L’esperimento del dottor K (“The Fly” 1958) di Kurt Neumann.

di Fabrizio Spurio

“L’esperimento del dottor K” è ormai diventato un classico del cinema fanta-horror americano. Nel tempo ha generato due seguiti (“La vendetta del dottor K” di Edward Bernds del 1959, e “La maledizione della mosca” di Don Sharp del 1965), e due remake (“La mosca” di David Cronenberg del 1986 e “La mosca 2” di Chris Walas, già creatore degli effetti speciali del precedente film di Cronenberg, del 1989). Il film parte agganciando immediatamente lo spettatore con un inizio folgorante. Un guardiano notturno, durante il suo giro di ronda in una fabbrica, scopre il cadavere di un uomo schiacciato da una pressa industriale. Della vittima sono state distrutte la testa ed un braccio, rendendolo irriconoscibile. Dai sopralluoghi della polizia si scopre che la pressa è stata azionata due volte. Sul luogo del delitto è stata intravista una figura femminile fuggire tra i macchinari. Parte così una sorta di indagine poliziesca ed un racconto a ritroso delle vicende che hanno portato al terribile incidente.

François Delambre (Vincent Price) riconosce nella vittima il fratello André Delambre (David Hedison), si vede quindi costretto a comunicare alla cognata il decesso del marito. Ma Héléne confessa al cognato, e all’ispettore Charas (Herbert Marshall) incaricato delle indagini, di essere stata lei ad uccidere il marito. Davanti lo sgomento dei due uomini Hélène inizia a raccontare la sua incredibile vicenda: la donna è stata costretta dal marito ad azionare la pressa per quello che rivela essere un suicidio. Kurt Newmann è abile nel presentare la storia in modo graduale, in un lento crescendo senza mai scadere nella noia, ma stuzzicando lo spettatore con la curiosità di voler capire cosa è successo realmente. La prima parte del film ci presenta, nel racconto di Hélène, la vita serena di una famiglia borghese. L’amore tra lei e André è perfetto, interrotto soltanto dall’impegno che l’uomo riserva ad i suoi esperimenti scientifici nel laboratorio sotto la casa. Non è il tipico laboratorio da scienziato pazzo, ma un luogo ordinato, pulito, che rispecchia lo scrupolo e la dedizione dell’uomo verso le sue ricerche. André sa che deve bilanciare l’amore di sua moglie con la passione della ricerca, per non trascurare ne lei ne il loro figlio Filippo (Charles Herbert). Dopo questo preambolo il pubblico è ormai affezionato a questa famiglia, e il dramma colpirà maggiormente lo spettatore. Per questo, a seguito del disastroso esperimento che ha trasformato André in un mostro dalla testa di mosca, il pubblico segue la disperata caccia di Héléne alla mosca dalla testa bianca; sarà partecipe del dolore e della disperazione della donna, le cui azioni sono sostenute dall’incrollabile amore che prova per il marito. Il centro del film è tutto rinchiuso in questo semplice espediente: la ricerca di una minuscola mosca dove si è impiantato il braccio e la testa di André, in un terribile scambio di parti anatomiche. L’unica speranza è ripetere l’esperimento tra uomo e mosca, e tentare di riordinare le rispettive anatomie.

Il volo della mosca, il ronzio delle sue ali, diventano, durante lo scorrimento della pellicola, una sottile minaccia sempre incombente. Nei momenti di silenzio, senza alcun tema musicale a fare da sfondo, il ronzio della mosca diventa un suono insinuante, che potrebbe anche spingere Hélène nella paranoia. In ogni momento della pellicola lo spettatore è portato ad osservare gli ambienti in cui la famiglia si muove, Hélène, Filippo e la loro governante, come se si volesse partecipare alla ricerca di quel piccolo assurdo insetto. Ci ritroviamo a scrutare insieme alla donna gli angoli delle scenografie, sperando di scorgere il piccolo puntino nero in qualche anfratto. E vediamo come una minaccia, un pericolo, ogni fessura, ogni finestra accostata sulla quale cade il nostro occhio. Ma siamo consapevoli anche della crudele difficoltà di una tale ricerca. Intanto André continua la sua solitaria esistenza, auto relegatosi nel suo laboratorio. Il suo amore lo spinge a coprirsi il volto per non mostrare l’orrore del suo aspetto ad Hélène. Ma la donna è forte, anche se atterrita dal braccio mostruoso del marito. I suoi dialoghi con André, ormai isolato in laboratorio, sono dolorosi. Sono discussioni a senso unico, in quanto André non può parlare, ma solo scrivere. Lei vuole fare di tutto per cercare di salvarlo, ma lui ormai ha capito che l’unico modo è morire e distruggere la scoperta che gli ha causato tutto quel dolore. Ed è durante uno di questi discussioni che Hélène, travolta dalla disperazione, strappa via il panno che nasconde la testa del marito. Tutto il film è puntato su questo momento. Finalmente il pubblico può vedere il risultato dell’esperimento e appagare la sua curiosità, stuzzicata fino a quell’istante. Un primo assaggio ci era già stato concesso mostrandoci di colpo la mano ed il braccio di Andrè, trasformato nella zampa di una mosca. E questa concessione al mistero ha spinto ancor di più la voglia di vedere, di poter scoprire l’orrore. Dalla negazione dell’occhio si passa all’eccesso dell’occhio: Hélène urla sconvolta osservando la testa mostruosa del marito, e lei stessa è osservata da lui. Dal punto di vista di André vediamo a tutto schermo la figura della donna, ripetuta centinaia di volte in tante piccole immagini. Un’immagine composita di Hélène che urla, quasi amplificando e moltiplicando l’orrore della donna.

