Giovane e Bella (2013) , di Francois Ozon.

di Roberta Lamonica

“Non si è seri quando si hanno diciassette anni”, sussurra una bellissima Isabelle (Marine Vacth, una rivelazione), sguardo vuoto e labbra imbronciate, una deliziosa creatura a metà strada fra Brigitte Bardot e la Deneuve di Belle de Jour. Un verso di Rimbaud, un verso assolutorio, un verso… maledetto. Giovane e bella, un’accoppiata irresistibile, soprattutto per chi magari non è più né giovane, né bello. Eppure nella bellezza stordente di Isabelle ci sono già i segni di un tempo ormai passato, di un fiore appassito, di una vita annoiata, quasi un alone di morte e insensatezza.

Il caldo sole del sud della Francia, l’indolenza dei pomeriggi estivi, le prime pulsioni, tutto prelude a una storia sulle prime esperienze di un’adolescente introversa e complicata. Isabelle si disfa della verginità come di un fardello inutile, nella scena più bella del film, quella in cui esce da se stessa e osserva dall’esterno quel corpo ‘violato’ senza che lo sia stata l’anima; quasi un modo per tornare tela bianca su cui dare pennellate di nera pece e perverso ‘abisso morale’.

Giovane e Bella è spesso definito un film sul tema della prostituzione minorile. In realtà è un film sull’impossibilità di spiegare l’origine di certi gesti o di certi comportamenti che trascendono le motivazioni meramente psicologiche (quasi risibili i didascalici tentativi di trovare motivazioni nella letteratura scientifica dello psicologo) e vanno a pescare nel torbido della natura individuale e nell’insondabile reame del premorale.

Ozon tace sui motivi per cui Isabelle inizia a prostituirsi. Scontato che verrà scoperta, scontato che tenteranno di ‘redimerla’, scontate le reazioni degli adulti, scontata in parte la sceneggiatura. Ma le inquadrature sul corpo perfetto e flessuoso di Isabelle, quella macchina da presa che la accarezza come le lenzuola che proteggono dallo sguardo morboso dello spettatore la scoperta del piacere, che per Isabelle è caldo, umido e solitario, confermano la mano elegante e raffinata del grande regista.

Solo nel finale si intravede una possibile verità per Isabelle. L’incontro con Alice (Charlotte Rampling) consente a Isabelle per la prima volta di non essere vista attraverso gli occhi degli altri. Alice non la giudica, non chiede spiegazioni, nemmeno la detesta, come magari ci si potrebbe aspettare. E su quella unica, singola lacrima di verità, Ozon spegne la telecamera e libera Isabelle dal vero fardello della sua esistenza: l’essere definita dall’esterno, senza poter essere ciò che, suo malgrado, la natura ha voluto lei fosse.

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