di Marzia Procopio
A metà degli anni ‘80, il produttore e sceneggiatore americano Rick King, in un periodo in cui stava prendendo lezioni di surf a Malibu, lesse che Los Angeles era diventata la capitale mondiale delle rapine in banca. Con un’intuizione che incrociava i due elementi, scrisse insieme a W. Peter Iliff la storia di quattro rapinatori surfisti e contattò Ridley Scott perché la dirigesse; a interpretare il ruolo dell’agente FBI incaricato di prenderli sarebbe stato Matthew Broderick (ma i produttori avevano anche considerato Johnny Depp, Val Kilmer e Patrick Swayze per il ruolo del giovane agente dell’FBI), Charlie Sheen invece il capo e guida spirituale della banda, Bodhi, e il film si sarebbe dovuto intitolare Riders on the Storm. Ridley Scott abbandonò però il progetto nella fase della pre-produzione, lasciandolo a Kathryn Bigelow, reduce da Blue Steel – Bersaglio mortale dell’anno precedente: era nato Point break-Punto di rottura, un thriller d’azione insolito e molto elegante, caratterizzato da scene di paracadutismo, rapine in banca, un inseguimento in macchina, incursioni della polizia, arti marziali, inseguimenti mozzafiato e sequenze di surf fotografate in modo brillante. Arrivato nella West Coast dalle Hawaii e diventato simbolo di libertà e di ribellione negli anni ’60 e ’70, il surf aveva generato comunità con slang e codici di comportamento dentro e fuori dall’acqua, coagulando intorno a sé tante storie e ispirando il mondo del cinema americano. Il legame con le droghe (assunte spesso per vincere la paura delle onde) e la posizione ai limiti della società costituivano un tratto ricorsivo nel racconto di queste comunità, conferendo loro il carattere ‘borderline’ che bene emerge in questo film, il quarto della visionaria Kathryn Bigelow e punto di svolta di una carriera destinata a prendere il volo con il successivo Strange days. Contro il pregiudizio che voleva e vuole le registe donne meno adatte a dirigere film d’azione, Bigelow nel 2008 diventerà la prima donna a vincere l’Oscar per la miglior regia con The Hurt Locker.

Keanu Reeves vi interpreta un agente dell’FBI chiamato a indagare come infiltrato su una banda di quattro rapinatori che da parecchi anni, d’estate, assalta le banche della contea di Los Angeles con il volto nascosto da maschere di gomma raffiguranti altrettanti ex presidenti degli USA (trovata che ha poi ispirato, tra gli altri, gli autori di V per Vendetta, l’esilarante parodia di Aldo, Giovanni e Giacomo in Tre uomini e una gamba e le celebri maschere di Dalì della serie tv La casa di carta).

Fresco di un diploma preso a pieni voti, Johnny Utah viene affidato a un anziano professionista e veterano del Vietnam, Angelo Pappas (un Gary Busey già protagonista di Un mercoledì da leoni, il primo e più importante film sul surf), convinto che i rapinatori siano surfisti che con i proventi delle rapine si assicurano di poter stare durante l’inverno nelle località più adatte al surfing. Utah rimarrà affascinato dal loro stile di vita, da Bodhisattva (interpretato da un corposo – nomen omen – Patrick Swayze), selvaggio e spirituale leader del più spericolato gruppo di surfisti della zona, e dalla ragazza che gli fa da istruttrice, Tyler (Lori Petty). L’incontro con questa comunità stimola in Utah, che viene a contatto con la natura selvaggia e la visione del mondo dei surfisti, una riflessione sul suo stile di vita e una trasformazione, ma la progressiva risoluzione del caso porterà inevitabilmente a un’escalation di violenza, fino all’uscita di scena di uno dei due.