Ma subito dopo l’orrore prende piede la pietà e la compassione. Hélène ha capito il dramma di André, sa che la morte è inevitabile. Per questo decide di aiutare il marito ad uccidersi, schiacciando sotto la pressa quel braccio e quella testa deformi, così da non poter lasciare traccia dell’orrore che ha devastato il corpo e l’animo dell’uomo. Hélène è una donna forte, che ama totalmente il marito, diversamente da tante altre donne del cinema di genere di quegli anni, in cui erano per lo più le compagne e le amanti dei protagonisti di turno. E proprio in questo amore trova la forza di agire, di compiere quello che è giusto, per André, ma anche per il piccolo Filippo. Prende in mano la situazione e va fino in fondo anche se il suo cuore è straziato dal dolore. La trama così è sciolta, la rivelazione è data. Ma François e l’ispettore si trovano di fronte al dilemma: credere all’assurda storia della donna? Oppure prendere atto di un’evidente squilibrio mentale? La soluzione giunge inaspettata in quello che è uno dei finali più grotteschi della storia del cinema. I due uomini, seduti su una panchina in giardino, vengono attirati da una flebile voce che cerca disperatamente aiuto. Una voce stridula che li porta a cercarne l’origine. Li vicino, in un cespuglio, scorgono una ragnatela, tra le maglie c’è invischiata una mosca, mentre un ragno le si avvicina per divorarla. In quel momento i due uomini vedono con orrore che la mosca ha una testa ed un braccio umani: è Andrè.

Di fronte all’assurdo orrore di quella rivelazione, l’ispettore non può che prendere un masso e schiacciare la ragnatela, uccidendo ragno e mosca. L’unica cosa da fare, per trovare una giustificazione logica al tutto, è chiudere l’inchiesta come suicidio. Hélène viene scagionata, ed insieme a François e al figlio cerca di ricostruire la sua esistenza. Il film punta più sul dramma e la tensione della scoperta, piuttosto che in un facile orrore come ci si sarebbe aspettato nelle mani di un regista meno misurato. Newmann decide di puntare meno sull’effetto, sfruttando al meglio quanto gli è stato fornito. Indicativa in tal senso la scena in cui André, dopo aver adagiato la moglie svenuta su un divano, le si china sopra, quasi sfiorandole il volto con la sua mano orribile, ma con un senso di dolcezza ed amore che non può che suscitare pena nello spettatore. Il dolore nato dalla consapevolezza che lui non potrà più sfiorare il dolce volto di Hélène. La sceneggiatura, tratta dal racconto “The fly” (1957) scritto da George Langelaan, rimane fedele al romanzo. Per il trucco fu incaricato Ben Nye che realizzò la testa ed il braccio del mostro. Il titolo italiano venne cambiato in “L’esperimento del dottor K” per l’assonanza con il romanzo “La metamorfosi” di Kafka, dal quale proviene la lettera K del titolo.

Vincent Price, che tornerà anche nel film successivo rivestendo sempre lo stesso ruolo, recita in maniera molto più misurata rispetto all’istrionismo che gli era tipico nelle produzioni “gotiche” dei film tratti da E.A. Poe diretti da Roger Corman.

Pubblicità

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.

Blog su WordPress.com.

Su ↑

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: