Il bambino nascosto, di Roberto Andò (Italia, 2021)

di Simone Lorenzati

“Se dovessi scegliere tra l’amore e la legge sceglierei l’amore”

Massimo Santoro (Roberto Herlitzka)
Locandina

Gabriele Santoro (Silvio Orlando) è un professore di pianoforte sessantenne che vive in piazzetta Materdei a Napoli. E’ un uomo solitario, dolente quanto rigoroso.
L’abitudinaria e grigia quotidianità del Maestro – come tutti lo chiamano – verrà, tuttavia, sconvolta dall’incontro con il piccolo Ciro (Giuseppe Pirozzi), figlio di un camorrista, costretto ad allontanarsi dalla sua famiglia ed a nascondersi nell’appartamento del protagonista. Il taciturno e scontroso bambino non vuole rivelare il reale motivo della sua fuga ma il professore, pur consapevole dei rischi che sta correndo, segue un sempre più forte istinto di protezione, istitno che lo spinge a prendersi cura del giovane.
Gabriele e Ciro sono una sorta di due anime in fuga che si rifugiano in un abbraccio, metaforico e reale. Gabriele fugge da costrizioni borghesi che non sono le sue ritrovandosi prigioniero di una perenne apatia che lo inibisce, sostanzialmente, in ogni rapporto verso il prossimo.

Ciro, dal canto suo, fugge da quella realtà criminale che il professore, da totale estraneo, osserva brulicare nel cortile del suo palazzo dietro le tende dalla finestra del suo appartamento. È un bambino costretto a crescere in fretta, indossa una corazza di prepotenza e di ruvidezza che nasconde, in realtà, un’anima fanciullesca esuberante, desiderosa di liberarsi del giogo impostogli dall’ambiente di provenienza.
Ed è proprio così che un uomo estraneo a quei codici criminali, insieme vecchi eppure nuovi, può offrirgli l’occasione di libertà che non ha mai potuto avere. Introdursi nella casa del professore può, però, essere una scommessa pericolosa. Non ho paura di nessuno, canta, in un rap che nasconde più speranza che non verità.

Silvio Orlando

Un padre mancato ed un bambino che sente la mancanza di una figura paterna che possa definirsi tale. Il bambino nascosto costruisce un toccante rapporto padre figlio tra due personaggi che non sono legati da alcun vincolo biologico. È una situazione di crisi esistenziale per l’uno, e di pericolo oggettivo per l’altro, che permette al loro rapporto di superare la diffidenza iniziale fino ad ergersi a legame costruito sulla fiducia, un rapporto diretto e profondissimo, che diviene sempre più stretto, dimenticandosi del legame di sangue che, in questo paese, pare spesso essere l’unico che davvero conti. Ciro fa uscire dal purgatorio, a cui si era autocondannato, Gabriele mentre, lo stesso Maestro, farà capire a Ciro che non esiste solo l’inferno camorristico.
E nel far questo Santoro riesce dove, spesso, le istituzioni falliscono. Una possibilità di salvezza, esterna, per un bambino – il cui destino appare segnato – fa chiaramente emergere la vocazione civile e politica della pellicola di Andò. Il monito del regista è chiaro: la situazione dei bambini che, fin dall’infanzia, si ritrovano invischiati in un ambiente criminale, è un problema enorme e, l’intricata normativa a riguardo, non facilita certamente la loro emancipazione da quella truce realtà.

Il rapporto tra Gabriele e Ciro, il suo evolversi – magari lento ma inesorabile – in un legame di affetto sempre più profondo, è inequivocabilmente merito dei due protagonisti. Silvio Orlando emerge con un’interpretazione intensa e dolente, costruita più sul contegno e sulla sottrazione che non sul debordare, anche se, nei momenti chiave, si tinge di una vitalità travolgente ed inaspettata. Il giovane Giuseppe Pirozzi, poi, a soli tredici anni, rivela una consapevolezza interpretativa che pare essere quella di un attore adulto ed esperto. Ed è grazie a lui che Ciro possiede una enorme voglia di riscatto in forza, o nonostante, i suoi sguardi torvi ed i suoi bronci contriti.
Menzione speciale per Lino Musella che dà il volto a Diego, un Ciro che non ha trovato la forza di scappare e che si ritrova ora impotente, strozzato da una spirale di crimine e di violenza che lo annulla e lo annienta, innanzitutto come uomo. Il suo è, paradossalmente, il personaggio che fa veramente da tramite tra i due mondi, tra la musica e la mafia.
Il bambino nascosto è un dramma di silenzi e di primi e primissimi piani che permettono una totale immersione nell’anima dei suoi protagonisti. Un film dall’estetica elegante in cui la macchina da presa spia da specchi e feritoie l’interno dell’appartamento dove si svolgono le vicende, restituendo quel senso di claustrofobia che caratterizza la convivenza di Ciro con Gabriele. E nemmeno l’omosessualità del Maestro, solo accennata e non approfondita, in uno dei rari momenti in cui alla pellicola pare mancare qualcosa, riesce minimamente ad intaccare il loro rapporto.

Il film è quasi totalmente girato nell’appartamento di Gabriele. La casa è una prigione per entrambi i protagonisti, braccati da chi cerca Ciro, così come da chi interroga il maestro. Ma diventa soprattutto una specie di zona franca dove i due incontrano il mistero della vita: Gabriele risveglia i propri sentimenti dopo essersi nascosto, in primis a se stesso, per troppi anni, mentre Ciro, attraversando la porta di quell’appartamento, ha finalmente chiuso i ponti con il mondo malavitoso.
Il legame ed il volersi bene, un rapporto profondissimo, quello che riesce a far compiere azioni impensabili, a freddo, per entrambi.
Ci si commuove, ma a volte si sorride anche. Esattamente come, in fondo, succede nella vita.

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