La fiamma del peccato (Double Indemnity), di Billy Wilder (1944)

di Alessandro Marzia

“Si, l’ho ucciso io. L’ho ucciso per denaro e per una donna. E non ho preso il denaro e non ho preso la donna”.

(Walter)

Queste, forse, le parole più adatte per raccontare un genere che fin dalla sua nascita ha consegnato alla storia del cinema una serie di capolavori senza tempo. Si tratta della premessa iniziale di Double Indemnity, pietra miliare non solo del cinema noir, ma della settima arte in generale.

Locandina

Il noir: un genere ‘nuovo’

Verso la fine degli anni 30 e l’inizio dei 40, l’America, e in particolare l’ambiente hollywoodiano, stava cercando di innovare il panorama ‘narrativo’ dell’epoca (sia in campo cinematografico che letterario), volta ad abbandonare una poetica buonista e soleggiata, tipica di quegli anni, per avvicinarsi a quelle che verranno banalmente chiamate “Adult Story”. Questa necessità di leggerezza all’interno dell’industria americana – conseguenza della grande depressione del 1929 – stava via via lasciando il posto a storie dalle tematiche più cupe, con pungenti critiche sociali e cariche di quel realismo crudo che tanto farà scuola in tutti gli ambienti artistici statunitensi, losangelini e non solo.

I primi passi vennero mossi da alcuni scrittori americani, che cercarono di raccontare su carta quello che non era possibile portare in sala. È così che autori del calibro di Raymond Chandler, Dashiell Hammett e James M. Cain – per citarne alcuni tra i più noti – attirarono l’attenzione di registi, produttori e sceneggiatori illuminati. Questi cercarono gradualmente, con costante opposizione della censura (lo spietato “Production Code”) di portare su schermo il brivido misogino e diabolico delle trame noir.

Tra queste storie, per la maggior parte tratte da casi reali di cronaca nera, nel 1943, una in particolare attira l’attenzione di un giovane Billy Wilder; si tratta proprio di Double Indemnity, novella dello scrittore James M. Cain. Wilder, allora conosciuto nell’ambiente per aver lavorato come sceneggiatore al fianco di alcuni dei film-maker di maggior successo dell’epoca, come Ernst Lubitsch e Howard Hawks, aveva da poco intrapreso la carriera da regista. Con alle spalle un paio di film senza troppe pretese (“The Major and the Minor” e “Five Graves to Cairo”) il regista tedesco rimase tanto ammaliato da quella sensualità proibita raccontata da Cain, che decise di metterci su le mani per la realizzazione della sua pellicola successiva.

Wilder, dopo una lunga selezione, si trovò davanti alla macchina da scrivere affiancato da nientepopodimeno che Raymond Chandler, lo scrittore di “The Big Sleep” da cui verrà poi tratto l’omonimo film di Hawks, anch’esso capolavoro imprescindibile del cinema noir. Wilder era convinto che “due teste sono meglio di una”, e nonostante i suoi rapporti con il collega non fossero cristallini (il rapporto tra i due e l’alcol verrà poi approfondito dallo stesso Wilder nel suo film successivo “The Lost Weekend”), i due scrissero una sceneggiatura senza eguali, modificando di molto la trama originale del libro e arricchendola di cifre stilistiche assolutamente personali.

Il film

Double Indemnity racconta la storia di un mediocre agente assicurativo di Los Angeles, Walter Neff (Fred MacMurray) che si innamora della moglie di un suo cliente, l’affascinante Phyllis Dietrichson (Barbara Stanwyck). I due si faranno protagonisti dell’omicidio del signor Dietrichson e saranno man mano smascherati dal brillante collega di Walter, Barton Keyes. La storia viene narrata partendo dalla fine, nel momento in cui il protagonista, Walter Neff, gravemente ferito, racconta la sua testimonianza al dittafono del suo ufficio, nell’intento di dichiararsi definitivamente colpevole all’amico Keyes, che avrebbe poi sentito le registrazioni. La struttura narrativa è molto romanzesca, introspezioni e descrizioni la fanno da padroni e le scene riflessive costituiscono il collante necessario tra un’azione e l’altra, ed è qui che Chandler ha campo libero per sfoggiare le sue capacità poetiche nel descrivere l’animo umano.

“Sembra assurdo, Keyes, ma è vero, quindi aiutami. Non riuscivo a sentire i miei stessi passi. Era come il cammino di un uomo morto”.

(Walter)

 

Sono queste le sensazioni di Walter dopo l’omicidio, incarnazione della noia esistenziale borghese, sarcasticamente mediocre. Dopo aver raggiunto il suo obiettivo definitivo è totalmente vuotato ed essenzialmente per questo è un uomo morto. Wilder tornerà spesso a parlare della perdita di una coscienza individuale nell’uomo moderno, schiavo del potere, votato a servire la società ma dedito al vizio e alla corruzione, senza quasi esserne consapevole. L’inconsapevolezza dei personaggi Wilderiani è proprio quello che ce li fa amare. Entriamo in sintonia con Walter, perché in realtà è solamente un poveruomo, incapace di gestire le proprie passioni. Messo alle corde da una donna malefica e sensuale, commetterà azioni che non avrebbe mai creduto di poter commettere prima. L’antieroe disegnato da Wilder e Chandler è lui stesso vittima di un sistema stritolatore e annichilitane.

