DI A.C.

Più che mai attesa la terza fatica del regista Robert Eggers, il quale già con i precedenti The VVitch e The Lighthouse aveva intrigato e incuriosito critica e pubblico.
Tratto distintivo del regista è quella sua attenzione e interesse verso il mito, il folklore e la storia al punto da ricostruirla cinematograficamente in ogni minimo dettaglio. Un tipo di operazioni ad oggi svilite da una produzione hollywoodiana di stampo storica che nell’ultimo ventennio, tra operazioni patinate e peplum fuori tempo massimo, aveva condannato il genere, ma che l’autore statunitense (specialmente con la sua opera prima) ha avuto il merito di rivalorizzare e nobilitare.
Eggers, supportato nella sceneggiatura dal poeta islandese Sjon, si ricollega nuovamente alla storia, muovendosi ancora più addietro nei secoli rispetto alle due precedenti opere e rifacendosi alla figura dell’Amleto storico, originato dalle Gesta Danorum di Saxo Grammaticus per poi essere riadattato da Shakespeare.

892 d.C. Il giovane principe Amleth vede il proprio padre Re Aurvandill ucciso dall’avido fratello Fjolnir, il quale di fatto si impadronisce del regno e sposa la regina madre. Scampato agli assassini, riesce a fuggire dalla propria terra giurando vendetta. Con il passare degli anni diventa un furioso guerriero berserker e si incamminerà inevitabilmente verso il percorso di sangue e morte su cui lo ha messo il destino.
Stando alla premessa dello stesso regista, The Northman sarebbe stato il suo incontro più ravvicinato con un cinema di tipo “commerciale” ma non per questo slegato dalla sua sfera autoriale. E in effetti si percepisce il suo meticoloso studio verso la cultura norrena, con l’interesse di trasporla in tutto il suo fascino esoterico e storico: tra riti di guerra, stregoneria, veggenza e mito ultraterreno del Valhalla.
L’operazione di Eggers tenta di muoversi su più registri, tra l’epica, l’avventura e il fantastico, cercando di coniugare lo spettacolo con la sua poetica storico-mitologica.

Ma in un tentato ibrido tra Conan il barbaro e Andrej Rublev, The Northman finisce per esaurire già dopo breve tempo le sue cartucce, di fatto non raggiungendo il senso dello spettacolo del film di Milius e né avvicinandosi alla dimensione filosofica dell’opera di Tarkovskij. Emerge in più riprese l’impressione di un racconto ridondante, piatto e stucchevole dopo una prima promettente mezzora in cui l’opera sembra però già dare il suo massimo senza mantenere degnamente il ritmo nel restante minutaggio narrativo.
Un passo indietro rispetto alle sue due precedenti opere, dove la componente metafisica era molto più suggestiva e palpabile e la personalità dell’autore emergeva maggiormente, mentre qui sembra cedere spesso il passo ad un insensato compromesso di spettacolo, in cui a risentirne sono proprio l’epica, la passione e le dinamiche tra i personaggi, poco valorizzati dallo script malgrado le apprezzabili prove degli interpreti.

Un connubio poco riuscito, capace probabilmente di far rivalutare due precedenti film di matrice vichinga, quali Valhalla Rising di Refn e Il 13° guerriero di McTiernan, che nelle loro diverse aspirazioni (e al netto di certi limiti rappresentativi) riescono a dare maggiore giustizia alla componente mitologico-metafisica (Refn) e quella semplicemente avventurosa (McTiernan) all’interno dell’ambientazione norrena.
Certamente lodevole il lavoro dal punto di vista estetico nella fotografia e nelle scenografie, malgrado si palesino anche discutibili scelte tecniche quali lo stonato utilizzo della CGI nelle sequenze maggiormente visionarie. Ma al netto di una apprezzabilissima qualità formale del prodotto viene lecito pensare che per un autore con le doti di Eggers sia anche da considerarsi il minimo sindacale.

The Northman, in definitiva, dà l’impressione di un’operazione incompiuta, dall’indubbio potenziale ma di fatto trattenuta in un impasse di intenti che non riesce ad esprimere il massimo dalle sue ottime premesse generali.
Non mancheranno comunque discussioni e divergenze di vedute su questo prodotto, destinato certamente a dividere critica e pubblico.
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