Il romanzo di Mildred, di Michael Curtiz (1945)

Di A.C.

Mildred Pierce è una casalinga e madre di due figlie. Decide di divorziare dal marito infedele e di lasciarsi alle spalle gli strascichi di un matrimonio ormai infelice. Di qui un percorso di emancipazione professionale fatto di sudore e sacrifici al fine di dare alle figlie una vita al massimo delle possibilità e di conquistarsi il loro affetto, in particolare quello della maggiore Veda, viziata ed ingrata al limite della malvagità.
Da un romanzo di James M. Cain, principalmente incentrato sul dramma psicologico e sulla contestualizzazione storica nell’America della Grande Depressione e la cui trasposizione del regista andò volutamente in altra direzione e non senza un’esternazione di dissenso da parte dello stesso scrittore.

Michael Curtiz, infatti, si appropriò del testo letterario mettendo da parte la cornice storica e plasmandolo in una commistione di noir, dramma familiare e melò, nel film che di fatto rilanciò Joan Crawford in un momento di stallo della sua carriera, pur non essendo scelta desiderata dal regista, il quale le preferiva la rivale Bette Davis ma, suo malgrado, gli venne imposta l’attrice texana dai produttori della Warner Bros.
Come nella tradizione del genere noir, il film si apre infatti con un omicidio e un ignoto colpevole, con tanto di nebbia e inquadrature ricche di giochi d’ombre, per poi sfociare tramite l’espediente del flashback nella ricostruzione di uno straziante melodramma, in cui un “american dream” economico che vede il suo massimo raggiungimento si sviluppa parallelamente al disfacimento tragico di un nucleo familiare, tra gravi lutti, amanti parassiti e un incondizionato affetto genitoriale che segnerà la rovina della protagonista, a cui Joan Crawford dà volto con un’interpretazione sublime, in quel misto di grinta e di fragilità che spesso ha contraddistinto i suoi iconici personaggi femminili.

Così è infatti Mildred Pierce: forte e debole al tempo stesso, combattente e contemporaneamente oppressa in una società che, sotto quel dogma dell’American Way of Life, spinge all’iper-performance per raggiungere grandi traguardi economici e un importante tenore di vita, nell’illusione che questo vada a vantaggio anche dei legami d’affetto, invece consolidati sulla potenza economica e sul classismo.
La tragica eroina di Curtiz risulta infatti vittima di questa illusione credendo di poter costruire il rapporto con sua figlia Veda sulle fondamenta del denaro e di tutti gli agi connessi, alimentando così quel mostro rappresentativo di una generazione successiva già arrogante, arrivista, venale e priva di ogni scrupolo morale.

Curtiz si districa sapientemente tra i vari generi, alternando le atmosfere torbide ed ambigue del noir con l’efficacia drammaturgica del melodramma. In un momento di ripartenza e di ricostruzione della società statunitense nell’immediato secondo dopoguerra ,dove la fiaba del sogno americano era più che mai viva e il modello familiare borghese era relegato ad un immagine falsa e di pura propaganda, Il romanzo di Mildred è uno struggente ritratto femminile lontano dalle convenzioni dell’epoca e anche un’analisi di precisione chirurgica della società del periodo, capace di scansarsi dalle etichette ingannevoli del manifesto di vita statunitense e di inquadrare in maniera estremamente lucida l’inizio di quel declino sociale e generazionale che da lì in poi si sarebbe sempre più progressivamente aggravato.

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