di Roberta Lamonica
“L. A. Confidential è un duro, godibilissimo e magnifico ritorno a quella Hollywood che faceva le cose per bene”. (Janet Maslin)

Curtis Hanson e la genesi di L.A. Confidential
Tratto dall’omonimo romanzo di James Ellroy, L.A. Confidential (1997) è il punto più alto nella carriera del compianto Curtis Hanson, regista di Los Angeles cresciuto nella Valley, che da un lato strizzava l’occhio alle meraviglie che si stavano realizzando oltre la collina e dall’altro coltivava la passione per il romanzo realista e naturalista – quello di Dickens e Balzac, per intenderci – e per la loro decisa caratterizzazione dei personaggi. L.A. Confidential rinnova il genere noir, quel tipo di film che crea suspance mettendo i personaggi in situazioni precarie e pericolose con una freschezza, una naturalezza e un feel contemporaneo davvero impressionanti, in cui la fotografia e la messa in scena strepitose risultano credibili, pur restando sullo sfondo per lasciare il palcoscenico a personaggi perfettamente tratteggiati, dalla spiccata individualità, in una parola indimenticabili.
Hanson in diverse interviste ha dato merito a Ellroy per quei personaggi, – i tre personaggi principali, ma anche i fantastici comprimari- così poco amabili, così imperfetti, eppure così umani da non poter fare a meno di averne cura, di volerne raccontare.

Ridurre per lo schermo un romanzo complesso con molti personaggi e una storia piena di sotto trame non fu facile. Un budget di 15 milioni di dollari significava non poter avere un cast di grandi nomi: questo portò Hanson e il suo co-sceneggiatore Brian Helgeland a cercare attori che davvero potessero essere ‘giusti’ per la parte, che recitassero come se stessero mostrando tratti della loro reale personalità e pezzi della loro vita. Il risultato è notevole. I due riuscirono a condensare il tutto in poco più di due ore di film, conquistando l’Oscar per la migliore sceneggiatura non originale e quello per la migliore attrice non protagonista alla divina Kim Basinger.
L.A. Confidential: la trama
Los Angeles, primi anni Cinquanta: dietro il sogno americano, il mito di suburbia, la Hollywood patinata come i primi Confidential magazines, si muove un sottobosco di droga, corruzione, infiltrazioni malavitose, segreti e bugie che coinvolgono anche il Dipartimento di Polizia locale. Tre poliziotti, l’ambizioso, calcolatore e intelligente Ed Exley (Guy Pearce), il mondano e superficiale Jack Vincennes (Kevin Spacey) e il sanguigno e brutale Bud White (Russell Crowe), tutto muscoli e poco raziocinio all’apparenza, ma fragile e insicuro nel profondo, cercano in modi diversi di fare carriera e di ottenere un successo personale.

Jack fa il consulente tecnico per una serie poliziesca di successo, Badge of Honor (ironizzando nella v.o. sull’idea del reale onore dietro il distintivo) per conto di Sid Hudgens (Danny DeVito), editore di una rivista scandalistica senza scrupoli, Hush-Hush. Ed, poliziotto ambizioso e incorruttibile, denuncia la violenza di suoi colleghi nei confronti di alcuni detenuti ispanici durante la notte di Natale, ottenendo una promozione. Bud, di fronte alla morte del suo collega appena mandato in prepensionamento per via della denuncia di Ed, inizia una indagine personale che lo porterà a far luce sulle trame criminali in cui sono coinvolte le forze dell’ordine. In un ginepraio che lega gangster, polizia e glamour hollywoodiano conosce Lynn (Kim Basinger), femme fatale, ma solo per necessità, sosia di Veronica Lake e parte di una scuderia di escort a ‘tema hollywoodiano’ gestita dal magnate Pierce Patchett (David Strathairn). La sua bellezza diafana la rende quasi inconsistente, se non fosse per una spontaneità recitativa che non si può non definire superlativa. Il cerchio si stringe quando Ed tenta di far chiarezza sulla strage avvenuta al diner Nite Owl. Bud ed Ed si trovano di fronte a una terribile verità e dovranno unire le forze per non restare vittime di qualcosa di più grande di loro.

