La parabola di vita e morte di Ugo Piazza dura una settimana, il tempo biblico per la Creazione, un tempo insufficiente perché un uomo (non) provi a redimersi e morire.
Milano calibro 9, di Fernando Di Leo (1972), è uno di quei film che ha trovato nuova luce nel tempo grazie all’apprezzamento di registi come Tarantino e Rodriguez, folgorati da una fotografia fatta di colori saturi e violenti e di una recitazione forte, impattante da parte degli attori che dà decisa caratterizzazione a tutti i personaggi. Un film costato il giusto e montato in modo perfetto, che mette in evidenza la bravura nel mestiere del cinema di tanti nostri registi, relegati in una situazione di minorità della definizione ‘B-movies’, attribuita ai loro lavori.
La storia è imperniata sull’omonima raccolta di racconti di Scerbanenco, specificamente sul racconto “Stazione Centrale: ammazzare subito”, che Fernando Di Leo ha fatto proprio, scrivendo la sceneggiatura del suo film e firmando un film che può essere definito il capolavoro del poliziottesco/noir di genere italiano. E l’amore del regista per il noir si capisce già dal personaggio interpretato da Gastone Moschin, Ugo Piazza, appunto, un criminale freddo, resiliente, impenetrabile, pronto a tutto per raggiungere il suo scopo e con una unica fatale debolezza.
Lo sguardo che non tradisce emozioni di Piazza fa il paio con quello sulla città di Milano, presentata come una metropoli nebbiosa e brulicante di una vita che striscia e si insinua nella vita inconsapevole dei suoi cittadini e in un sottobosco di malavita e delinquenza che prende corpo in night club fumosi e ville malfamate, in cui si incontrano tradizione criminale e nuove istanze di connivenza con insospettabili politici e professionisti corrotti.
Tutti i personaggi, come già detto, sono tratteggiati in modo da restare scolpiti nella memoria, pieni di una crudeltà assoluta e ripugnante.
E un’altra cosa che colpisce è la totale assenza di figure positive. Tutti nella storia hanno qualcosa di marcio, tutti cercano di fregare tutti. Non esistono eroi né antieroi. Tutti sono indistintamente malvagi. Oltre al malavitoso con le caratteristiche da nuovo boss Piazza (G. Moschin), troviamo la bella Nellie (B. Bouchet), dea bionda dagli occhi e dal cuore di ghiaccio, impegnata in un balletto tanto memorabile da essere riproposto fedelmente da Rodriguez nel suo Grindhouse da Rose Mc Gowan; e poi il duo di commissari (V. Wolff e Pistilli) cui è affidato il compito di rappresentare la vecchia e la nuova polizia. Il dialogo tra i due sui temi caldi della politica interna italiana, se da un lato risultano non funzionali allo svolgimento dell’azione, dall’altra rimandano dolorosamente a tematiche di stretta attualità nella politica italiana odierna. E con paradossale ironia è proprio alle parole del gregario siciliano violento e senza scrupoli, esecutore materiale di tante azioni criminali Rocco Musco (Mario Adorf, con doppiaggio di S.Satta Flores) che è affidato un messaggio di credibilissima ‘morale’ e lealtà ( “Tu di fronte ad uno come ugo piazza il cappello ti devi levare!”).
Meravigliosa la colonna sonora ideata da Luis Bacalov e interpretata dagli Osanna, storico gruppo progressive italiano a fare da contrappunto e a sottolineare un particolare momento dell’azione filmica.
Un film da vedere, con i primi 10 minuti indimenticabili.
Roberta Lamonica
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