Quando Bigelow chiamò Patrick Swayze a interpretare Bodhi, l’attore era all’apice della carriera, avendo conquistato con i film precedenti un seguito fedele di fan dei film d’azione e dimostrato, con Dirty Dancing e Ghost, le sue duttilità e credibilità nell’interpretare anche ruoli drammatici. In Point break il suo Bodhi è l’antieroe che critica il sistema e seduce con la sua intelligenza, un ladro filosofo e antimaterialista che con le sue ragioni è capace di far deragliare anche l’entusiasta rappresentante della Legge Johnny Utah, un giovanissimo Keanu Reeves nel ruolo di un altro ‘bravo ragazzo’ (come già in Parenti, amici e tanti guai e in Bill & Ted’s Excellent Adventure). Keanu Reeves, fortemente voluto da Bigelow, interpretò in modo convincente la doppia parte di agente dell’FBI “giovane, stupido e avventato” e di surfista fuori dalle regole. Point Break lanciò la sua carriera trasformando il bravo ragazzo dal volto fresco in un eroe del cinema d’azione (che lo avrebbe portato a Speed e Matrix) contemporaneamente arrogante e affidabile. Il ruolo di Utah ne fece un sex symbol istantaneo e imperituro, che negli anni ha resistito ai rumors sulla vita privata di Reeves e sulle sue doti attoriali, alla perdita del fascino giovanile, agli alti e bassi della carriera di un attore sempre lontano dai posti che contano a Hollywood, divenuto quasi suo malgrado una vera e propria icona nell’immaginario collettivo. Accanto a loro, Gary Busey offre qui un’altra prova notevole interpretando il collega e mentore di Johnny, Pappas, che dà vita a divertenti, caustici ‘siparietti’ con Reeves e soprattutto con John C. McGinley, il futuro Dottor Cox di Scrubs, qui interprete del classico superiore odioso, involontariamente e inconsapevolmente ridicolo.

Fra i vari elementi che questo film mescola insieme e che ne hanno decretato il successo negli anni, c’è anche la storia d’amore di Johnny con Tyler, una muscolare Lori Petty (mai veramente affermatasi a Hollywood), qui personaggio femminile di supporto assai più forte, importante e corposo di quanto sia normalmente in un film così dominato dall’azione e dal testosterone. Di certo il ruolo di Tyler serve a inserire nel racconto il consueto e sempre vincente elemento romantico, ma l’interpretazione e il fascino androgino di Petty ne fanno il corrispettivo estetico e narrativo di Johnny, con cui Tyler forma una coppia fascinosa e indimenticabile.

A fare, però, di Point break un film di culto fu senza dubbio la regista, che imponendosi sui produttori mise insieme un cast perfetto, scelse come direttore della (splendida) fotografia Donald Peterman, girò alcune delle scene d’azione più adrenaliniche e iconiche di tutti i tempi (che hanno avuto una grandissima influenza su molti film successivi, da Fast and furious a Hot fuzz) e dosò sapientemente i diversi elementi tematici del film. Accanto all’azione, infatti, accanto alla storia d’amore e al coming of age di Johnny, in Point Break – Punto di rottura è possibile vedere anche una critica netta ai modelli sociali e alla politica americana: oltre ad avere il merito di aver ridisegnato il concetto di mascolinità introducendo, dopo il machismo degli anni ’80, l’eroe ‘femminile’ Johnny Utah – uno che sa perdere, sa riconoscere i maestri e le sconfitte, rialzarsi e soprattutto trasformarsi – il film denuncia la malafede della politica dando ai rapinatori di banche i volti di Reagan, Carter, Nixon e Johnson. “Per favore, non dimenticatevi di votare!”, ricorda ‘Reagan’ a tutti durante un colpo. Attraverso l’ambientazione nel mondo del surf, inoltre, mostra gli aspetti filosofici e spirituali dell’era post-yuppie: Bodhi e la sua banda sono un gruppo di ragazzi grunge, adoratori di sport estremi o divertenti, ravers e nuovi spiritualisti che, vivendo esperienze adrenaliniche, criticano, in stile quasi New Age, ricchezza e status symbol: “Noi non ci battiamo per i soldi, noi ci battiamo contro il sistema. Quel sistema che uccide lo spirito dell’uomo; noi siamo l’esempio per quei morti viventi che strisciano sulle autostrade nelle loro infuocate bare di metallo. Noi dimostriamo con la nostra opera che lo spirito dell’uomo è ancora vivo”. Il surf per loro è “uno stato mentale, dove prima ti perdi e poi ti ritrovi”, un’alternativa alle droghe, a quella cocaina che tanto aveva rappresentato gli anni ’80: “È adrenalina pura al 100%. C’è gente che sniffa cocaina, ci sono altri che se la sparano in vena. A noi invece basta fare un salto.”