Il discorso opposto va fatto, invece, per la figura di Phyllis, la femme fatale per eccellenza, sensuale e diabolica, distruttrice e trasgressiva incarna perfettamente l’immaginario della “donna che corrompe” presente in tutti i classici noir. Con Double Indemnity, Wilder intraprende un percorso di esplorazione tematica attorno alla figura della donna manipolatrice che vedrà il suo culmine nell’impotenza esistenziale di Norma Desmond in “Sunset Boulevard”, antitesi, quasi totale, della femme fatale. Phyllies Dietrichson è l’elemento destabilizzante della pellicola, pronta ad aprire conflitti al potere, finisce per essere parte dello stesso ingranaggio borghese di cui Walter è vittima. Memorabile la scena dell’omicidio del marito, in cui Wilder insiste sulla diabolicità della donna, non mettendo volgarmente in scena l’uccisone, ma ritraendo il volto di Phyllis in primo piano, che svela un controllo godurioso a dir poco disumano e destabilizzante. La critica si è spesso divisa nell’analisi di tale personaggio, tra chi sostiene che la signora Dietrichson rappresenti una misoginia tipicamente europea che tanto era cara ai registi di Hollywood, e chi, dall’altra parte, è convinto che, in realtà, la figura della dark lady cerchi di spostare l’immaginario femminile su un piano più alto emancipandola.

Importantissimo anello di congiunzione tra il mondo alienante e proibito in cui Phyllis e Walter si immergono e la realtà è Keyes, il collega rompiscatole di Walter ma, fondamentalmente, suo unico amico. Keyes, in realtà, passa come il solo personaggio positivo della trama. Si muove attorno al cerchio tracciato dalla società e, per questo, riesce a capirne i meccanismi più nascosti. Dotato di una superba intelligenza, Keyes instaura con Walter un rapporto di sincero affetto, come testimonia l’intimità con cui Walter, ogni volta, accende il sigaro a Keyes perché senza fiammiferi. Il gesto, ripetuto come un mantra, sottolinea lo stretto rapporto di amicizia tra i due, nonostante i caratteri opposti. Ed è proprio per questo motivo che Keyes, alla fine del film, sarà l’unico a prendersi cura del collega ferito. Addirittura, nel finale originario, in cui viene messa in scena l’esecuzione di Walter – la scena è stata poi tagliata dallo stesso regista per non avere problemi con la censura – l’unico testimone presente era proprio il brillante amico Keyes. Tutti i personaggi si muovono in un’atmosfera irrespirabile, per l’intera durata del film abbiamo la sensazione che l’ombra di una spada di Damocle incomba sui protagonisti. Come suggerisce la colonna sonora del compositore ungherese Miklós Rózsa, il destino incontrastabile sta per compiere il suo corso.

L’intero racconto è poi magistralmente permeato dall’ironia del regista tedesco. I dialoghi tra i personaggi sono disseminati di doppi sensi più o meno evidenti, per burlarsi della censura e strizzare l’occhio allo spettatore moderno. Double Indemnity vanta, tra le tante cose, anche di uno dei primi after sex della storia del cinema. Nell’appartamento di Walter, subito dopo che i due i due si sono rivelati le proprie passioni in un bacio travolgente, intermezzato da un breve stacco che riprende ancora una volta il signor Neff confessare tutto al dittafono, la cinepresa inquadra lo stesso Walter che fuma una sigaretta seduto sul divano mentre la signora Dietrichson si ripassa il rossetto.

Edward G. Robinson, allora tanto acclamato per aver recitato in parti alla “Little Caesar” (film del grandissimo Menvy LeRoy), nel ruolo di Boss in pellicole di gangster, persuaso da Billy Wilder a vestire i panni del brillante uomo d’ufficio Keyes, dimostra grande versatilità, abbandonando il ruolo da “duro” che tanto aveva caratterizzato la sua immagine fino a quel momento. Robinson ci regala, così, una delle sue più belle interpretazioni di sempre, intraprendendo un percorso all’interno del cinema nero che lo vedrà protagonista di pellicole memorabili. Basti pensare ai capolavori di Fritz Lang “The Woman in the Window” e “Scarlet Street”, usciti poco dopo il film di Wilder. Ma la vera star di Double Indemnity non può che non essere la sensuale Barbara Stanwyck nel ruolo di Phyllis, archetipo della femme fatale nel cinema classico, la vamp hollywoodiana per eccellenza con questo ruolo vedrà decollare la sua carriera negli Studios. Anche se inizialmente malconsiderata dal pubblico più anziano per via della spregiudicatezza dei personaggi da lei interpretati, la grande attrice otterrà più avanti la sua rivincita, venendo consacrata come una delle interpreti più amate del genere.

