tutti i giorni. I tre fratelli protagonisti (davvero intense le prestazioni di Marco LeonardiPeppino Mazzotta e Fabrizio Ferracane) scandiscono i diversi gradi di appartenenza a una normatività radicata in un territorio ostile, ma al tempo stesso meraviglioso, ancora incontaminato, dove le principali attività rimangono l’agricoltura e la pastorizia, un mondo criminaloide fatto di non detti, di silenzi, di riunioni famigliari in cui si decide della sorte di altri esseri umani. Ma il lato oscuro –  è questa è l’eccezionalità dell’opera di Munzi – rimane fuori campo, dove l’occhio dello spettatore non arriva, e ciò che la macchina da presa immortala sono gli effetti sulle persone, che non possono far altro che tenersi tutto dentro.

Anime nere ci mostra un mondo compresso, inespresso, e chi guarda è convocato a dare lui stesso forma a tutto il materiale emotivo che rimane a fior di pelle sui personaggi, i quali brancolano nel buio, entrando in contrasto tra di loro, ma sempre sommessamente. Ecco perché l’epilogo del film si carica di una drammaticità che raccoglie tutta l’umanità negata, ammutolita, non partecipata, e la tragedia finale, paradossalmente, vede coinvolto proprio il fratello che più si era estraniato dai ‘fatti della famiglia’. Un trattato antropologico, dunque, che rivela un profondo lavoro di preparazione da parte del regista, il quale ha saputo cogliere in maniera acuta i comportamenti, le mentalità e i modi di vivere di un mondo segreto ma palpitante, strisciante e, in ultima analisi, soffocante. Il traffico di droga, il riciclo di denaro sporco e tutte le altre attività illegali connesse sono il sintomo di un ‘malessere’ più radicato, di un’etica alternativa che non smette di rivendicare la propria cittadinanza.

Ricoperto giustamente da tanti David di Donatello, Anime nere si appresta a rimanere un caso nella cinematografia italiana e di genere.

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