di Marzia Procopio
Nel maggio del 2020 l’Accademia del Cinema Italiano ha assegnato il David di Donatello alla carriera a Franca Valeri, “icona dello spettacolo e della cultura italiana, tra radio e cinema, teatro e tv”, e “alla sua visionaria intelligenza, patrimonio del nostro Paese”. Con la sua creatività, infatti, l’attrice milanese ha rivoluzionato la comicità e l’immagine femminile dal secondo dopoguerra con l’invenzione di personaggi simbolo come la signorina Snob, la sora Cecioni, Cesira la manicure.

Oggi l’attrice milanese, all’anagrafe Franca Maria Norsa, compie cento anni; in questo lungo arco di tempo è stata osservatrice e narratrice di almeno tre Italie: quella fascista, che ha perseguitato suo padre, ebreo; quella del boom economico, raccontata dalla commedia all’italiana; quella dei decenni successivi al boom fino ai giorni nostri, portata in scena soprattutto a teatro fino a pochissimi anni fa.

Dopo una brutta caduta nel 2017, Valeri trascorre i suoi giorni nella sua casa romana, per lo più ascoltando musica: non sorprende, dal momento che ha diretto varie opere liriche. Non guarda la televisione, e così si è protetta dalle notizie sulla pandemia. Durante la quarantena, ha dettato quasi la metà di un nuovo libro dal titolo molto evocativo, La sedia del nonno: pare che durante la vecchiaia si ripensi con maggiore nostalgia alle persone amate scomparse, e lei non fa eccezione. «Starò invecchiando?», ha scherzato in un’intervista rilasciata al magazine IO Donna in occasione del Premio Speciale.

Personaggio unico nel panorama artistico italiano, Valeri ha irriso gli uomini non risparmiando le donne e le idee femminili, quelle a cui è stata educata nella famiglia milanese di estrazione borghese in cui è cresciuta, figlia di Luigi Norsa e di Cecilia Valagotti, e studentessa al rinomato Liceo Parini nell’unica sezione in cui veniva insegnato l’inglese. Giunta alla popolarità nel dopoguerra in radio con il personaggio della Signorina Snob, nel 1949 fondò – con Alberto Bonucci e Vittorio Caprioli, attore e regista con cui è stata sposata dal 1960 al 1974 – il Teatro dei Gobbi, con cui mise in scena a Roma due serie di Carnet de notes, sketch satirici sulla società contemporanea recitati senza l’ausilio di scenografie e costumi. In questi anni cambiò il suo cognome in Valeri su suggerimento dell’amica Silvana Ottieri, in quel momento impegnata nella lettura del poeta Paul Valéry. Attrice nel teatro di prosa (recitò tra gli altri per G. Strehler e M. Missiroli) e dal 1957 anche in televisione, partecipò a varietà, sceneggiati, opere teatrali; l’antologia Tragedie da ridere, pubblicata nel 2003, riunisce la maggior parte delle commedie da lei scritte e interpretate. A partire dal 1972 si è cimentata nella regia di opere liriche e dal 1986 anche di commedie.

Nella sua lunga carriera ha recitato in numerosi film, fra cui con Alberto Sordi ne Il vedovo di Dino Risi (1959), con Gassman, Sordi e Manfredi in Crimen, di Mario Camerini (1960), e per il marito Vittorio Caprioli Parigi o cara, 1962. Di minore rilievo i suoi ruoli in film di De Sica, De Filippo, Comencini, Zampa, Bolognini, e in Rocco e i suoi fratelli di Luchino Visconti.

Molti i personaggi cinematografici da lei interpretati: la coreografa ungherese in Luci del varietà di Alberto Lattuada e Federico Fellini, 1950; la signorina snob in Totò a colori e la regina della ‘posta del cuore’ in Piccola posta, entrambi di Steno; le donne autoritarie di Un eroe dei nostri tempi di Monicelli, Il vedovo, Crimen e Scusi, facciamo l’amore? di Caprioli; anche figure di donne in cerca d’amore ne Il segno di Venere di Dino Risi e nel già citato Parigi, o cara, questi ultimi da lei sceneggiati. Si tratta di personaggi femminili che hanno indicato nuove direzioni: la lavoratrice preparatissima e sempre puntuale, la single impenitente ma spesso disillusa nei suoi sogni d’amore, la moglie rompiscatole sempre un passo avanti al marito, come ne Il vedovo di Dino Risi (1959), che racconta la storia di un giovane industriale romano, Alberto Nardi, che vive sotto scacco della moglie, ricca donna milanese, e un giorno riceve la notizia della morte della consorte pensando così di poter finalmente ereditare tutti i suoi possedimenti. Nardi è per tutti il marito di Elvira Almiraghi, e soffre questo stato di cose talmente tanto da desiderare di diventare, appunto, vedovo; Elvira invece è viva, e continuerà a chiamarlo “Cretinetti” fino al sorprendente epilogo.

La produzione letteraria di Valeri si muove nella stessa direzione: nel 1970, per esempio, andarono in onda quattro atti unici che la Rai aveva commissionato a Franca Valeri, fra cui La Ferrarina – Taverna. Pubblicato solo da pochissimo da Einaudi, questo breve testo teatrale appare esemplificativo della concezione che Valeri aveva delle donne e della società, oltre che dei meccanismi dell’umorismo. Si tratta di una commedia nera nella quale una coppia in crisi, seduta a un tavolo di una trattoria con qualche pretesa, viene inondata dal profluvio di parole dalla proprietaria. Tutta presa a celebrare con inopportuna loquacità la cucina del suo locale e la clientela che lo frequenta – su tutti, il ministro che le insegna il vero significato della parola ‘mostro’ – l’ostessa è incapace di percepire la reale situazione e di prevederne l’epilogo drammatico; ascrivibile al tipo dello “scocciatore” tanto caro al teatro fin dalla commedia greca, la donna appare troppo chiusa nel mondo delle proprie parole per sentire e capire davvero la voce altrui, inconsapevole e superficiale persino nel memorabile finale della pièce. Gli inquietanti silenzi interrotti dalle poche, gelide parole della coppia indicano quelle dinamiche disfunzionali che Valeri autrice è interessata a evidenziare.

Progressivamente, la Valeri si è allontanata dal cinema e dalla tv, a parte qualche incursione in Linda e il brigadiere e nella sit com Norma e Felice con Bramieri, trovando rifugio nella scrittura e nel teatro, la sua prima, vera casa. Fra i libri pubblicati, piace qui ricordare l’autobiografia Bugiarda no (2010); Le donne (2012); La vacanza dei superstiti (e la chiamano vecchiaia) (2016); La stanza dei gatti. Una chiacchierata con il teatro (2017). Nel 2011 uscì per i tipi di Einaudi L’educazione delle fanciulle, un dialogo con Luciana Littizzetto su tutti i temi cari alle donne: cucina ed eleganza, economia domestica e chirurgia estetica, coppia, figli, sesso e lavoro; ancora una volta, un inventario dei comportamenti tipici di uomini e donne di fronte all’amore, dagli anni Trenta a oggi.

Narratrice delle donne, nei suoi lavori ne analizza i costumi e il rapporto con gli uomini, osservandole e raccontandole con un’ironia che farà da apripista a tutte le comiche arrivate dopo; Sabina Guzzanti, nel documentario del 2012 Franca la prima, celebra proprio questo aspetto della Valeri. La sua importanza nella storia dello spettacolo italiano risiede infatti nella novità del tratteggio dei personaggi femminili: fino al suo arrivo sulle scene, le donne del cinema erano esclusivamente le belle e provocanti. Quando, nel 1950, Franca Valeri debutta nel cinema con Luci del varietà, si trova accanto una giovanissima Sophia Loren, che poi sarà anche sua futura cugina Agnesina ne Il segno di Venere. Da una parte c’è la maggiorata degli anni ’50, in questo caso la Loren, che esprime quella bellezza accogliente e florida che tanto piaceva, perché metaforicamente placava la fame degli uomini, negli anni della guerra; dall’altra parte c’è la Valeri, che con battute e sguardo taglienti non lascia spazio né speranza al maschio di turno. Se Sophia Loren, Gina Lollobrigida e le altre sono quelle che il maschio italiano sogna di avere e la donna di essere, Franca Valeri piace al pubblico perché è la donna “normale”. A lei nei suoi film è sempre preferita un’altra, più formosa, più bella, più giovane; ma quelle donne sono sempre personaggi secondari, che fanno da contorno agli uomini, mentre Franca si presenta come una donna intelligente, sagace, che sferza gli uomini con parole e sguardi taglienti e la sua vivacità.

Anche nei personaggi disegnati da lei Valeri ha rivoluzionato la comicità e l’immagine femminile, con l’invenzione di personaggi simbolo come La Signorina Snob, la Sora Cecioni, Cesira la manicure; è stata la prima a cambiare lo sguardo e il pensiero del pubblico – soprattutto maschile – fino a quel momento abituato a godersi lo spettacolo della donna avvenente, ma non ad ascoltare le sue parole. Nei ruoli ricoperti al cinema, si contrappone ai personaggi, tipici del dopoguerra, interpretati così bene da Sordi e Gassman: falsi, ipocriti, traditori, che sfigurano su tutta la linea di fronte alla forza di quella piccola donna che sa voler bene a uomini che le spezzano il cuore (Un eroe dei nostri tempi, Il segno di Venere) e che mantiene tutte le sue frivolezze – oroscopi, lettura di carte, riviste femminili. Ingenuità, puerilità, credulità, tendenza al masochismo sentimentale e alla compiacenza, questi i difetti femminili indicati da Franca Valeri alle donne-sorelle: «Io credo di aver fatto un favore al mondo femminile italiano creando dei personaggi da un punto di vista critico. Si sa che le donne hanno, oltre a delle sostanziali qualità, anche dei difetti di cui devono essere coscienti e sui quali è divertente che loro stesse ridano».

Protagonista anche della storia della televisione, è riuscita a prendersi il centro della scena grazie a presenza scenica e duttilità interpretativa. In un mondo ancora oggi fallocratico e fallocentrico, è stata lei la prima a dimostrare – pur dovendo lottare contro l’industria cinematografica che tentava di relegarla a comprimaria o personaggio secondario, pur rimanendo comunque sottovalutata se si considerano le sue doti di autrice e attrice – che si poteva arrivare al livello degli interpreti e degli autori uomini.
Dopo ne sono arrivate altre, ma solo perché c’è stata lei, Franca la prima.
