di Girolamo Di Noto

Diversi sono i film ambientati lungo i fiumi: si pensi al Rio Bravo di Hawks, al Rio Grande di Ford, al Gange di Renoir e Satiajit Ray, al Rio delle Amazzoni di Herzog, la Senna della Nouvelle Vague, il Tamigi di Hitchcock e tanti, tanti ancora.

Nelle molteplici curvature, pieghe, anse del fiume sono state narrate storie imperniate di gioia e dolore, passione e tristezza, vita e morte.
In Italia, se c’è un fiume che ha ispirato molti registi, questo è stato senz’altro il Po. Registi del calibro di Visconti, Rossellini, Antonioni, solo per citarne alcuni, hanno dato vita ad opere indimenticabili, capaci non solo di raccontare la bellezza del paesaggio ma anche di evocarne i difetti, il male nascosto, il più delle volte familiare con il genere umano e non sempre con la Natura.

Tra i registi meno noti ma talentuosi che è riuscito come pochi a cogliere in profondità l’aria del suo tempo e a mostrare uno sguardo preciso sulla società italiana lasciandolo trasparire dal paesaggio nebbioso, paludoso, misterioso del Po va senz’altro ricordato Carlo Mazzacurati, personalità difficile da classificare, che il cinema ha perso troppo presto, la cui poetica minimalista, sospesa tra desolazione e tenerezza, è sempre stata incentrata su persone comuni, che incappano per caso su qualcosa che li costringe ad andare alla ricerca di un senso, personaggi alle prese con la loro affannata esistenza, abitati dalla solitudine, toccati da un senso di mancanza e di perdita.

Notte italiana ha come protagonista un avvocato padovano, Otello Morsiani (Marco Messeri) che viene mandato nel Polesine per una perizia. Resta incantato dagli orizzonti desolati della pianura, dalla tranquillità di quel lembo di provincia che sembra fermo agli anni Cinquanta.

Trova amicizie, anche un amore inaspettato, Daria( Giulia Boschi), ma anche amare sorprese. Involontariamente scopre un segreto che quella terra nasconde, quello stesso segreto che, anni prima, non aveva lasciato scampo ad un ingegnere, annegato nel canale a seguito della manomissione dei freni della sua vettura. Riuscirà a salvarsi?

Prima opera distribuita dalla Sacher Film di Nanni Moretti e Angelo Barbagallo, Notte italiana, sin dalle prime inquadrature, contiene una grande ricchezza di atmosfere riguardo al paesaggio, richiamando da subito la sua importanza fondamentale nello sviluppo del film. La pianura non è appiattita a scenario della storia, ma viene inquadrata come personaggio attivo e soprattutto lo sfondo palustre, oltre a dar vita ad un thriller permeato di segreti e inquietudini, diventa metafora di un Paese, l’Italia, colto in un irreversibile cambiamento negativo, mostrato in una condizione melmosa dalla quale è difficile districarsi.
Uomo colto e amabile cineasta, Mazzacurati ha saputo realizzare un film di atmosfere padane, di misteri che si nascondono dietro l’apparente perbenismo del ricco Nord-Est, senza però restare intrappolato nell’etichetta di un regista che si limita a posare il suo sguardo su un territorio circoscritto. Cineasta di provincia ma non provinciale, il regista ha mostrato il Polesine come qualunque luogo della terra e i suoi personaggi marginali non sono tipici di quel luogo ma assumono una valenza universale.

L’idea di Mazzacurati era quella di ” raccontare uno sporco imbroglio di provincia immergendolo in una zona magica avvolgente, dove si stenterebbe a credere che certe cose accadono”.
Un’intenzione che colpisce e va a fondo se pensiamo a come si resta sorpresi, pian piano che procede la storia, nello scoprire la meschinità, i vizi di un popolo all’apparenza innocui. Dietro la bellezza di distese d’acqua delimitate da strisce di terra dalla bassa e selvatica vegetazione, oltre l’apparente superficie seducente della natura, si nascondono malefatte e connivenze illegali, corruzioni, uomini poco graditi lasciati annegare; attraverso squarci lirici di indubbia bellezza emergono assessori e architetti che progettano parchi naturali perseguendo il fine di mettere in tasca soldi e coprirsi a vicenda, nella materia melmosa affonda una comunità che vive di ruberie, assassini, tradimenti.

Otello, di fronte a questa palude morale, è un personaggio spiantato che ” sembra traballare di fronte alla modernità e alle sue offerte “. Entra in contatto con i personaggi del luogo: un benzinaio simpatico (Remo Remotti), sua figlia, un punk che suona il liscio nelle balere, due buffi geometri ( i gemelli Ruggeri) e soprattutto trova sulla sua strada un signorotto locale, un ras che detta legge, Tornova (Mario Adorf) che incarna la disonestà come fatto acquisito e indispensabile “per andare avanti”. Tornova rappresenta la smodata presunzione di farla franca, di superare gli altri con scorciatoie poco nobili.

“Non sarà mica onesto lei? “, chiederà a Morsiani e la sua richiesta è la metafora- siamo alla fine degli anni Ottanta e sappiamo tutti cosa ci aspetterà di lì a poco- di un Paese dalle strizzate d’occhio, caratterizzato dall’arte di arrangiarsi, che prova risentimento per gli onesti, animato solo da profitti e squallore morale. Il primo piano dei pulcini che pigolano e corrono spaventati lungo il recinto e non riescono a trovare riparo è alquanto significativo: chiara espressione di un’umanità sconfitta dai miti illusori della ricchezza, destinata a soccombere in un mondo cinico e ipocrita.

L’incedere dell’avvocato in questi spazi aperti vive di sentimenti contrastanti: ora è felice quando rincorre le anatre, ora è disgustato e imperterrito nel non cedere né deflettere dai suoi nobili principi, ora è spaesato nel vedere con i propri occhi un mondo che sta mutando: c’è un flipper che sta per cedere il passo ai videogames, un antico modo di pensare che sta per essere messo da parte, ristoranti cinesi al posto delle locande dalle grappe fatte in casa.

Otello trova la forza di rimanere intatto, non cede alle tentazioni, non vuole abdicare alla sua dignità: non si arrende di fronte all’omertà dominante, troverà la forza necessaria per contrastare una società maneggiona, arrivista. Mazzacurati non fa sconti alla realtà italiana e al suo lento corrompersi, racconta la speculazione edilizia, un crescente vuoto di valori senza mezzi termini ma sa anche aggrapparsi ad un’inalterata purezza, ad una caparbietà che non si arrende, non cede. Si respira la poesia visiva di Olmi, Bertolucci, Antonioni in questo film, da riscoprire perché ha avuto il merito di descrivere un mondo in agonia all’interno di una terra di aspra e concreta bellezza, ma anche perché ha saputo cogliere lo sguardo sui sentimenti umani, quelli positivi, che possono ancora salvare il mondo, dare un senso profondo, mettere via smacchi e delusioni.
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