di Roberta Lamonica

The machinist – L’uomo senza sonno, è un film del 2004 di Brad Anderson. Con Christian Bale e Jennifer Jason Leigh.
Un Christian Bale irriconoscibile (dimagrito di 35 kg per interpretare il ruolo) e bravissimo veste i panni di un metalmeccanico destabilizzato da una lunga insonnia in un thriller che attinge a piene mani da precedenti illustri come Repulsion di Polanski per l’idea della casa che diventa ‘nemica’, luogo in cui si materializzano e prendono vita le psicosi del protagonista e Fight Club di Fincher per l’idea di un ‘doppio’ malvagio e spavaldo, senza disdegnare di strizzare l’occhio ad atmosfere che si richiamano a Cronenberg, Lynch e Hitchcock, tra gli altri.
La fotografia livida e fredda, straniante e respingente è funzionale alla resa dell’universo allucinato del protagonista, Trevor Reznik, che vive in uno stato di perenne alienazione significativamente esemplificato nel suo lavoro meccanico e ripetitivo vicino ai macchinari nell’officina e nel reiterarsi di situazioni tese a mostrare una non progressione e lo stallo cognitivo ed emotivo della sua esistenza. Il rapporto con Stewie – una sempre brava J. J. Leigh, soprattutto in personaggi dalla vita ‘ai margini’ – si configura per un po’ come l’unico potenzialmente significativo, perché non costringe la sua mente a costruire fantasmi e doppi. L’incontro con tutti gli altri è invece distorto, deformato dalla rimozione cognitiva che l’evento traumatico ha operato su di lui.
Il capovolgimento di prospettiva come colpo di scena finale che costringe lo spettatore a reinterpretare tutto il film (alla Shyamalan, per intenderci) non è qui particolarmente ‘potente’, nonostante la sceneggiatura presenti ipotesi di sviluppo interessanti. Trevor Reznik è presentato come me un uomo mite, ‘buono’, un lavoratore, un cavaliere gentile pronto a prendersi cura di donne in difficoltà, un uomo che si assume le responsabilità e sviluppa un grosso senso di colpa per un incidente sul lavoro di cui è responsabile. Addirittura una figura cristologica, a tratti. Ecco perché è interessante l’accostamento con L’idiota di Dostoeskij che sottende tutto il film.

di Hans Holbein
Nella Parte III del romanzo – ma il dipinto ritorna in più punti – Ippolit, un personaggio secondario, che per certi versi rappresenta sia il narratore sia Myškin (il protagonista), descrive Il corpo di Cristo morto nella tomba, dipinto del 1521 di Hans Holbein il Giovane.
Nel film di Anderson il personaggio interpretato da Bale, Trevor Reznik, legge L’Idiota ed è presentato fisicamente e anche nei comportamenti, come una vittima del sistema, di colleghi che sembrano volerlo sacrificare, di un complotto ordito da un misterioso e ‘deforme’ antagonista. Un Cristo moderno, come per il protagonista del romanzo di Dostojeskij. Ed è questo ‘accostamento’, più che il colpo di scena finale, che risulta particolarmente interessante. Il calvario di questo novello Cristo si connota come espiazione in un mondo che è limbo fumoso, espiazione che solo nella rivelazione finale troverà compimento.

‘Post it’ come stazioni di una via crucis e figure femminili accostabili alla Madonna e a Maria Maddalena, contribuiscono a fare di un anonimo e silenzioso operaio americano, il Cristo che Ippolit nel romanzo di Dostojeskij descrive come “… dal viso tumefatto dai colpi, gonfio, ricoperto di lividi terribili, sanguinanti, gli occhi spalancati, le pupille storte, il bianco degli occhi luccicante di un riflesso vitreo, cadaverico.[…] Un quadro in cui la natura appare come una belva enorme, implacabile e cieca, Un quadro in cui si esprime il concetto di una forza oscura, nuda, eterna e inconsapevole alla quale tutto è assoggettato e concesso malgrado il proprio volere”.
E in una rinascita che si configura come recupero di sonno, recupero del ciclo naturale veglia-sonno che la colpa aveva drammaticamente alterato che anche i colori si distendono, che il bianco di quella colpa lavata diventa luce salvifica… un Cristo peccatore o un peccatore che Cristo accoglie al suo fianco. Un Christian Bale indimenticabile in un film che forse avrebbe meritato più luce.

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