Malcolm X, di Spike Lee (1992)

di Adriano Sgarrino

Locandina del film | re-movies.com

TRAMA

La vita di Malcolm Little, afroamericano, che, dopo sei anni vissuti in carcere per vari crimini ove è stato introdotto agli insegnamenti del leader Elijah Muhammad, decide di recarsi a Chicago per incontrarlo e diventare membro della Nation of Islam; cambia il suo cognome in “X”, che vuole essere emblematico del perduto suo cognome africano che gli fu portato via dai bianchi; sposa l’infermiera Betty Sanders, poi anche lei “X”; diventa la personalità più eminente nella Nation of Islam, propugnando dapprincipio l’affrancamento degli afroamericani dall’”uomo bianco” e dalla sua violenza. Ma una sua uscita infelice alla notizia dell’omicidio di John Fitzgerald Kennedy e il suo malaccolto ampliamento di vedute dopo un suo pellegrinaggio a La Mecca segnano drammaticamente e inesorabilmente il suo destino, assassinato il 21 febbraio 1965 durante un discorso pubblico a Harlem, all’età di 39 anni.

Bandiera statunitense che brucia sino a trasformarsi in X sui titoli di testa | re-movies.com

TRAVERSIE REALIZZATIVE E PRODUTTIVE

Il progetto parte dall’”Autobiografia di Malcolm X” (1965), scritta da Malcolm con la collaborazione di Alex Haley. Nel 1967 il produttore Marvin Worth acquistò i diritti della stessa ma non fu in grado di ultimare il progetto a causa di diversi impedimenti. Nel 1968 Worth commissionò una sceneggiatura a James Baldwin, che dopo breve fu affiancato da Arnold Perl. Il lavorò però cominciò a richiedere tempi troppo lunghi, Perl morì nel 1971. Baldwin riuscì solo parzialmente a trasportare la sua sceneggiatura in un libro del 1972, e nel 1976 dichiarò che fu un’esperienza così ardua che avrebbe preferito essere incarcerato piuttosto che ripeterla. Baldwin morì nel 1987. Da allora, molti autori vollero cimentarsi nella stesura di una sceneggiatura scrivendo delle bozze (David Mamet, David Bradley, Charles Fuller e Calder Willingham).

Parallelamente ai problemi di sceneggiatura viaggiarono quelli per l’assegnazione della regia. La Warner Bros. e Worth indicarono Norman Jewison come possibile regista, scelta che suscitò lo sdegno di Spike Lee, il quale già nel 1987 aveva espresso il desiderio di dirigere un film sulla vita di Malcolm X. In una lettera aperta al New York Times il regista afroamericano asserì che il mondo afroamericano non avrebbe mai accettato un bianco alla regia, a ciò si aggiunse anche il commento piccato del drammaturgo August Wilson. Lee aveva ormai sollevato un autentico polverone pubblico che ottenne come risultato l’accantonamento di Jewison dalla regia, il quale bollò l’atteggiamento di Lee come “apartheid”. Non tutti però furono soddisfatti della scelta ricaduta su Lee. In una lettera aperta al Washington Post, per esempio, il poeta afroamericano Amiri Baraka espresse tutto il suo disappunto verso Lee in quanto tacciato di avere diretto sino a allora film con ritratti estremamente caricaturali degli afroamericani, e promise un robusto boicottaggio della pellicola. Anche l’attore Laurence Fishburne, che in passato aveva lavorato con Lee in “Aule turbolente”, si oppose a lui affermando che Jewison era un regista nettamente migliore e che certamente avrebbe fatto un ottimo lavoro. Lee replicò a Baraka che, partendo dalla sceneggiatura originale di Perl e Baldwin, l’aveva riscritta solo parzialmente restando ampiamente fedele alla realtà dei fatti. Ma il risultato fu che gli eredi di Baldwin chiesero e ottennero il ritiro del suo nome dai credits del film, contenendo dunque questi ultimi i soli Perl e Lee come sceneggiatori e Malcolm X e Alex Haley come autori dell’autobiografia di X.