Grandi personaggi sono ovviamente interpretati da grandissimi attori. Un giovane Fred MacMurray incarna Walter con la sottile ironia che lo aveva fatto amare dal pubblico nelle commedie di serie B in cui aveva recitato fino ad allora. Ogni singolo fotogramma è, inoltre, magistralmente dipinto da John F. Seitz, direttore della fotografia del film. La necessità di raccontare una storia in bianco e nero durante l’avvento del cinema a colori consente al maestro Seitz di osare, portando sullo schermo un chiaro scuro mai visto prima, pervaso da una sottile patina argentea nelle scene di interni più cupe – si dice siano stati cosparsi gli studi con del truciolato di alluminio per dare l’effetto della polvere in movimento nelle scene in casa Dietrichson – e da un’accecante chiarezza dei bianchi negli esterni, volta a puntualizzare la discesa agli inferi dei due protagonisti, sognante e pervasa da una lucentezza tanto sensuale quanto cupa e violenta, in contrasto con il frenetico e continuo scorrere della città. Inoltre, le linee d’ombra disegnate dalle persiane che si riflettono sui personaggi incatenandoli, sarà un altro elemento cardine che Double Indemnity porterà al cinema noir, definendone per sempre l’iconografia.

Wilder, inoltre, puntella il film di numerosi dettagli geniali, quali gli stessi costumi dei personaggi. La Stanwyck è stata costretta a trascorrere intere ore di shopping insieme al regista tedesco proprio per la scelta accurata di vestiti e accessori: gli occhiali, il rossetto, il maglione di angora, la parrucca bionda palesemente finta come l’anima della femme fatale, la cavigliera e le scarpe coi pompon. È ormai iconica la scena in cui Walter, appena entrato in casa Deitrichson, incontra per la prima volta la moglie del suo cliente il cui amore gli costerà caro. Inquadrata dal basso, con addosso solo un leggero asciugamano, risponde al giovane agente con fare altezzoso, ed è subito amore, Walter si trova immediatamente ai piedi di una donna spregiudicata, padrona di una sessualità proibita troppo attraente per non trarre in inganno, come consigliano i passi gelidi di Phyllis giù per i gradini della scala di casa, la dark lady è pronta a scendere in campo con tutte le sue armi e fare strage. Tutto il contrario della presentazione della signora Desmond in “Sunset Boulevard”. Seppur inquadrata dal basso, l’ormai decadente attrice, risulta piccola e insignificante rispetto all’inquadratura. Infatti, l’immagine squallidamente barocca di tutto l’universo della donna, non fa altro che generare compassione e, più avanti, suscitare addirittura disgusto nel protagonista.

Double Indemnity, con l’uscita nelle sale nel 1944, fece uno straordinario successo al botteghino acquisendo molti consensi anche da parte della critica, che rivalutò il genere, inizialmente considerato di serie B per l’eccessiva sfacciataggine delle cosiddette “hardboiled fiction”, e apprezzò particolarmente l’eleganza del non mostrare e lasciare immaginare allo spettatore sia le dinamiche del delitto che le scene di sesso. Wilder, in realtà, anche se da un lato tentò di mettere in pratica la lezione dell’orrore-terrore Hitchcockiano, basato sul vedo-non vedo, dall’altro si trovò a tagliare numerose sequenze e inquadrature per via del Production Code. Ma forse è proprio questo l’elemento che dà forza alla pellicola. In opposizione a una compostezza puritana e perbenista tipicamente statunitense, è evidente il tentativo di bucare lo schermo e arrivare allo spettatore con uno stile aggressivo e sfacciato che a tratti ricorda quello dell’espressionismo tedesco che Wilder conosceva bene. L’utilizzo del flashback, la stilizzazione teatrale degli spazi, i primi piani in chiaro scuro, il progressivo procedere dei personaggi in un’atmosfera più o meno cupa, immersi nel buio o accecati dalla luce bruciante, ricordano palesemente le atmosfere anni Venti degli avanguardisti europei quali Fritz Lang, Robert Wiene, Friederich W. Murnau e tanti altri. Nonostante ciò, gli evidenti rimandi espressionisti sono perfettamente bilanciati con movimenti di macchina fluidi e controllati, tipici della golden age hollywoodiana, un uso della suspence hitchcockiana minuziosamente calibrato e una narrazione dettagliata e ricca di riflessioni personali e analisi sociali che strizza l’occhio alle nuove correnti letterarie americane. Possiamo dunque dire che con Billy Wilder il cinema noir diventa definitivamente il degno erede dell’espressionismo tedesco.

Double Indemnity è un capolavoro assoluto della storia del cinema, pietra miliare della cultura del Novecento, è un film imprescindibile, si piazza esattamente nel mezzo dello sviluppo del genere contribuendo alla consacrazione del cinema noir. E come l’assassino wilderiano entra nelle case degli americani nei panni dell’uomo comune, così i grandi registi andranno via via avvicinandosi sempre più alle vite dei loro stessi spettatori, con la magia che solo la celluloide sa regalare.

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