25 APRILE. ORA E SEMPRE ROSSELLINI. ANCHE PRIMA DI ROMA CITTÀ APERTA.

di Lelio Semeraro

25, il numero che ricorda i lettori di manzoniana memoria. Aprile, “il più crudele dei mesi”. Unite, formano la data di tutti gli italiani o forse no. Ogni anno c’è chi si muove per trasformarla, indebolirla, farle perdere di senso. Eppure pare che non si possa vivere senza Resistenza. E non c’è 25 aprile, non c’è resistenza senza il regista Roberto Rossellini. Fin troppo facile elogiarlo per la sua umanità nella trilogia antifascista. Il difficile è inquadrarlo, immaginarlo, e commentarlo per la trilogia fascista, di propaganda fascista. Gli faremmo un grave torto, tuttavia, se dicessimo che avrebbe potuto essere servo di qualunque padrone. Quello che bisogna riconoscergli è invece la sua aura, il suo carattere autoriale. Anche e nonostante i suoi esordi d’artista clericofascista, difensore di “Dio Patria Famiglia”, “Credere obbedire combattere”, “Vinceremo in cielo, in terra e in mare’.

Seguendo la sua trilogia fascista (meno nota di quella antifascista) prima affronta la marina militare con La nave bianca (1941), poi l’aviazione in Un pilota ritorna (1942) e infine la fanteria con L’uomo dalla croce (1943).

lanavebianca
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La nave bianca

Dunque cronologicamente La nave bianca esce prima di Ossessione di Visconti, (1943), prima di 4 passi fra le nuvole di Blasetti (1942) e prima di I bambini ci guardano di De Sica (1943). Esiste dunque un neorealismo di stampo fascista prima dell’avvento del neorealismo nel quale un debuttante Rossellini cerca una sua retorica “antiretorica”, dei suoi eroi “antieroi”, e una sua propaganda personale. Secondo questa prospettiva, ogni film d’autore è un film politico, nel senso che incide sulla realtà con mezzi di espressione autonomi e una propria forma di comunicazione. Rossellini, sfruttando la corrente del tempo, vuole emozionare e lo fa bene essenzialmente attraverso due temi: l’amore e la guerra, senza enfatizzare i miti del fascio.

La catenina con la medaglietta spezzata in due parti della Nave Bianca ha una forte valenza simbolica, (symbolon in greco era proprio una tessera spezzata in due). Proprio grazie a quella medaglietta, il fuochista viene ritrovato e riconosciuto dal suo amore infermiera. In Un pilota ritorna ci mostra quant’è maledetta la guerra (da qualunque parte si stia), attraverso scene crude di bombardamenti e amputazioni, quasi documentaristiche e attraversate da un originale plurilinguismo (con una modernità minimalista e spiazzante). L’amore si dipana attraverso varie forme, vuoi quello più sensuale, vuoi quello verso i genitori, e soprattutto verso la patria e la madre terra. L’uomo dalla croce è l’ultimo film della trilogia, con un cappellano fascista controcorrente e disobbediente (a differenza del prete di Roma città aperta è qui prigioniero dei sovietici). Le dottrine fasciste possono essere messe in secondo piano rispetto “al sottile gioco psicologico delle atmosfere” (per usare le parole precise di Giuseppe De Santis dalla rivista “Cinema”). Nel finale, un abbraccio spirituale tra italiani e russi fusi e confusi, pone un link invisibile a La grande illusione del 1937 di Renoir, e all’ideale universale di tolleranza e di amicizia.

Togliere il primato (per quello che contano poi i primati) a Ossessione di Visconti e sancire l’inizio del neorealismo con La nave bianca è forse uno dei più grandi tributi che possiamo dedicare a Roberto Rossellini; uno con cui bisogna fare i conti lungo tutto l’arco della sua produzione. Anche quella che pare un “neo” del neorealismo. Una corrente imperfetta di per sé, fatta di imperfezioni già come manifesto programmatico, un cinema che era politica e filosofia insieme e che corrompeva di virtù lo sguardo degli italiani che entravano in quelle sale fumose polivalenti di una volta, mostrandogli le altre dimensioni della “nuda vita”.

La nave bianca, non Roma città aperta, il film d’esordio di Roberto Rossellini, fa da spartiacque nel cinema italiano, gettando una luce di modernità col suo verismo e la sua sobrietà stilistica. Prima timida zampata (circondata da gerarchi fascisti) di un regista che sarà più apprezzato all’estero che in patria. Il cinema italiano, tra parentesi, non è mica un cinema di attori. È un cinema innanzitutto di autori, registi e sceneggiatori, e sono loro che trasformano l’arte cinematografica e l’arte tout court. Antonioni ci arriverà successivamente con L’avventura, a tagliare la tela della modernità, personale e universale.

Come Rossellini, il 25 aprile è così: il massimo dell’esperienza individuale se in gioco c’è la guerra, il corpo, e quindi la vita o la morte. Ognuno ha la sua resistenza, in fondo. E anche il massimo della collettività, perché in gioco c’è sempre la guerra e quindi la strategia, la tattica, gli eserciti e il destino comune di sparare ad un tuo fratello prima che lui miri a te. È il frutto di una pagina di Liberazione dopo pagine angoscianti di terrore di Stato, perpetuate da una nazione con un solo partito, e con un uomo solo al comando. Una data di memoria condivisa, ma non solo. Anche di rivendicazione di un’identità. Chi siamo, oggi?

25 aprile 2020, in piena crisi sanitaria, economica e umanitaria, il regista a cui vorrei dedicare questa data non è italiano, bensì scozzese. Si tratta di Ken Loach, (il cui ultimo film è lo straordinario Sorry We Missed You). Puro cinema, a mio avviso (spettatore abituato a vedere in ogni forma di linguaggio una poetica, una politica e una mitopoiesi). Cinema politico per qualche critico, semplicemente perché mette a nudo le contraddizioni e il volto feroce del neoliberismo. Oggi che il pianeta ci dice: “Ehi, miopi avidi sfruttatori e distruttori del pianeta, guardate che la Terra è una, una sola, ha un destino globale, e sta morendo. Non per il Covid, ma per via della specie umana, e non la salveranno gli eroi di Independence Day”.

La salveranno le antieroine e gli antieroi senza tempo alla Rossellini, i partigiani coraggiosi intolleranti delle ingiustizie e dalle mille liberazioni necessarie. Liberarsi sì, ma da cosa? Persino da qualcosa di diverso del virus mutante del tardofascismo (che si dipana anche nelle multisale con i cinepanettoni, o quei scenari apocalittici bisognosi di un leader di presunte razze superiori, i giustizieri della notte vari e le passioni cruente alla Mel Gibson). Ci salveremo un giorno, non solo dalle odierne commedie fatte in casa che parlano all’atavico qualunquismo dell’italiano medio (quello delle frasi fatte: destra e sinistra tutte uguali, il più pulito ci ha la rogna, etc). Ci libereremo dalla plastica, i carboni fossili o l’antropocentrismo, con i rischi che quest’uscita comporta. Una mission impossible. Ci vorranno tante analisi strutturali e anche un’idea di cinema diversa per far cambiare direzione alle grandi corporation. Ora e sempre Rossellini. Ora e sempre Resistenza.


 

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