di Carla Nanni

La criminalità di New York, quella fatta di mafia, droga, pericolosi gangster a cui basta una telefonata per farsi rispettare, è questo – fin dai primi minuti – il mondo di Leòn.
Luc Besson, dopo Nikita del 1990, ritrova Jean Reno in un film fatto di violenza, sangue, sparatorie e azione portata al limite, ma che non è solo questo L’omaggio a Sergio Leone non è nemmeno troppo nascosto, il nome del protagonista principale innanzitutto, le inquadrature tagliate sui volti dei protagonisti, la musica che accompagna in maniera crescente le sequenze di sparatorie e massacri, le panoramiche su una Little Italy un po’ miserevole, negozietti di quartiere, bambini che giocano a pallone per la strada e l’atmosfera di ignavia e omertà di cui è impregnato il condominio dove si incontrano i personaggi di questa storia.

Leòn è un sicario al soldo della mafia italiana e già questo farebbe di lui un personaggio difficile da raccontare, perchè mette lo spettatore in un punto di vista diverso, rispetto al senso di giustizia comune. Il pensiero che Leon sia un giusto, tutto sommato, viene alla luce dal confronto con il contesto in cui si muove, dal carattere solitario e particolare, dal fatto che vive una quotidianità fatta di piccoli abitudini e manie, come curare amorevolmente il suo appartamento, dal fatto che si nutre solo di latte, dorma su di una poltrona completamente vestito, occhiali da sole inclusi. Non ci viene spiegato il perché Leòn sia in questo modo, o il suo vissuto, possiamo però immaginare che il lavoro di sicario, che lui svolge in maniera efficente e meticolosa, lo abbia condotto a questa vita di solitudine… finché non arriva Matilda.

Se Jean Renò non brilla nell’interpretazione, la prova di Matilda viene superata in pieno dalla giovanissima Natalie Portman che si trova davanti un personaggio difficile e controverso. Gran parte della critica si è scagliata contro Besson per aver scelto un’attrice cosi giovane e priva di esperienza per una parte dai risvolti cosi violenti, crudi e con onde di palesi riferimenti alla sfera sessuale. Matilda è imprigionata nella sua giovane età e se fisicamente non è ancora sbocciata, nella sua mente c’è già qualcuno che ha troppo vissuto la miseria, la paura e parecchie altre brutture ed è per questo che “non sta crescendo, sta invecchiando”.
Matilda ha perso tutto e ha in mente solo la vendetta; si innamora di Leòn come ci si può innamorare di un principe azzurro venuto a salvarla ed è una passione talmente sconosciuta che forse può aiutarla a superare tutto. Matilda è piena di fantasia, carica di entusiasmo e riesce ad entrare nell’anima cupa e spenta di Leòn, che se da una parte è consapevole di aver decretato la sua fine appena le ha aperto la porta, dall’altra sembra rifiorire di qualcosa altrettanto sconosciuto. Il legame tra i due si rafforza, Leòn insegna a Matilda come uccidere, mentre lei gli insegna a leggere e a scrivere, gli mostra un nuovo modo di vivere e semplicemente ci chiarisce il perchè alla fine, un killer può essere un uomo di buon cuore.

Tutto il film si tiene su questo delicato rapporto tra i due, e proprio per questo il fatto che Renò non sembri dare il meglio in questa parte cosi drammatica (e in qualche punto di rara espressività lascia in chi lo guarda una certa inquietudine più che il sentimento di rinascita, d’amore profondo e puro che dovrebbe trasmettere)diventa un limite proprio nell’economia del film. Alla sua veneranda età comprende che esiste un altro modo di guardare la vita ma Leòn non si era mai sentito in prigione, perchè non vedeva la gabbia. Matilda lo fa dormire in un letto per la prima volta e per la prima volta gli dà un obbiettivo diverso dall’uccidere per soldi, una dignità e un orgoglio come Individuo: “Leòn…che nome cazzuto”.
Il legame in questa strana coppia non ha niente di sensuale, niente di erotico, è il perfetto connubio di persone senza equilibri, che si poggiano l’una all’altra per avere un senso. Magari Leòn non riesce fino in fondo a trasmettere questo senso, non ha la capacità di esaltare i tratti drammatici e cupi, nè i momenti di gioia viva di questa particolare storia d’amore ed è un peccato, perchè in caso contrario, sarebbe stato un capolavoro.

Di sicuro rimane un cult anche per l’intervento di Gary Oldman, che come villain si destreggia benissimo tra una pasticca e un colpo di testa; Oldman rende il personaggio di Stenfield un iconico psicopatico, imprevedibile e troppo corrotto, senza coscienza nè remore. Purtroppo ci sono poche scene in cui si può apprezzare tutto il valore di Stenfield nella storia: una è quando incontra Matilda nel bagno del distretto e tutto è agghiacciante, dal luogo in cui si trovano alla figura del poliziotto corrotto, fuori e dentro, la bambina pallida e tremante, un senso di morte certa , forse una delle scene più apprezzabili del film, anche se non è l’unica. Stanfiel fa una bruttissima fine, dopo aver sparato a Leòn, ma sarebbe stato giusto dargli più spazio, se non altro perchè avrebbe dato un ritmo diverso a tutto il film.

Un Cult e non un capolavoro, dunque, Leòn di Luc Besson rimane nel ricordo per i temi trattati, non comodi e spesso mascherati, e non annoia rivederlo, perchè ha una buona fotografia, un ritmo non troppo lento che è piacevole da seguire, resta solo un po’ di strana malinconia per il grande film che sarebbe potuto essere, Leòn, e che invece non è stato.
Amo Jean Reno,il mio film preferito,con lui co-protagonista,rimane sempre “Ronin” del 1998!!
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Anche io, Nik. L’articolo non è mio. A me lui è piaciuto molto in Leòn
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Cerchero’ questo “Leon”,grazie !!
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