di Fabrizio Spurio

A due anni dalla prima pellicola Krasinski torna a raccontarci le vicende della famiglia Abbot, composta ora da Evelyn, la madre (Emily Blunt), e i tre figli: la sordomuta Regan (Millicent Simmonds, sorda anche nella realtà), Marcus (Noah Jupe) e il neonato, partorito nella precedente pellicola.
La storia inizia dove si era interrotta nel film del 2018. Ormai la fattoria/rifugio non è più sicura, le creature aliene in caccia di carne umana dilagano e la famiglia Abbot è costretta a trovare un nuovo rifugio.
Gli alieni sono sempre più spietati, anche se ciechi, perché probabilmente il cibo comincia a scarseggiare. E gli umani hanno ormai imparato le strategie adatte per vivere nel silenzio.
In realtà il film si apre con una sequenza dove ci viene spiegata l’origine degli alieni, come sono giunti sulla Terra. Proprio in questa scena c’è una voluta esaltazione di ogni rumore emesso, mostrandoci, anzi facendoci udire, l’eccezionalità dei suoni che indicano la vita, la gioia, la normalità che diamo per scontato.
Ma nel momento in cui tutto cambia, quel silenzio, che molti esseri umani anelano come condizione di serenità, diventa l’espressione di un mondo che non è più normale. Un mondo alienato, dove la manifestazione della gioia può, in pochi istanti, diventare la causa scatenante di una morte atroce.
Il regista crea tensione giocando sul fatto che, per quanta attenzione si possa mettere nell’evitare di fare rumore, non si può prevedere o controllare tutto. Qualche cosa può sempre sfuggire, come nell’emblematica scena in cui Marcus finisce con il piede in una tagliola. L’urlo di dolore è inevitabile.

Agli esterni dai colori lussureggianti, dominati dal verde delle foreste, si passa agli interni dai colori seppia, tra gialli e marroni, della fabbrica dismessa dove ha trovato rifugio Emmett (Cillian Murphy).
Il rifugio diventa in questo caso un simbolo del silenzio che diventa una prigione forzata, mentale, dove gli esseri umani sono costretti a rinchiudersi per poter sopravvivere.
Ma sarà Regan il vero fulcro della vicenda. Studiando le carte del padre defunto, è sicura di trovare la salvezza in un’isola a largo della costa. Si mette in viaggio da sola, anche se più tardi viene raggiunta e accompagnata dal Emmett.
C’è la volontà di Evelyn di mantenere unita la famiglia, per proteggerla. La donna è profondamente segnata dalla morte del marito. Ma è costretta anche a capire che i figli, ormai cresciuti, devono decidere per il loro bene, e anche, sopratutto, per il bene di tutti. La convinzione di Regan è potente e decisiva per la ricerca di una salvezza, che potrebbe portare la sua famiglia a vivere veramente in un luogo più sicuro, libero dall’oppressione del silenzio.

La trama si snoda in momenti alterni, tra buone sequenze di tensione e spavento, con altre più lente, dove i rapporti umani vengono ulteriormente approfonditi, ma in un certo senso appesantendo la visione in momenti statici. Forse un migliore bilanciamento tra i due blocchi narrativi avrebbe giovato al risultato finale, che comunque rimane godibile. Certo la sorpresa del primo film, con la minaccia aliena che non era chiara, diventa qui una lotta per la sopravvivenza. Il regista non potendo creare più tensione sfruttando la poca visibilità dei mostri, qui fa il contrario: li mostra spesso e bene. Le creature sono originali e perfettamente funzionali alla storia, con l’originale design delle loro teste che si aprono come antenne per captare le onde sonore delle loro prede.
Alcuni punti però rimangono un po’ in sospeso. Ad esempio, la sequenza del porto, quando Emmett e Regan sono sul molo, circondati da altri esseri umani che vogliono portare con sé la ragazza e far morire l’uomo rimane irrisolta. Non c’è motivo per cui questo gruppo di persone voglia uccidere lui e rapire lei. Non viene spiegato perchè aggiscono in questo modo, sopratutto perchè vogliono Regan. E’ una sequenza che sembra infilata a forza, per mostrare alla fine che gli alieni, sopraggiunti a massacrare il gruppo, in realtà non sanno nuotare.

Ma anche l’interessante spunto della scoperta del cadavere della moglie di Emmett, da parte di Marcus, non viene approfondito. Avrebbe sicuramente gettato una luce maggiormente ambigua sul personaggio, che invece non è stata sfruttata, e quindi sembra un po’ forzata. Di contro ci sono sequenze di tensione, con narrazioni parallele. Nello stesso momento vediamo in situazione di pericolo Emmett con Regan, Marcus da solo e Evelyn, anche lei da sola, alle prese con gli alieni.
Il montaggio di queste scene di tensione parallele è perfetto, nei tempi e nelle attese. La tensione che giunge allo spettatore è in questo modo triplicata.
Molto hanno contribuito sia la musica, insinuante e tesa di Marco Beltrami, che la fotografia di Polly Morgan, che ha saputo rendere ancor più claustrofobiche le atmosfere del rifugio, creando giochi di ombre a pesare sui personaggi, e dando profondità alle scenografie con l’uso sapiente del fumo.
Il film è comunque godibile, anche se rimane inferiore al primo. Si rivela una pellicola riuscita a metà, che comunque offre un buono spettacolo per lo spettatore in cerca di spaventi. Naturalmente il finale sospeso ci porta a pensare che ci sarà un ulteriore capitolo.

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