di Greta Boschetto

“Ma tu cosa sei, ci credi o no nelle idee?”
“Figliolo, io non vado mica più a scuola sai? Io sono un industriale.”
La corruzione è un film del 1963 di Mauro Bolognini con Jacques Perrin, Alain Cuny, Rosanna Schiaffino, Ennio Balbo e Isa Miranda. Un apologo disperato, il racconto di una storia di formazione mancata, o meglio, plagiata, corrotta. La corruzione, è la principale e indiscussa protagonista del film: quella della società, del padre del protagonista, dei soldi che sistemano tutto, la corruzione intrinseca nel potere che dà possibilità solo a chi già ne ha e le toglie a chi deve giustificarsi sempre in un mondo formato “da chi comanda e chi obbedisce”, la corruzione persino affettiva e sessuale che subirà il giovane Stefano, un Candido forse più consapevole e meno ottimista ma debole, che non sa ribellarsi veramente alla società e alla vita che gli viene imposta.

Stefano (Jacques Perrin) è un giovane studente appena diplomato: lo vediamo nella prima scena mentre riceve il diploma, accompagnato dalle belle parole del preside, che parla di opzioni, responsabilità, della storia umana che è fatta di scelte che tendono sempre al bene. Certamente, ma in quegli anni del boom economico, cos’è diventato davvero il bene? Denaro e materialismo, che moralmente si riducono al nulla: le basi della società odierna. Stefano torna a casa, aspettato in aeroporto da un padre entusiasta e impaziente di inserirlo subito nel suo impero editoriale, un lavoro svolto con la cinica freddezza dell’imprenditore, che non ha niente a che fare con la cultura alla quale il suo lavoro dovrebbe guardare, un uomo a cui non importa nulla se i libri vengano letti o meno, l’importante è venderli.

Stefano, da buon idealista, è disorientato e disgustato di fronte a questo mondo di artifici e di soddisfazione immediata e materiale e comunica al padre la sua decisione: diventare prete. È da subito chiaro che la sua scelta di percorrere la via del sacerdozio più che una vocazione è una fuga, un cercare di allontanare la sua entrata nel mondo degli adulti, trovare un escamotage per allontanarsi da quella realtà che gli viene offerta (anzi, imposta) dal padre, descritta spesso così bene da Pasolini (con cui Bolognini ha collaborato all’inizio delle loro carriere), una visionaria diagnosi che denunciava negli anni Sessanta “i disastrosi effetti sociali di un nuovo fascismo fondato sul godimento alienante di beni materiali superflui”. Anche la madre, in un breve e struggente incontro col protagonista, ha trovato la sua via di fuga: incapace di adattarsi a quello che la vita moderna richiede ma altrettanto incapace di ribellarsi, fugge in un mondo di nevrosi immaginarie placate con la cura del sonno in una clinica psichiatrica, abbandonata e disprezzata dal padre.

Stefano si ritrova così solo, catapultato in un mondo di party e ossessionato dal denaro, con un padre che cerca di corromperlo offrendogli continuamente cocktail e posizioni di comando e che alla reticenza del figlio decide di rispondere con una vacanza in crociera dove inviterà anche la giovane Adriana, bella e ammaliatrice, una sirena in bikini, anche lei però preda della società predatrice, nella quale si districa con gli unici mezzi che pensa di avere a sua disposizione: bellezza e seduzione. E Stefano cede e perde la sua innocenza, senza speranza, in una scena disperatamente erotica e drammatica. Cerca quindi ancora la fuga, ma si ritrova senza i suoi ideali. E cede di nuovo, provando a mettersi dalla parte del comando.

Gli incontri con il giovane magazziniere della ditta del padre, ingiustamente colpevolizzato di un ammanco di denaro, e con un intellettuale inizialmente stimato da Stefano ma ormai piegato alle logiche del consumo e del potere, porteranno Stefano a interrogarsi nuovamente sulle sue scelte. La purezza ha ancora un posto nel mondo? O siamo tutti così abituati a certe dinamiche da non farci più sconvolgere? Il cinismo è diventato un sentimento diffuso, dove la pietà è vista solo come una debolezza? Bolognini riesce a catturare tutto quel sentimento di abbandono e di rovina esistenziale che si genera entrando nella vita adulta, un conflitto generazionale e interiore che in certe persone durerà per tutta la vita: l’idealismo contro la realtà. L’ultima sequenza, silenziosa e magnificamente accompagnata dalle musiche di Giovanni Fusco, ci dà la risposta: un ballo di gruppo individualista, degli zombie conformisti e alienati. Un pianto finale.

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