Alle traversie di sceneggiatura e regia, si aggiunsero anche quelle produttive. Lee disse alla Warner Bros. che necessitava di un budget che superasse i 30 milioni di dollari. Ma la Warner non acconsentì mai a una cifra così alta, garantendo comunque una parte dei fondi. Lee fu costretto di tasca propria a versare 2 milioni di dollari e chiese e ottenne da eminenti personalità afroamericane del tempo un massiccio contributo economico in termini di “donazioni”. Tra esse vi furono: Bill Cosby, Oprah Winfrey, Michael Jordan, Magic Johnson, Janet Jackson, Prince, Tracy Chapman e Peggy Cooper Cafritz. Ciò soddisfece Lee, che dichiarò: “Questo non è un prestito. Loro non stanno investendo nel film. Questi sono gente nera con del denaro, che sono venuti a salvare il film. Come risultato, questo film sarà la mia versione. Non la versione della compagnia assicurativa, non quella della Warner Bros. Farò il film nel modo in cui esso dovrebbe essere, e durerà più di tre ore”.

Il regista Spike Lee | re-movies.com

CRITICA

Dirigere un biopic non è mai semplice. Sono piuttosto rari, nella storia del cinema, i casi di biopic che possano dirsi pienamente riusciti. Dirigere un biopic su una personalità così complessa, nota e sfaccettata, come fu Malcolm X, dev’essere stato, immaginiamo, ancora più complesso, come le varie traversie ricordate testimoniano. Il rischio è quello di scontentare tutti, oppure di accontentare solo una parte o, ancora, di essere troppo accondiscendente nei confronti del personaggio rappresentato.

Pur ricevendo giudizi disparati da parte della critica nostrana e mondiale, alcuni di questi accusanti il film di essere “agiografico”, a uno sguardo più approfondito ci si avvede del fatto che Lee non è retrocesso di un passo rispetto anche agli episodi e agli aspetti più scomodi della vita del Nostro: i crimini, l’incarcerazione, le frasi fortemente controverse in occasione dell’omicidio di JFK, la disillusione nei confronti del leader Elijah Muhammad, la testardaggine inguaribile, ecc. E ciò anche a scapito di una messinscena che non privilegi sempre l’azione e la dinamicità, ma lasci spazio anche a quelle che taluni hanno troppo severamente definito “verbosità” e “prolissità”, ma che in realtà sono caratteristiche essenziali nel raffigurare i radicali mutamenti ideologici che avvenivano nella mente di Malcolm X, soprattutto dopo il suo viaggio a La Mecca. Lee, all’opzione per un film superficiale e “di cassetta”, come si diceva una volta, ha preferito quella per un film elaborato e molto articolato, non a caso non premiato dagli incassi. Una scelta che, a prescindere dall’esito finale non privo talvolta di qualche lungaggine, merita comunque rispetto, in una ricostruzione d’epoca molto accurata. E, se il film avrà rinnovato o suscitato l’interesse verso il vero Malcolm X, soprattutto nelle nuove generazioni affamate di conoscenza, avrà raggiunto uno scopo più che nobile e meritorio.

Malcolm X (Denzel Washington) durante un comizio | re-movies.com

RICONOSCIMENTI

Una grande prova da parte di Denzel Washington, giustamente candidato al Premio Oscar come Miglior Attore Protagonista (sconfitto dall’Al Pacino di “Scent of a Woman – Profumo di donna”) e vincitore dell’Orso d’Argento come Migliore Attore al Festival di Berlino. Eppure, anche per questa scelta di casting non mancarono le polemiche. Washington era stato scelto già quando si pensava a Jewison come regista; decisione poi assolutamente avvalorata dallo stesso Lee, che aveva visto Washington interpretare Malcolm X in uno spettacolo Off Broadway e lo definì “superbo”. Tuttavia fu osservato che l’attore era più basso e aveva una carnagione più scura del vero Malcolm X, il quale a sua volta aveva anche notoriamente una capigliatura tendente al rossiccio. Un’altra candidatura agli Oscar fu per i Costumi di Ruth Carter, che soccombettero a quelli di Eiko Ishioka in “Dracula di Bram Stoker”.

Il noto critico cinematografico Roger Ebert collocò “Malcolm X” al primo posto dei film del 1992, il regista Martin Scorsese lo inserì nella top ten dei migliori film degli anni ‘90. Nel 2010 la Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti selezionò il film per la conservazione nel National Film Registry, come “culturalmente, storicamente o esteticamente significativo”.

Malcolm X (Denzel Washington) assassinato | re-movies.com

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