di Girolamo Di Noto

Merita un’attenzione particolare il cinema di Franco Piavoli – classe 1933 – regista bresciano di Pozzolengo. Il suo sguardo raffinato abbraccia tutti gli aspetti della vita, parla delle cose che contano e che servono. Di lui si può dire che la sua è una semplicità studiata perché non si limita a filmare e a riprendere ciò che stiamo vedendo, ma l’immagine messa in risalto ci mostra anche quello che non siamo più capaci di vedere.

Voci nel tempo, ambientato nella cittadina mantovana di Castellaro, è una suggestiva riflessione sullo scorrere delle stagioni, dalla primavera all’inverno, in cui si susseguono tutte le fasi dell’esistenza osservate con la curiosità dell’entomologo: si comincia con i giochi dell’infanzia, i turbamenti amorosi dell’adolescenza, le prime delusioni, l’affiorare negli adulti del rimpianto per le occasioni mancate, l’amara consapevolezza della giovinezza che si allontana.
Autodidatta fuori dal giro, rimasto fedele alla purezza del suo mondo poetico, considerato a tutti gli effetti un “eremita della macchina da presa”, Piavoli ha saputo dipingere la vita sullo schermo raccontando più sensazioni che fatti, puntando l’attenzione su frammenti di vita che la fretta, la frenesia dei tempi moderni, ci impedisce di cogliere. L’aggrottarsi delle ciglia di un uomo, il farsi sera, l’annuvolare, il latrato di un cane, un semplice respiro o persino la ruga sul collo di un contadino, nulla è trascurato, tutto viene mostrato come se fosse una scoperta.

Pervaso da una trascendenza tutta terrena e da una sete di conoscenza, Piavoli elogia la lentezza, propende per gli indugi, la calma riflessiva per cogliere l’essenza delle cose, ciò che conta sotto la superficie. “Le cose hanno i loro tempi, è necessario lasciarle parlare”, dice il cineasta bresciano.

In questo straordinario film “saggio” sono osservati sotto una lente di ingrandimento sorrisi, mani, l’infinito nel finito, la luna che “posa queta sovra i tetti e in mezzo agli orti”, la vitalità erotica dei giovani, la contemplazione senile dei vecchi. Attraverso gli abitanti di Castellaro trascorrono immagini di matrimoni e funerali, balli, bagliori nell’acqua. La vita, “cosa arcana e stupenda”, direbbe Leopardi nel Coro dei morti, è raccontata dal regista con occhio vergine perché la sua intenzione è quella di superare lo sguardo di tutti i giorni che addossiamo sulle cose, il “logoramento che ci viene dall’abitudine”.

Il tramonto nel cinema di Piavoli non è solo un tramonto, si riveste di altri significati: rifiutando la forma narrativa ed evitando anche le secche del documentario, Voci nel tempo è cinema di poesia che trova la sua poetica debitrice nella letteratura nelle lezioni di Leopardi, Lucrezio, Omero e nel cinema in Olmi, Kiarostami, Flaherty.

Ci sono pagine di intensa bellezza in questo film. Basti pensare alla sequenza del ballo tra gli adolescenti, con il regista che cattura la sensualità dei corpi, o alla scena che vede protagonista la donna che al banchetto di nozze rivede se stessa da giovane o del vecchio che sale faticosamente le scale, ansimante: il respiro della vita, la speranza, il rimpianto, la disillusione, “I diletti, l’amor, le opre, gli eventi”, sono familiari nel film e si avvicendano nel passaggio dalla vita alla morte.

Parole, dialoghi, voci, musiche, suoni, rumori, tutto è sullo stesso piano, tutto concorre ad essere funzionale all’emozione. Le parole degli abitanti a volte si confondono, si perdono poiché la volontà del regista non è quella di spiegare, limitare a concetti prestabiliti ciò che mostra, ma di restare nel vago, voce indistinta e misteriosa. Frutto di un lavoro intenso, il film, con il suo stile originale e con i connotati dichiaratamente simbolici, tratta argomenti bucolici ma il mondo che rappresenta non è un Eden ma è intriso comunque di fatica, dolore, morte.

Costruito su immagini di rara e a volte ricercata bellezza, Voci nel tempo è un piccolo gioiello del cinema italiano, complesso pur nella sua semplicità delle storie raccontate, che si concentra sui volti delle persone e sulla fisicità delle cose e non fa concessioni al sentimentalismo, ma dá vita alle diverse fasi della parabola esistenziale, seguendo la ciclicità del tempo che già ne Il pianeta azzurro emergeva, attraverso alcuni versi di Lucrezio: “Il nascere si ripete/di cosa in cosa/e la vita/a nessuno è data in proprietà/ma a tutti in uso”.

L’uomo viene inserito nella natura ma non al centro ed è posto nel fluire delle cose e nell’inesorabile scorrere del tempo. C’è una voce persa nel tempo che ad un certo punto nel film dice: “L’amore fa passare il tempo e il tempo fa passare l’amore”. Una riflessione sul disagio della vita che fugge, una considerazione amara sulla scorrevolezza dell’esistenza che non ci lascia neanche il tempo di guardarla in faccia, ma anche un film ricco di emozioni, un invito a godere la vita giorno per giorno, alla riscoperta di piccoli, genuini valori, un cinema raffinato che merita di essere riscoperto.

Meraviglioso
un grande autore, sin dai primissimi lavori
"Mi piace""Mi piace"
Bellissimo articolo
"Mi piace""Mi piace"