di Roberta Lamonica

Un grido nella notte (1988) di Fred Schepisi. Con Meryl Streep, vincitrice della Palma d’Oro a Cannes come migliore interprete femminile.
Schepisi è tra i protagonisti, insieme a Peter Weir (Picnic ad Hanging Rock) tra gli altri, del rinnovamento del Cinema australiano, una nouvelle vague che, senza manifesti programmatici, ha dato vita a una vasta e ricca produzione cinematografica.
Un grido nella notte è la storia di un errore giudiziario e del potere manipolatorio dei mass media in un contesto pervaso dall’alone di mistero e magia che aleggia su Ayers Rock, la roccia sacra degli antichi popoli aborigeni australiani.
La vacanza della famiglia di un pastore avventista è sconvolta dalla sparizione della loro neonata dalla tenda nella quale sta dormendo.

I genitori della bambina pensano che si tratti dell’attacco di un dingo, ma l’opinione pubblica inizia a montare delle storie e a distorcere le dichiarazioni che, mosse da ingenuità, o forse parzialmente dettate dalla fascinazione del mezzo televisivo, Lindy e suo marito Michael rilasciano generose e copiose.
Le accuse e la colpa ricadono su Lindy, rea di essere fredda e distaccata nelle sue dichiarazioni e contraddittoria su alcuni particolari della sparizione della piccola Azaria.
Splendida Meryl Streep a indossare una maschera impenetrabile e a tratti ambigua che seduce lo spettatore e al contempo lo lascia nel sospetto di una possibile responsabilità.
Una storia che racconta un’Australia ‘provinciale’, fatta di pettegolezzi, perbenismo e razzismo, una terra in cui gli aborigeni sono esclusi dalla vita comunitaria e relegati al ruolo di marginali comparse.
La storia di una fede asfittica, tanto rigorosa da non concedere nemmeno il tempo del dolore e della sua umana esternazione e rappresentazione.

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