Leoni al sole, di Vittorio Caprioli (1961)

di Greta Boschetto

Leoni al sole è un film del 1961, scritto, diretto e interpretato da Vittorio Caprioli (al suo esordio dietro la macchina da presa) e con: Franca Valeri, Carlo Giuffré, Philippe Leroy, Serena Vergano, Francesco Morante, Giorgio Sabbatucci e Riccardo Parisio Perrotti.

A Positano è arrivata l’estate, c’è caldo e ogni anno sembra sempre più torrido di quello precedente. Le cicale cantano, pigre e indolenti non pensano che giungerà di nuovo l’inverno perché la bella stagione è appena iniziata e sta già esplodendo: un materassino nel mare dove poter galleggiare e si pensa di poter andare avanti in questo modo lento per sempre.

Inizia così Leoni al sole di Vittorio Caprioli, tratto dal romanzo Ferito a Morte di Raffaele La Capria. Se nel libro, oltre alla satira (mai giudicante) verso una borghesia balneare che è quasi una micro-società durante i mesi estivi, troviamo anche il ricordo elegiaco e malinconico della giovinezza che diviene senza preavviso età adulta, nel film di Caprioli vi è ancora la satira ma applicata a dei leoni da spiaggia più attempati, degli uomini già diventati adulti che però non vogliono lasciare la giovinezza a cui si aggrappano in ogni modo e con ogni mezzo.

E perché dovrebbero? Questi cugini partenopei dei Vitelloni riminesi di Fellini vivono quasi tutto l’anno nel modo in cui tutti i turisti che accorrono al Sud ogni estate per poche settimane sognano. Nell’immobilità della stagione dorata, ogni istante sembra una promessa di felicità infinita per Giugiù, Mimì, Scisciò, Zazà e Cocò: ecco i nomi degli eterni giovani protagonisti della pellicola. Questi leoni marittimi scansafatiche, goliardici, contraddittori e al contempo affascinanti grazie all’edonismo mediterraneo più sfrenato ma al tempo stesso buffo, con il loro vivere che a primo acchito sembra solo la celebrazione della staticità e del non-fare, sono a loro modo baluardi anticapitalistici e contro un sistema che andava esplodendo proprio in quegli anni, quello del boom economico che getterà le basi del futuro consumista e iper-lavorista che abbiamo ora.

Sembrano aristocratici decaduti, orgogliosi del loro titolo e pronti a rivendicarlo, noncuranti dei soldi, in diretta contrapposizione al personaggio meneghino di Giulia (una milanesissima Franca Valeri perfetta nella parte), infastidita ma contemporaneamente sedotta dai modi nobili e popolari di questa cricca di scugnizzi cresciuti. Giulia infatti è il personaggio nordico che non è lì nemmeno per vacanza, ma per lavorare (scrive recensioni di hotel, il turismo inizia a diventare di massa e modello di quello attuale).

Le giornate a Positano scorrono così, al profumo di agrumi e di aria azzurra, saltellando sulle scalette del paese, al ristorante, a ballare il twist, facendo la siesta (bellissima la sequenza dove il riposo pomeridiano è reso dal punto di vista di un insetto che svolazza dentro e fuori le case silenziose e sonnolenti), con la calura infuocata che toglie energie per tutto, ma non quelle che servono per stare dietro alle ragazze, in cerca di un’avventura, di una ricca vacanziera da sedurre e abbandonare, di un tradimento estivo, di un modo facile per fare soldi da spendere subito perché “Noi sappiamo campare, siamo borbonici!” come dice il Marchese Aldo Sensale.

Cos’è quindi, Leoni al sole? Una commedia balneare? No, non è solo questo, perché se anche il film è composto da frammenti, da piccoli episodi, da bozzetti e da pennellate veloci come nel filone marittimo in voga in quegli anni, dietro un’apparente leggerezza cela una malinconia struggente dove il sorriso e il dolore si elidono e sfumano, cercando di sconfiggere un’atarassia che spesso trova appagamento anche solo nella chiacchiera e nel vivere stesso.

Poi ecco che una sera la brezza si fa più pungente, che quando cala il sole il costume lascia spazio a pantaloni e a maglioncini con le maniche lunghe: arrivano i primi temporali, uno sguardo languido a un amore che ha la durata delle settimane di ferie, qualcuno parte per andare a lavorare al Nord, forse pronto a diventare adulto, canzonato dagli altri che lo definiscono ormai invecchiato. “Io dico che la vecchiaia è una specie di malattia, mista di rabbia e di tristezza.”

E mentre sembra calare un velo di amarezza sulla fine dell’estate, ecco tornare il vitalismo dei nostri eterni leoni ora con i maglioncini autunnali: galvanizzati dalla loro tenera e buffa fratellanza, pregni di una dolcezza disperata e di un amore verso la vita commuovente, scacciano la tristezza correndo verso le barchette dei pescatori, alla ricerca di nuove avventure più delicate in attesa della prossima estate. “Eh va beh, cosa da niente, tutto si accomoda, pacatamente.”

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