Un nuovo profilo etico per l’uomo della legge
Tra le suggestioni hopperiane del Nite Owl coffee shop, la strepitosa Lovell House progettata da Neutra e la fotografia strepitosa di Dante Spinotti sempre al servizio della storia, come già detto, si sviluppa questo racconto sul senso dell’onore e sulle sue diverse declinazioni. Onore come inflessibilità e risarcimento per Ed; onore come modo per superare un trauma personale infantile, con uso di violenza e incapacità a gestire la rabbia per Bud; e mancanza di senso dell’onore, disamore per il distintivo e vittima delle lusinghe del mondo tutto luci e lustrini di Hollywood per Jack. Eppure, il filo comune del senso di giustizia, del bisogno – di certo riconducibile al personaggio integerrimo di Ed – di confermare, ordinare o ritrovare un valore più nobile dietro la propria professione, permea l’evoluzione dei rapporti tra questi tre personaggi e al contempo codifica un nuovo profilo etico per l’uomo della legge.

Nel film c’è un continuo gioco tra ciò che appare e ciò che è, messo in scena fin dai titoli di testa con cartoline pubblicitarie che descrivono cosa LA rappresenta nell’immaginario collettivo, alternate a foto di repertorio su ciò che realmente è la città: ammazzamenti di boss della malavita, crimine e perversione; le ragazze di Patchett, sottoposte a chirurgia plastica per sembrare dive hollywoodiane; le due camere da letto di Jill, quella per i clienti e quella che porta i segni del suo essere una ragazza di campagna delusa. Tutto ciò disorienta lo spettatore ma al tempo stesso lo rende consapevole che a Los Angeles buoni e cattivi non sono in due categorie differenti e che ogni personaggio ha luci e ombre in egual misura. Ambizione, lealtà, tradimento, passione, corruzione non sono totalmente esenti neanche dall’animo degli ‘eroi’ della storia. Di certo albergano indisturbati e prepotenti nel cuore dei poliziotti corrotti di Dudley Smith (James Cromwell), patrizio e insospettabile nell’aspetto e nero come la notte più nera nel cuore, invece.

L.A. Confidential: le contraddizioni della società americana tra razzismo e glamour
Tutte le contraddizioni della società americana nel momento della sua massima fiducia in un futuro luminoso vengono messe in scena in L. A. Confidential: il razzismo palese, il pestaggio ai danni degli ispanici prima (per la cui violenza Ed denuncia i suoi colleghi), le accuse ai tre ragazzi afroamericani (che stavolta Ed non esita a indicare e ‘smascherare’ come colpevoli della strage al Nite Owl); la denuncia della ragazza messicana stuprata che trova nel mischiare le carte e nell’inquinare le prove l’unica via per ottenere giustizia personale per la violenza subita; la onnipresente White Supremacy, che detiene tronfia e incontrastata il potere sulla Città degli Angeli. Esemplare a tal proposito la scena in cui il ragazzo afroamericano viene interrogato da Ed mentre in piedi, al di là del vetro, i vertici del Dipartimento di Polizia aspettano che venga fatta ‘giustizia’. Il loro riflesso sul vetro è enorme, implacabile mentre il ragazzo sembra diventare sempre più piccolo e senza scampo, chiuso nel gabbiotto degli interrogatori, fiera in esposizione e oggetto di pregiudizio e scrutinio

Violenza, onore, crudeltà, glamour, corruzione, amicizia, amore: ingredienti fondamentali di un genere che LA Confidential si può dire abbia rinnovato, nel solco di una tradizione sempre presente tra le pieghe della storia. Non sarà Chinatown, come molti reviewers hanno obiettato, ma il capolavoro di Curtis Hanson invita a essere visto e rivisto ogni volta che se ne presenta l’occasione.
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