La piccola bottega degli orrori, di Roger Corman (Usa/1960)

di Girolamo Di Noto


In un mondo come quello hollywoodiano, dominato da studios e majors, Corman ha rappresentato la figura del cineasta indipendente, del re del B-movie, un artista capace di creare opere notevoli con pochissimi mezzi.

Sia nelle vesti di produttore che in quelle del regista, Corman ha saputo mettere in atto un cinema pratico, essenziale, artigianale, in cui è riuscito a coniugare gli esigui budget a disposizione con i princìpi di qualità, reinventando il cinema di genere, dall’horror alla fantascienza, dal gangster movie allo splatter con grande intuitività creativa, diventando con il tempo, un regista ” fuorilegge “, un artista non compromesso, capace di realizzare i suoi film al di fuori del sistema, come un vero outsider.


Uno dei film più rappresentativi di Corman è La piccola bottega degli orrori, girato per scommessa in due giorni e una notte, con un budget risicato di 35000 dollari, in cui spicca un’inedita contaminazione tra noir, commedia e horror, non tralasciando il surreale e il grottesco.


Un eccentrico fiorista, Seymour Krelbain (Jonathan Haze) che lavora come apprendista dal fioraio Gravis Mushnik (Mel Welles), proprietario di un negozietto sull’orlo del fallimento in un quartiere povero di New York, alleva una pianta carnivora, creata incrociando alcuni semi trovati per caso, e si trova costretto ad uccidere per provvedere al suo nutrimento.

Prima degli indimenticabili film tratti dai racconti di Edgar Allan Poe, prima di realizzare I vivi e i morti e Il pozzo e il pendolo con Vincent Price, Corman ebbe modo di farsi conoscere con questa godibilissima black comedy, diventata col tempo un piccolo cult, capace di creare dal nulla personaggi che resteranno impressi nella memoria, dal carattere ben definito.

A partire da Seymour, timido ed imbranato, oppresso da una madre ipocondriaca, che offre medicinali al posto dell’aperitivo e del cibo: sull’orlo del licenziamento a causa della sua goffaggine, prometterà al signor Mushnik che farà la fortuna del negozio prendendosi cura di una particolare pianta che poi si rivelerà alquanto originale; chiamerà la pianta sanguinario Audrey Junior, come la sua ragazza, dovrà provvedere a soddisfare la sua voracità, sempre più incontenibile, come le sue dimensioni.


Al di là del protagonista, che è già matto di suo, è soprattutto la clientela di Mushnik a contribuire al senso dell’assurdo e dell’atmosfera surreale che pervade il film: c’è l’avventore florofago che adora fare uno spuntino con i garofani, in attesa della cena a base di gardenie fritte, c’è l’anziana signora funestata ogni giorno da un lutto che cerca di risparmiare sull’acquisto dei fiori, c’è il dentista sadico che gode nel curare i propri pazienti senza anestesia, per non parlare del proprietario stesso Mushnik, con il forte accento, le papere tipiche dell’immigrato.


Una sequenza che contribuì molto a fare di questo film un cult-movie fu quella che conteneva un tocco di umorismo nero, dovuto ad un attore quasi esordiente, appena ventitreenne e già ghignante, Jack Nicholson, che nel film è Wilson, il cliente masochista, “vittima” di Seymour improvvisato dentista. Un masochismo che lo porta a rifiutare l’anestesia perché “intorpidisce i sensi”, che gli fa esclamare che è divertente andare dal dentista perché” il trapano che ti entra dentro, ti dà una sensazione come di crescita, di avanzamento”. I doppi sensi si sprecano e continuano quando, mentre Seymour trapana, Wilbur grida di piacere: “Oh, mio Dio, non smetta!”.


Girato per gran parte in interni, il film trova poi nella pianta carnivora uno dei mostri indimenticabili del cinema fantastico: non solo parla e mormora “Ciiibo, ciiibo”, oppure “Nutriimi”, “Ho faaame”, ma arriva a controllare la mente degli uomini, dimostrandosi insaziabile, arrogante e ricattatrice.

La piccola bottega degli orrori è un film divertente e raccapricciante allo stesso modo, da riscoprire, proprio di un regista geniale e versatile, punto di riferimento di una generazione di cineasti che ha scoperto e visto crescere come Scorsese, Coppola, Bogdanovich, Demme, Dante, capace di regalare emozioni allo spettatore con uno stile coinvolgente, senza fronzoli, da abile artigiano – come il nostro Mario Bava – che ha esercitato il proprio mestiere nel migliore dei modi.

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