di Girolamo Di Noto

Nella filmografia di David Cronenberg, Shivers (Il demone sotto la pelle) rappresenta il film che ha fatto conoscere al mondo il regista canadese, un horror che si fonda saldamente su una delle principali ossessioni del cineasta: la contaminazione, il contagio, il pericolo che proviene dal corpo dell’individuo. “Per me all’inizio c’è il corpo. È ciò che siamo, ciò che abbiamo. Siamo tutti come degli attori che si agitano sulla scena della vita e la prima cosa che abbiamo sono i nostri corpi fisici, la nostra esistenza fisica. Nei miei film il corpo è sempre al centro. Non me ne allontano mai”.

Nonostante nel corso degli anni la sua poetica si sia evoluta, tuttavia è sempre rimasta fedele a sé stessa, sempre pronta ad indagare il contagio come paura sociale, la mutazione della carne, il sesso quale inquietudine individuale e collettiva.
In un lussuoso e avveniristico complesso residenziale gli inquilini cominciano a dare segni di violenza improvvisa e di appetiti sessuali irrefrenabili: colpa di un parassita che si insinua nei corpi provocando un’insaziabile voglia di sesso. A farne le spese, tra gli altri, sono il businessman Nicholas Tudor (Kolman), la lesbica solitaria Betts (Steele), il dottor Roger St. Luc (Hampton) e l’infermiera Forsythe (Lowry). Il risultato è una folle orgia, dove ogni corpo viene esaltato in tutta la sua squallida sensualità.

Girato in 15 giorni e con un ridotto budget, Il demone sotto la pelle offre già la dimostrazione del talento di Cronenberg, capace di piegare qualsiasi genere al suo universo concettuale, alle sue riflessioni pessimistiche sull’uomo. Il film parte come una farsa grottesca sulla borghesia perbene, che si rifugia in un avveniristico complesso residenziale, le Starlines Towers, definite L’Arca di Noè, per poi diventare perturbante quando in questo paradiso penetra qualcosa che si sottrae al controllo.

È un’operazione, quella di Cronenberg, che, se vogliamo possiamo paragonare alla stessa fatta dallo scrittore inglese J.G.Ballard, il quale sempre nel 1975 metterà mano ad un libro distopico, Condominium, un dramma ambientato in un grande complesso condominiale metropolitano. Se nel libro di Ballard sarà la mancanza di elettricità a dare il pretesto immediato a chi vi risiede di dare libero sfogo a impulsi repressi e violenze di ogni genere, esplodendo in atteggiamenti irrazionali, nel film di Cronenberg sarà l’omicidio di un’adolescente da parte di un uomo, che dopo averla disseminata si toglie la vita, a turbare l’angolo del paradiso, a mettere in crisi l’idea che ci possa essere “un’esistenza a misura d’uomo”, un posto che possa consolare “dalle contaminazioni e dai pericoli della città “.

L’Arca di Noè viene pubblicizzata da una voce narrante come un luogo privo di aggressioni, fornito di tutti i comfort, progettato per far sì che non manchi nulla, priva di inquinamento, delitti, immoralità, ma non appena dalla panoramica esterna che inquadra gli enormi palazzoni del complesso, simbolo della modernità e del progresso, perfetto modello di tutto ciò che la tecnologia possa aver realizzato, si passa all’interno di un appartamento, la propaganda rosea da Mulino Bianco lascia spazio ad una scena raccapricciante che vede uno dei residenti, il medico e scienziato Emil Hobbes lottare, spogliare, uccidere una ragazza e poi togliersi la vita.
Cosa era accaduto?

Il dottore, apparentemente per salvare vite umane, aveva prodotto una forma di parassita che poteva assumere la funzione di alcuni organi del corpo quando questi non erano più in grado di svolgerla. In realtà, il parassita di Hobbes, non è altro che un germe che si trasmette sessualmente e che, una volta entrato nell’organismo, agisce come afrodisiaco, garantendosi in tal modo la trasmissione ad altri corpi.

Avendo impiantato il parassita in una giovane donna sessualmente attiva, Hobbes si rende conto del pericolo incombente troppo tardi. Malgrado il dottore uccida la ragazza e poi si tolga la vita per fermarlo, il parassita si installa nel corpo di Andrew Tudor, uno degli amanti della ragazza residenti nello Stairliner. Un parassita di forma fallica che da quel momento si insinuerà ovunque trasformando pacati e civili borghesi in veri e propri zombie assetati di sesso, bestie che si aggirano tra i corridoi del complesso tentando di accoppiarsi con chiunque, animando le torri di uomini e donne invasati, prede di una libidine irrefrenabile.

Partendo da una teoria esposta tra gli appunti del dottore in cui si legge che “l’uoml è un animale che pensa troppo e ha preso distacco dal suo corpo indebolendo” , Cronenberg, con uno stile estremo e visionario, riflette sull’inquietudine del corpo, dalla forma sempre instabile, ultimo appiglio di un’identità indeterminata.

Racconta, attraverso una messa in scena ripugnante, l’uomo moderno, le sue paure più profonde, il sesso, la violenza, la messa a nudo di questi concetti che, come dice Bataille, “è l’equivalente simbolico di una messa a morte”. Eros e Thanatos camminano insieme in questo percorso raccapricciante, in cui la contaminazione non lascia scampo a nessuno. L’alleanza tra amore e morte appare in tutta la sua evidenza, perché la continua esibizione della sessualità non offre sesso, ma ribadisce a ogni insorgere del desiderio l’ineluttabilitá della sua sconfitta.

Dalle riflessioni sulle idiosincrasie dei borghesi, Cronenberg passa alla perversione più bieca e questo passaggio avviene gradatamente: l’epidemia ha modo di propagarsi con tutto il tempo necessario e quando ciò avviene nel suo culmine, lo squallore non si ha più modo di fermarlo.
Diverse scene che inquadrano il verme fallico sono entrate ormai nell’immaginario collettivo: da quello vomitato da uno dei primi contagiati sull’ombrellino di un’anziana che passeggia a quello che stupra l’iconica Barbara Steele nella vasca da bagno fino a quello inserito nello stomaco di Tudor, scena che, nel mostrare la mutazione della carne, sembra quasi un dialogo paradossale tra l’uomo e il parassita.

Il corpo spogliato mostra tutta la sua oscenità: la malattia che si diffonde conduce tutti gli individui sullo stesso piano, emanando un’energia sessuale che però non celebra la seduzione erotica del corpo ma la sua castrazione. Al di là degli innegabili rimandi a Romero e al suo La notte dei morti viventi soprattutto per le scene di massa, colpisce la sequenza di due bambini ripresi a quattro zampe tirati per un collare, frammento di pellicola che non può non essere associato ad un altro sconvolgente lavoro del 1975, Salò di Pasolini, che in una agghiacciante parabola di morte, ha raccontato il sesso come sopraffazione e consunzione meccanica e i corpi degradati a oggetti da distruggere e annullare.

Alienato alla ricerca di un luogo incontaminato per ritrovare sé stesso, l’uomo di Cronenberg passa per la contaminazione per poi riprendere la sua vita normale. Come se nulla fosse successo. L’orrore, sembra voler dire Cronenberg, non è più fuori, ma dentro ognuno di noi, si insinua come un ospite inquietante, nascondendo l’indicibile dietro la facciata del perbenismo.
Cinema di gran classe, provocatorio, colto e soprattutto essenziale per cercare di comprendere la complessità del mondo contemporaneo.
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