Eo, di Jerzy Skolimowski (2022)

di Andrea Lilli –

Eo non vincerà l’Oscar come miglior film straniero (ovvero non USA), nella cinquina dei candidati è il meno favorito, ma è sicuramente il miglior film straniante. L’occhio calmo del giovane asino in fuga dagli squallori umani, interpretato dall’occhio inquieto del vecchio Skolimowski, spiazza lo spettatore come un piatto esotico, agrodolce, mai assaggiato prima. Un film anomalo che può piacere o non piacere, certo è che non lascia indifferenti.

Il pubblico, indotto da trailer, manifesti e recensioni ingannevoli, si predispone alla visione di un’opera piena d’amore per i poveri animali domestici maltrattati dall’egoismo della specie umana: l’ennesima benemerita denuncia della prepotenza dell’Homo Sapiens, despota e rovina del nostro pianeta. In realtà non è questo, non è solo questo, ciò che vediamo riflesso nel grande occhio di Eo, specchio indagato, interrogato nel film a lungo, continuamente, spesso in primissimo piano. Per fortuna c’è anche altro, ed è qualcosa di nuovo, inatteso da un veterano dei cineasti europei, e controcorrente rispetto al mainstream animalista, e perciò straniante.

Perché in questo film, che è una buona rappresentazione non documentaria né romanzata dei rapporti tra Uomo e resto del mondo animale, le distanze tra Buoni (i disabili e le assistenti in onoterapia, il veterinario) e Cattivi (gli allevatori, il carrettiere) non sono scontate, possono diminuire; i confini tra le due classiche categorie ridursi in sfumature così sottili che talvolta non si distingue la differenza, negli effetti del malessere indotto nell’animale, tra una bastonata e una carezza.

Prendiamo la ragazza Kasandra (Sandra Drzymalska), dolce, deliziosa: è un bene oppure un male per l’asino, a conti fatti? Tutte quelle attenzioni, coccole, baci, tenerezze che sarebbero il massimo desiderabile per un partner umano, semplificano la vita di un asino o gliela complicano, confondendogli le idee, disorientando l’istinto naturale, che lo porterebbe a frequentare i suoi simili? Sognando e inseguendo Kasandra, Eo si mette nei guai, lascia l’unico luogo della sua odissea – il centro di onoterapia – in cui avrebbe potuto vivere decentemente una vita addomesticata da asino con altri asini. In natura, l’asino soffre l’isolamento forzato dai suoi simili.

I fan animalisti, che liberano Eo dal circo per farlo imprigionare altrove da allevatori sconosciuti, probabilmente più crudeli dei circensi; il passante che inneggiando all’anarchia lo svincola per coinvolgerlo in una rissa tra tifosi di calcio, sono angeli custodi o complici del carnefice di turno? In fondo, la morale del film che emerge – forse non del tutto prevista dallo stesso regista – è questa: Eo, come ogni animale domestico sottratto per definizione alla vita selvatica, è destinato ad essere schiavo. Nato per questo, altro che born to be wild. Una risorsa, uno strumento; un corpo creato, modificato geneticamente, selezionato e manipolato dall’uomo per un proprio preciso interesse. Risorsa affettiva (Kasandra), risorsa etica (militanti animalisti), risorsa economica (carrettieri, allevatori, macellai, salumieri), comunque un corpo sfruttato di cui nessun tipo di padrone rispetta l’originale natura animale. Bestia da soma o da coccole che sia, è un corpo docile, paziente, domato, addestrato (ma a tutto c’è un limite: qualche distratto se ne accorge, troppo tardi).

Eo è la storia del viaggio di un asino alla scoperta del mondo, quello umano o “civile” mentre sta tra i recinti, quello naturale mentre fugge. Il mondo naturale incontaminato occupa la parte minore del film, come in questo pianeta nell’era dell’Antropocene. Lo vediamo eseguire il suo numero da circo, portare i rottami alla discarica, servire i viziati cugini purosangue (anche loro prigionieri) al centro ippico, rallegrare i disabili in quello terapeutico, tirare il carretto nell’allevamento di furetti da pelliccia, assistere a (e condizionare) una partita di calcio, frequentare pub, cliniche, vetrine e ville signorili, percorrere migliaia di chilometri in carro bestiame. Le sequenze più suggestive sono quelle on the road: i boschi notturni popolati di esseri sconosciuti, i corsi d’acqua, le alture, le albe, le gallerie, sentieri e strade lastricate, il tutto – è la scommessa della sceneggiatura – ripreso dal punto di vista dell’animale. Siamo a fianco di Eo, siamo Eo mentre ascoltiamo il suo respiro, la sua stanchezza, il rumore dell’erba mangiata, scostata, calpestata, gli zoccoli sui sassi. È questo lo straniamento, il cambio di prospettiva: nei film con animali protagonisti sono loro di solito ad immedesimarsi negli umani, ad adeguarsi al linguaggio e alle attese degli spettatori, qui la maschera proposta è inversa.

