Lovely Boy, di Francesco Lettieri (2021)

di Roberta Lamonica

Locandina

“Il rap ha del contenuto, la trap no, ma lo facciamo apposta”.

In questa frase buttata lì, nei discorsi fumosi all’interno di appartamenti bui e fumosi, il fulcro di Lovely Boy, ultimo film di Francesco Lettieri prodotto da Indigo Film e Vision Distribution, presentato fuori concorso a Venezia 78 nelle Giornate degli Autori. Andrea Carpenzano è davvero bravissimo a vestire i panni di un trapper romano nella sua parabola di ascesa e declino, un’anima persa “tra il vuoto e il pieno, la dissolutezza e la quotidianità, la disgregazione e la costruzione, la disperazione e la speranza”. In un alternarsi di blocchi narrativi e temporali che raccontano frammenti della vita di Nic, tra la Roma della scena trap e la comunità di recupero ai piedi delle Dolomiti altoatesine, in un mix psicotico di luci e ombre -soprattutto ombre-, Lovely Boy va a infilarsi lì dove il vuoto dei contenuti, il ‘bla bla bla’ di parole sconnesse si sostituisce con altrettanta carica rivoluzionaria e consapevolezza, rispetto a modelli musicali più blasonati, alla denuncia sociale, a un grido di disagio ed emergenza.

XXG

Lovely Boy non è un film sulla trap, come ha specificato il regista: avrebbe rischiato di essere obsoleto già all’uscita, dato che la trap è stata già da un po’ rimpiazzata dal drill e similari. Il film è piuttosto la storia del recupero di un’identità di una riabilitazione dalle tossicodipendenze, anche, riabilitazione che non è mai completa guarigione ma piuttosto rinnovata accoglienza e ‘perdono’ da parte della società civile, a seguito di buoni progressi. È ferita sempre aperta, come il taglio sul viso di Nic, cicatrice permanente, che trasforma la V di Lovely nella N di Lonely. Perché Lovely boy è la storia di una solitudine che continua anche quando il film finisce: Nic, seduto su uno sgabello freddo in un centro commerciale – il non-luogo di solitudine per eccellenza – privato forse per sempre della possibilità di veder crescere il suo futuro, intrappolato nella visione ripetuta della sua storia su uno schermo del bar, guarda nel vuoto di un mondo che non lo ha raccontato e che lui non ha saputo raccontare.

Andrea Carpenzano

E poco importa se Lettieri suggerisce un’assenza empatica ed emotiva della famiglia, un padre impegnato a far foto al figlio, guardandolo senza vederlo o se la madre-amica ricorda con il figlio i tempi delle ‘canne’ con compiacimento e nostalgia. Poco importa se le notti romane in locali alcolici e tossici – dove la dimensione dello sballo è la stessa dell’incubo ad occhi aperti – ci disorientano e infastidiscono. La solitudine, la voragine emotiva e autodistruttiva che si percepisce dietro gli occhi profondi ma vacui di Nic, ci richiama dolorosamente alla responsabilità collettiva di fronte a una gioventù di cui sappiamo troppo poco e che forse in fondo non ci interessa davvero conoscere. E così, il successo di Nic/Lovely Boy dura il tempo dello ‘scarico’ di una tinta per capelli, il tempo di un buco, il tempo del volo da un ponte. C’è speranza nella storia o in storie come quella raccontata da Lettieri? Forse l’unica è rientrare in sè, accettare di perdere tutto e diventare il più fedele compagno di se stessi, accettare di vivere ai margini di quell’orrido che alberga dentro ognuno di noi e che diventa tanto più buio quanto meno siamo strutturati… giovani. Smettere di guardare e iniziare a vedere, sporcarsi le mani con una musica fatta di flow e incastri… perché è nella disponibilità ad abitare anche per qualche istante quel mondo fatto di ‘dissing’, risse e periferie violente, che forse si può entrare con una piccola torcia in quegli abissi nell’antro scuro di adolescenze… dolorose.

🔴Disponibile su Sky Cinema dal 4 ottobre,

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