di Bruno Ciccaglione

Provocatorio e fracassone, disperato e divertente, teatrale eppure composto da una grande varietà di frammenti che sono puro cinema, l’ultimo film di Radu Jude riesce a imporsi all’attenzione del pubblico internazionale e vince l’Orso d’oro a Berlino nel 2021. Il suo sguardo assieme impietoso e sarcastico, da un lato ci rivela una Bucarest inedita e contraddittoria, dall’altro ce ne fa cogliere i molti elementi di affinità culturale con le nostre società dell’Europa occidentale, con un particolare sguardo sulla pandemia.

Il film parte subito dal centro, con una scena che ci mostra il video amatoriale di una coppia al culmine della eccitazione, che sta facendo sesso in modo giocoso e appassionato. Nel suo mostrare esplicitamente fin dai primi fotogrammi ciò che i due amanti fanno, dicono e riprendono con il telefonino, lo spettatore è immediatamente costretto a confrontarsi con la provocazione di immagini che esplicitamente ripropongono non il porno, ma i video amatoriali pieni di sgrammaticature ed errori tecnici che, postati dai non professionisti, imperversano sulle piattaforme commerciali come Porn Hub, magari con dei travestimenti più o meno improvvisati. Questo video, in cui la coppia è però riconoscibile e i volti sono visibili, messo in circolazione su internet e diffusosi ben al di là della volontà dei protagonisti, metterà nei guai la donna, una insegnante di liceo in una prestigiosa scuola di Bucarest.

Il senso più vero della provocazione, però, non è solo nel mostrare realisticamente ciò che solitamente nei film con un chiaro intento artistico non viene mostrato, quanto mettere noi spettatori, con le nostre ipocrisie e i nostri preconcetti, nella stessa posizione dei personaggi – i dirigenti scolastici e le famiglie degli studenti – che nel film si riuniranno per decidere le sorti della insegnante.

L’attrice protagonista, Katia Pascariu, viene dal teatro e ha raccontato che l’esperienza, che certamente l’ha esposta a una attenzione non sempre benevola, è stata invece positiva: “Ho letto la sceneggiatura e ho detto a Radu che per me andava bene. Non ho dei confini che non ho intenzione di superare se questo è importante per il soggetto e per la storia. Il mio corpo è lì per essere utilizzato nel mio lavoro”. Anche se all’origine era previsto che solo la donna fosse visibile nel video amatoriale, l’incontro casuale del regista con l’attore di video per adulti Stefan Steel ha aiutato da un lato a trovare la chiave sul come girare la scena (facendo una ricerca sui veri video amatoriali disponibili in rete, per riprodurne lo “stile” e copiarne i cliché, come è stato con i calzini indossati dall’uomo, ad esempio… ), dall’altro ha permesso di rendere ancora più credibile la scena, mostrando il viso anche dell’uomo. Una scelta importante, visto che i due protagonisti del video sono moglie e marito e che quindi era importante che i ruoli nella scena fossero paritari, per distanziarsi nettamente dal porno, in cui la donna è puro oggetto di cui l’uomo dispone completamente.

Al prologo, che è la premessa del film, segue una struttura complessiva del film in tre parti. La prima è la più esplicita nel riferirsi stilisticamente alla tecnica del pedinamento teorizzata da Zavattini. La protagonista Emi svolge una serie di commissioni banali nella città di Bucarest, molto spesso ripresa in campi lunghi in strada, nei mercati, entrando e uscendo dai negozi, in un percorso che la porterà infine nella scuola dove lavora, per prendere parte a un incontro con i genitori dei suoi studenti, nel quale verrà sostanzialmente messa sotto processo.

La città è soleggiata e caotica. Il traffico sembra incontrastabile e il conflitto tra pedoni e automobilisti, soprattutto i proprietari delle auto più lussuose o stravaganti (i Monster truck), è uno dei modi più evidenti con cui si manifesta il conflitto di classe, la prevaricazione dei più ricchi sugli altri. I marciapiedi sono spesso bloccati dalle auto che costringono Emi, vestita con un sobrio tailleur grigio e che indossa la mascherina per tutto il tempo, a scendere spesso dai marciapiedi. Infine, siamo in piena pandemia.

A chi scrive non era ancora capitato di assistere a un film in cui ci sono intere scene, tra l’altro ricche di dialoghi, in cui tutti i protagonisti indossano le mascherine. Nella Romania del 2020 in cui il film è girato, anche data la povertà di mezzi disponibili a confronto delle produzioni mainstream, si è trattato innanzitutto di una misura di sicurezza. Ma il tratto realistico che ne risulta è pienamente coerente con il tipo di cinema che Radu Jude propone. Inoltre il tipo di discussione cui assistiamo nella terza parte del film, quella del “processo” dei genitori alla insegnante Emi, risulta così molto più allusivamente riferita non solo e non tanto al caso del video erotico online della insegnante, quanto al tipo di discussioni cui si assiste spesso sulla pandemia.

La seconda parte è quella più “teorica”. Si susseguono immagini che sono come quadri, commentate dai pensieri e dalle riflessioni dell’autore. Alcune sono sarcastiche, altre sono amare nella loro ironia (a illustrare il concetto di “Efficienza”, la fila davanti a una agenzia di pompe funebri che si trova proprio davanti al reparto Covid di un ospedale), altre ancora mettono chiaramente in ridicolo la cultura consumistica galoppante (col suo commercializzare i riferimenti a fatti tragici o cruenti della storia anche recente della Romania), come la sua cultura fallocratica e maschilista.

La terza parte riguarda il “processo” a Emi, a opera dei genitori degli studenti del prestigioso liceo di Bucarest in cui lei insegna ed è una spietata rappresentazione della classe dirigente del paese, di cui un po’ emblematicamente sono rappresentati i nuovi ricchi, le istituzioni religiose, i militari, gli industriali. La sequenza di luoghi comuni, razzismo, tracotante ignoranza con cui la colta e fin troppo paziente Emi deve scontrarsi è veramente impressionante e ci colpisce nella sua ovvia similitudine, sia pur appena più caricaturale, con le discussioni cui assistiamo quotidianamente anche noi nei dibattiti sui media.

Si tratta della parte più teatrale del film, interamente costruita sui dialoghi e anche se la scena risulta forse un po’ troppo lunga, col suo indugiare sugli “argomenti” dei vari personaggi contro la insegnante “colpevole”, ci sono momenti assolutamente esilaranti nella loro assurdità (si pensi al momento in cui per favorire un giudizio “informato” dei genitori, si decide di mostrare pubblicamente a tutti il video incriminato).

La scena si svolge in una corte interna dell’edificio scolastico e la illuminazione, man mano che procediamo verso il “giudizio finale”, diventa più colorata e glamour, finta. Emi, costretta a difendersi da accuse, pregiudizi e ipocrisie di ogni tipo per il modo in cui svolge il ruolo educativo è chiaramente la rappresentante di quella parte colta della società che è libera, intelligente, acuta. Come Emi prova a chiarire per chiarire le differenze, la parola pornografia etimologicamente si ricollega al greco di πόρνη (pòrne, prostituta) e γραφή (graphè, disegno, scritto), cioè implica la rappresentazione della prostituzione. Nulla di più lontano dal suo caso.

Ma ogni tentativo che Emi fa di spiegare coi mezzi della cultura e con gli esempi offerti dalla storia, non fa che mostrare la loro irrilevanza nella nostra società e quanto invece quella parte che se ne fa portatrice sia anche la parte più debole, nello scontro sociale rappresentato in questa parte del film. I tre possibili finali, con tre possibili esiti della “votazione” dei genitori, non lasciano comunque dubbi su quale sia la parte giusta da cui stare secondo Rude Jude. Strepitoso il finale, con Emi trasformata in una specie di Wonder Woman del sesso, che finalmente usa tutti i suoi superpoteri per sottomettere sessualmente i più retrogradi dei suoi accusatori.

Il film è disponibile sulla piattaforma Rakuten Tv
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