La dimensione animale del nostro corpo e del mondo intorno a noi, l’animalità che l’Uomo sta smarrendo sempre più rapidamente sotto la dittatura di una Mente staccata e distante dalla fisicità, dalle cose concrete, proprio tangibili, è ben rappresentata in Eo. E non importa se sia verosimile che un asino rimembri o meno le dolcezze di una volubile Kasandra, che inseguendo il desiderio di lei fugga così spesso, se queste siano invece nostre proiezioni: l’importante è mostrare il contrasto stridente tra Uomo e Animale. In tal senso efficaci e suggestivi sono i commenti sonori, gli effetti speciali distorsivi, le apparizioni oniriche, gli inserti visionari, insomma la poesia di Skolimowski, insieme alla sapiente fotografia di Michał Englert, collaboratore fisso di Małgorzata Szumowska, cineasti tra i più interessanti della cinematografia polacca.

In omaggio alla coproduzione italiana, il viaggio di Eo (l’attore principale è un somaro di varietà sarda) raggiunge oltralpe la villa e i problemi di una contessa nevrotica (Isabelle Huppert) e del suo figliastro (Lorenzo Zurzolo), completando il quadro di un’umanità in decadenza ovunque, tra i mandriani polacchi come tra gli aristocratici nostrani.

Jerzy Skolimowski conferma invece notevole vitalità offrendo una storia narrata con uno stile tuttora sperimentale – qualche cedimento di troppo a un estetismo lezioso nell’abuso del ralenti e dell’inversione di movimento, e nella venerazione dei mantelli equini al galoppo, tuttavia trascurabile, compensato da momenti divertenti come la partita di calcio, la cerimonia d’inaugurazione. Ogni paragone artistico col progenitore di Eo, Au hasard Balthazar di Robert Bresson, è fuori luogo, trattandosi di due film molto diversi tra loro, nello stile e nel contenuto. Tanto ideologico quello, quanto fisico questo. Il Cristo-Balthazar, (e)statico e marginale, ha poco in comune col Cristo-Eo, sempre in fuga, talvolta ribelle, a parte il fatto di essere entrambi osservatori e vittime dell’umano egoismo.

La rassicurazione consueta: “Gli animali di scena non hanno subito maltrattamenti e hanno lavorato nel pieno rispetto delle norme vigenti sul benessere animale e sono stati addestrati e condotti da professionisti”, discutibile più che mai. Dopo aver visto il film, ci si chiede (sono gli occhi di Eo nel film a chiederci): ma se le norme vigenti sul benessere animale contemplano gabbie, corde, recinti, cibo, ritmi non naturali, ‘far lavorare gli animali’ nel pieno rispetto di quelle norme, e non nel rispetto della natura e della dimensione animale, che tra l’altro non include il lavoro, non è ancora manipolazione, sfruttamento, schiavitù?


  • Premio della Giuria al 75° Festival di Cannes 2022 (ex-aequo con Le otto montagne ).
  • Premio EFA per la migliore colonna sonora.

Io è il titolo originale polacco, Eo quello anglofono da esportazione: senza la g di Ego, ma anch’esso variante del pronome personale. Onomatopea del raglio: iih-oooh. Suono animale tra i più stupefacenti: potente, esplosivo, udibile a grande distanza, dirompente come un tuono. Di volta in volta richiamo, sfogo, minaccia, saluto, lamento, monito, sberleffo, allarme, marcatura di territorio, dichiarazione urbi et orbi di esistenza in vita, oppure tutto questo insieme.

Pubblicità

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.

Blog su WordPress.com.

Su ↑

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: