di Girolamo Di Noto

Tra i registi meno conosciuti o comunque poco considerati, Jacques Demi occupa certamente un posto di primo piano. Eppure il suo cinema trasognato, la leggerezza del suo sguardo, la bellezza delle sue immagini, ancora oggi ci meravigliano e sanno restituire emozioni in grado di far sorridere e immalinconire.
Nel cinema di Demy sono incanto e disincanto a dettar legge, a dare i tempi, i ritmi: nel bellissimo e commovente musical Les parapluies de Cherbourg, illusione e disillusione camminano a braccetto, l’amore è prima scoperto, poi ritrovato e infine perduto, colto nella sua innocenza e nella sua inevitabile caduta.

La storia del meccanico Guy Foucher (Nino Castelnuovo) che parte per il servizio militare in Algeria mentre la fidanzata diciassettenne Geneviève Emery (la giovanissima Catherine Deneuve, al suo primo ruolo importante) resta sola e incinta, racconta di un amore che la distanza e il tempo non possono che affievolire, mette in luce un amaro disincanto, sostenendo con forza la necessità dei sentimenti e del calore umano, che il corso degli eventi ostacola senza rimedio. Già nel suo primo film, Lola, donna di vita, attraverso le parole della cassiera del bar, Demy lascia intravedere il suo tono malinconico: “Si cerca di vivere nel miglior modo possibile. Ma non è facile”.

La storia di Guy e Geneviève è la storia di un sogno che svanisce per ragioni indipendenti dalla volontà di ciascuno: i due si amano, vivono un amore palpitante, si fanno promesse di amarsi per tutta la vita, ma la guerra incombe, la realtà è spietata e non perdona e non si materializza solo con la chiamata alle armi di Guy, ma anche in due personaggi che rovinano il sogno e lo caricano di nostalgia e rimpianti, ovvero la madre di lei (Anne Vernon), proprietaria di un negozio di ombrelli e il ricco commerciante di gioielli Roland Cassard (Marc Michel).

Le pressioni della madre in cerca di una soluzione alla disperata situazione economica che si è venuta a creare perché “di ombrelli se ne vendon pochi”, le lettere d’amore che tardano ad arrivare, la benevolenza di un altro uomo che accetta la gravidanza di lei pur di sposarla, porteranno i due amanti a separarsi, a vivere vite diverse dalle loro intenzioni. Fino a quando una sera si ritroveranno casualmente sotto la neve, in un distributore di benzina…

Candidato all’Oscar come miglior film straniero, poi vinto da Fellini con 8½ , Les parapluies de Cherbourg è uno dei musical più struggenti di sempre, sovraccarico di una nostalgia che è presente in qualsiasi fotogramma, dal treno che parte alla pioggia che cade, agli occhi della Deneuve, virginei e delicati.

Cantato da cima a fondo ma non ballato, il film racchiude in sé il principio che solo l’arte, “l’artificio” rende accettabile il lavoro devastante della Storia. Non c’è violenza, non c’è malvagità nel mondo filmico di Demy: il regista ci regala un’ipotesi di vita migliore della vita stessa, un cinema capace di dimenticare – ma non per sempre – il Reale, forte solo della sua sfrenata forza di affrancare il sogno che è in noi.
A Cherbourg tutti cantano, persino il benzinaio quando chiede “Vuole il pieno di normale o super”, gli ombrelli richiamano quelli di Cantando sotto la pioggia, i cromatismi sono irreali, magici, fiabeschi: i muri dei vicoli sono ridipinti, quelli degli interni rivestiti da carta da parati e i personaggi trasmettono il loro stato d’animo attraverso la musica di Legrand, testimonianze di quello che poteva essere la loro vita ma non lo è stata.

La vita per Demy è una progressiva sottrazione e i protagonisti, all’interno di questa atmosfera favoleggiante e pastellosa, vivono sulla loro pelle qualcosa che sfugge, un appetito emotivo che si accresce nella separazione.
Eros è figlio di Penia, la Povertà, viene sottolineato nel Simposio di Platone. L’oggetto del desiderio, in questo film, è tanto più bramato perché assente e vive il suo destino di precarietà ancora di più se pensiamo al fatto che è ambientato, “è sentito” in una città portuale, città di transito, di incontri, di incroci casuali.

Suddiviso in tre parti, La partenza, L’assenza, Il ritorno, il film, visivamente affascinante, è un incessante vortice di sensazioni, ultimi amori, istantanee fugaci di notti rubate al destino: Demy è abile nel riuscire a catturare un tempo sospeso, la casualità delle esistenze, le gocce di pioggia battente su una selva di ombrelli aperti. È straordinario nel descrivere l’infelicità del matrimonio tra Geneviève e Roland attraverso piccoli dettagli come nella scena dello scambio degli anelli, in cui fa tutto il marito, mostrando la passività forzata della donna. Così come è delicato quanto basta per descrivere l’amplesso non mostrato tra la ragazza e Guy: attraverso il montaggio il regista mostra vicoli vuoti, stanze solitarie che non sono altro che il preludio dell’imminente assenza che verrà.

Un mondo di bellezza e armonia lascerà il posto ad un mondo crudele e questo susseguirsi di sogni e illusioni, questo amore tormentato tra due giovani che si ritrovano anni dopo quando non hanno più niente in comune, sarà fonte di ispirazione per un altro musical di successo, il più recente La La Land di Chazelle, non solo per gli abiti di Stone che rimandano a quelli della Deneuve, ma anche per il destino dei due protagonisti: se è vero che a dividere Guy e Geneviève saranno una guerra e una differenza di classe che alla lunga si farà notare, mentre in Mia e Sebastian saranno il bisogno di successo e la realizzazione individuale, comune sarà invece il fallimento dei sentimenti, il ritrovarsi dopo tanto tempo nella condizione di non poter più cambiare il proprio destino.

Les parapluies de Cherbourg è un gioiello visivo che non stanca mai gli occhi e trova la sua forza soprattutto nell’interpretazione dei suoi protagonisti: se Castelnuovo è una presenza magnetica, straordinaria è la Deneuve, oggi splendida ottantenne, che ha raggiunto la fama internazionale iniziando proprio da questo ruolo: la sua Geneviève è di una bellezza eterea, non è ancora frigida come sarà in Repulsion di Polanski, né ambigua e sensuale come la rappresenterà Buñuel, ma ha un fascino senza tempo, un’icona dalla grazia disarmante che porta con sé rimpianti e armonia perduta.
Les parapluies de Cherbourg resta un film di grande effetto e – come tutti i grandi musical – è coreografia dei sentimenti, spettacolo di emozioni, messa in scena delle passioni, opera di un grande maestro, protagonista indiscusso della settima arte.

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