Il bambino è il maestro / Le maître est l’enfant, di Alexandre Mourot (Francia, 2017)

  • di Andrea Lilli
La mente non vuole essere riempita come un vaso, ma, come legna da ardere,
ha bisogno solo di una scintilla che l’accenda. 
(Plutarco, L’arte di ascoltare)

Maria Tecla Artemisia Montessori nasce nel 1870 a Chiaravalle, presso Ancona. E’ una delle prime donne italiane a laurearsi in medicina, nel 1896, specializzandosi in neuropsichiatria alla Sapienza di Roma. Si laurea poi anche in filosofia. Nel 1907 apre a Roma, nel quartiere San Lorenzo, la prima Casa dei bambini, asilo popolare gestito secondo un originale Metodo della pedagogia scientifica, descritto nel testo omonimo che pubblica nel 1909. Il suo pensiero pedagogico-didattico si diffonderà in tutto il mondo, fino a raggiungere nell’anno di grazia 2014 l’interesse di Alexandre Mourot.

bimba filo

Alexandre è un giovane padre francese alla ricerca del miglior modo di educare la  prima figlia. Osserva ogni giorno con attenzione la piccola: è affascinato da quel modo di scoprire da sola il mondo che la circonda e le strategie nell’affrontarlo. Lo vediamo inquadrarla con la videocamera mentre impara ad arrampicarsi sulle scale, a trascinare la pattumiera, a spostare vasi. Quattro anni, e arriva il momento di iscriverla all’asilo. Chiedendosi a quali mani affidarla, papà Alexandre scopre il metodo Montessori, basato sul principio della minima interferenza autoritaria dell’adulto nei processi di apprendimento del bambino, proprio come farebbe lui. Sembra la strada giusta, ma Alexandre Mourot vuol essere sicuro della scelta. Chiede e ottiene dalla più vecchia scuola Montessori francese, quella di Roubaix, il permesso di filmare con discrezione una classe di 28 bambini dai 3 ai 6 anni nel corso di un intero anno scolastico, impegnandosi a non alterare in alcun modo l’ordinario svolgimento delle attività in aula.

I cento minuti di questo documentario sono il prodotto delle riprese effettuate nel 2015.

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‘Documentario’ a molti potrebbe suonare come una parola spiacevole, che evoca lente sequenze su stagni noiosi con ippopotami a mollo e coccodrilli immobili, grandi sbadigli a catena, pubblico compreso. Invece nella scuola infantile “Jeanne d’Arc” di Roubaix succedono tante cose, in continuazione. Sembra la piazza di un villaggio in miniatura, la fiera artigianale operosa dove Yvonne srotola e riarrotola il suo tappeto sempre meglio, e l’apprendista sarto Géraud impara da solo (se può: altrimenti arriva tempestivo il maestro) ad usare le forbici, per poi magari insegnare il mestiere alla piccola Séraphine. Dopo sarà Agathe a verificare se Géraud sa finalmente leggere le singole lettere dell’alfabeto seguendone il disegno con un dito, pronta a correggerlo se confonde la pronuncia della M con quella della N, mentre altri con le dita fanno i primi conti, e in cucina Jean-Pierre si cimenta nel taglio della mela con l’apposito strumento. Impresa difficile, ma non impossibile per un guerriero tenace quale lui sarà dopo molti tentativi, senza che subito s’avvicini l’adulto a completargli l’opera dicendo impaziente “si fa così”, col rischio di frustrare il bambino, di farlo sentire incapace, inadeguato. Chiamiamolo allora pure ‘direct cinema’, questo flusso senza finzioni di azioni e percorsi simultanei che si incrociano su un palcoscenico sempre affollato, vivace o calmo, però mai nevrotico.

geraud-verser

Ogni giorno in questa classe il maestro Christian Maréchal assegna a ciascun bambino una serie di compiti, che dovranno essere svolti liberamente, secondo i tempi e i modi peculiari del singolo alunno. Canovacci, copioni, se vogliamo: ma nessuno recita. Il compito viene svolto come sarà possibile, magari come un gioco (per un bimbo non c’è nulla di più serio del gioco), con impegno ma senza imposizioni. Nessuno dovrà provare l’ansia di non farcela, né quella di emergere sugli altri.

L’intero arredamento dell’aula è allestito su misura dei piccoli, che non trovano ostacoli nel servirsi degli oggetti proposti e nell’interagire coi compagni di classe. I maestri diventano loro: maestri di sé stessi e degli altri bambini, qualora abbiano bisogno di una mano. L’insegnante adulto deve osservare e favorire i processi di apprendimento calibrando opportunamente i compiti da eseguire e i giochi da svolgere, rispettando le diverse preferenze e velocità individuali, e intervenendo solo in funzione di questo obiettivo.

Charlie et Agathe

E’ soprattutto impossibile veder ‘ripetere a pappagallo’ nozioni imposte dall’alto. Al contrario, ogni bambino scopre le proprie capacità nell’agire liberamente. L’occhio discreto di Mourot non turba le dinamiche della micro-società osservata, ma la voce narrante tradisce l’entusiasmo per la piccola grande realtà in cui il regista si trova: del resto quell’impegno serio e testardo, quella curiosità per il nuovo, quel rispetto per l’altro in difficoltà, quella spontanea e civile convivenza in miniatura sono davvero appassionanti, commoventi, e una magnifica lectio magistralis per gli adulti.

In sala

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