Prodotto da James Cameron, futuro regista di Titanic, uscito nelle sale americane il 12 luglio 1991, Point Break incassò 90 milioni di dollari in tutto il mondo e divenne nel corso degli anni un film di culto, guadagnandosi un (bruttissimo e fallimentare) remake nel 2015 ed entrando nella memoria e nell’immaginario collettivo del pubblico al punto da meritare una citazione in The Avengers, dove Tony Stark si riferisce a Thor con il termine ‘Point Break’ per sottolineare la somiglianza fra Thor ed il personaggio di Bodhi. Molte le sequenze intrise di ritmo e intensità. Quella dell’inseguimento, ad esempio, quando Utah insegue Bodhi-Reagan e, pur avendo l’opportunità di sparargli, non ci riesce: tre minuti serratissimi durante i quali lo spettatore vive la stessa tensione degli attori, grazie alla macchina a mano, alla musica e all’interpretazione di entrambi i protagonisti, o quella dello spettacolare lancio col paracadute e quella finale, in cui il dialogo e l’energia che scorre fra Johnny e Bodhi suscitano in chi guarda la sensazione di essere davanti a un rapporto molto intimo.

I piani sequenza degli inseguimenti, i movimenti di macchina e la frammentazione del montaggio fanno di Point break un bellissimo film poliziesco d’azione, ma la pellicola supera gli steccati del genere non solo perché intreccia, come si è detto, azione, romanzo di formazione e critica sociale, ma perché è ricca di implicazioni psicologiche che, impedendo l’individuazione univoca del ‘buono’ (e la conseguente immedesimazione da parte dello spettatore), connotano i due protagonisti come personaggi completi e non solo come ‘tipi’; più del fascino dei due attori, infatti, a fare di Point break un film di forte impatto sembra essere il rapporto di tensione e reciproca fascinazione (quasi un bromance) tra Johnny e Bodhi. I due si scopriranno inaspettatamente molto simili, instaurando una dinamica di rivalità e di ammirazione che non potrà evitare, ma renderà epico, lo scontro finale. Bodhi, il leader dei ‘cattivi’, che viola le leggi e sfida la Natura, Utah, il tipico giovane rampante, arrogante, sicuro di sé: entrambi in modo diverso propugnatori di una libertà e di una curiosità che ne fanno degli Ulisse in salsa grunge, entrambi chiuderanno la propria partita in modo definitivo davanti all’oceano, terzo protagonista di questo film, il “crogiolo” attraverso cui, disse Bigelow, i personaggi principali “si definiscono, si mettono alla prova e sfidano i propri limiti”.

Un anno dopo l’ultima rapina, infatti, Utah cercherà e troverà, su una spiaggia dell’Australia, il suo ‘amico’ Bodhi, che è lì per cavalcare finalmente, dopo una vita di attesa, la “grande onda” del cinquantennio. Dopo averlo ammanettato durante una colluttazione, con sorpresa di entrambi gli permetterà infine di affrontare la sua ultima sfida fra le onde: una sfida alla morte che percorre tutto il film ed è rappresentata simbolicamente dall’acqua e dalle onde altissime, una morte che riguarda e dà significato alla vita di entrambi. Sulla spiaggia, sotto la pioggia battente, mentre osserva Bodhi cavalcare l’ultima onda, Utah guarda il suo distintivo, poi lo lancia nell’oceano: un gesto che sembra citare il Clint Eastwood di Ispettore Callaghan: il caso Scorpio è tuo! e che decreta la morte del vecchio Johnny. Non ancora pronto a lanciarsi nella tempesta perfetta, Utah chiude con il passato, perde il suo ruolo nella società, ma guadagna la sua anima.
